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Denis Bonetti, la disabilità e l’importanza di essere un “antieroe”

Articolo. Oggi vi raccontiamo la storia di Denis, atleta paraplegico, in occasione della sua nomina a presidente dell’Associazione SBS (Bergamo Special Sport) il cui fulcro è il reintegro sociale delle persone con disabilità attraverso l’attività sportiva.

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Denis Bonetti

Denis Bonetti ha 47 anni ma non li dimostra. Merito (a detta sua) della sua abbronzatura ma anche del sorriso rassicurante col quale si presenta nella nostra chiacchierata su Zoom. È subito bravo a mettermi a mio agio, perché oltre ad essere una persona aperta e schietta, ha voglia di raccontare e di raccontarsi.

Quando da disabile mi confronto con disabilità o storie diverse dalla mia, il rischio è di credere di sapere non tutto, ma quantomeno abbastanza per poter dare delle cose per scontate. Invece ci scopriamo simili nello spirito e nell’atteggiamento. Anche lui, come me, si nutre di auto-ironia: “Credo che essere diretti e anche quasi antipatici quando si interagisce con gli altri e in particolare coi ragazzi, faccia bene soprattutto a loro. A me piace proprio mettere le persone in imbarazzo, perché scherzare è un modo per far cadere quella barriera che si instaura quando ci si trova di fronte ad una persona con una disabilità e non si sa cosa dire o cosa fare. Faccio così anche coi miei amici. Quindi se vado a pranzo da uno di loro che ha un bar e mi chiede come mai ho mangiato così poco, io gli rispondo che non posso permettermi di mangiare troppo dato che ho uno stile di vita piuttosto sedentario…

La nomina di presidente all’SBS arriva dopo 12 anni di tesseramento nei quali Denis ha partecipato come giocatore di tennis e poi facendo incontri di sensibilizzazione nelle scuole e nelle università: “Io sono diventato presidente da qualche mese. La società è nata nel 2006 su iniziativa di Mauro Foppa e Angelo Pellegrini che ancora adesso fanno parte del direttivo. Col tempo ho cominciato a occuparmi di attività sempre più specifiche che permettessero di far conoscere l’associazione all’esterno. Dopo tanti anni per i miei predecessori si era instaurato un meccanismo quasi di routine nel senso che poiché le cose che si facevano andavano sempre bene, si finiva col non sperimentare. Quindi sono subentrato io nella speranza di portare col tempo un po’ di novità e di freschezza.

“Il vincitore (non) è solo”

Nelle parole di Denis non c’è tristezza. Ha trentatré anni quando ha un incidente in moto che lo costringerà a muoversi in sedia a rotelle per il resto della vita. Ma nel suo racconto non ha esitazioni e non risparmia di sviscerare le sue difficoltà, le sue paure, che col tempo ha imparato a trasformare in ricordi vestiti dalla determinazione di un uomo che ha avuto il coraggio e la forza di reinventarsi: “È stato difficile soprattutto all’inizio accettare di non poter camminare più, anche se i medici me lo hanno detto subito, mi ci sono voluti dei mesi per riuscire ad elaborarlo. Uscivo con una ragazza prima di fare incidente, parliamo di una frequentazione di qualche mese. Un giorno mentre mi trovavo ricoverato nell’ospedale di Mozzo entrò nella mia stanza un signore sulla cinquantina che si spostava con l’ausilio di una sedia elettrica per via di una tetraplegia che gli consentiva di muovere solo un braccio. Mi chiese come mi chiamavo e cosa mi era successo e quando gli spiegai che avevo perso l’uso delle gambe mi disse -Allora, se non riesci più a muovere le gambe, sei un paraplegico. - Non riuscii a fare altro che asserire con la sua affermazione e quando uscì dalla stanza chiamai questa mia amica in lacrime per raccontarle l’accaduto. Passai tutta la settimana successiva a fare le sedute di fisioterapia col volto coperto da un asciugamano a piangere.”

Poi è arrivata la SBS che collabora con l’Unità Operativa di Riabilitazione di Mozzo nella predisposizione di programmi di riabilitazione di pazienti con lesioni midollari che non sono ancora pronti a fare sport: “Grazie all’associazione ho ricominciato a respirare. Dopo l’incidente in moto pensavo che la mia vita sarebbe finita, che non avrei più potuto andare in vacanza, che avrei perso molti amici per via delle limitazioni che dipendono dal doversi spostare con una sedia a ruote e invece non solo non ho perso quelli di prima ma ne ho guadagnati altri che appartengono al mondo della paraplegia”.

La SBS si occupa anche di sport-terapia che con l’aiuto di professionisti insegna alle e persone come utilizzare la carrozzina nelle varie discipline.
Attualmente l’associazione conta 100 tesserati e 5 settori sportivi: Basket Tennis, Bike, Vela e Sci.
Lo sport, come la musica hanno un valore altissimo. Perché è proprio una medicina per il reintegro sociale. Ti fa acquisire fiducia in te stesso e ti mette in contatto con altre persone. La nostra associazione è nata 15 anni fa con l’obiettivo di formare una squadra di basket per ragazzi in carrozzina proprio perché si era compreso che lo sport è un collante di relazioni e di sostegno. Quando ero ricoverato a Mozzo ho conosciuto i membri della SBS. Tra di loro c’era chi guidava, chi nuotava, chi faceva sport estremi. In quel momento ho capito che avrei potuto vivere una seconda vita nella quale ho dovuto imparare tutto da zero, ovvero capire come riuscire a fare tutto quello che facevo prima ma da seduto.”

Denis ribadisce per tutto il suo discorso che l’obiettivo non è solo puntare alla competizione agonistica ma evitare grazie allo sport che le persone si isolino e rimangano e inascoltate nel loro dolore: “Il consiglio che mi sento sempre di dare è quello di parlare, di confrontarsi, anche con persone che hanno vissuto esperienze simili, perché avere un incidente o convivere con una malattia sono esperienze che inevitabilmente rivoluzionano l’intera esistenza. Soprattutto non bisogna vergognarsi di chiedere aiuto, perché non siamo stati fatti per vivere soli, a volte anche una parola di conforto può fare la differenza.

Il mondo (della disabilità) non ha (solo) bisogno di eroi ma di persone “comuni”.

Quando si parla di disabilità si commettono (quasi sempre) gli stessi errori. A partire dagli ormai noti cul-de-sac linguistici: i disabili sono persone con disabilità? Si può dire handicappato?
Anche in questo caso Denis ha le idee molto chiare: “Diciamo che chi fa parte della nostra associazione ha la consapevolezza di quello che è e sa giocare sul suo ruolo e sulla disabilità. Ci sono persone genuine che si definiscono “handicappato” o “disabile” come è facile rivolgersi agli altri come “normodotati” o “bipedi” (anche sai bipedi lo siamo tutti). Se invece torniamo sul lato serio, io li considero e li definisco semplicemente atleti. Quasi tutti quelli che sono iscritti fanno sport lo fanno a livello agonistico e internazionale”.

Un’altra questione spinosa ha a che fare con la rappresentazione pubblica della disabilità. Parliamo di figure che si distinguono per i loro meriti sportivi come nel caso di Bebe Vio o Alex Zanardi che vengono descritti come eroi e, pur nell’indiscutibilità del loro talento, finiscono per prevalere sulla complessità e gli ostacoli coi quali si scontrano i disabili nella vita di tutti i giorni.

Si tratta di due facce della stessa medaglia. Io apprezzo molto figure come Zanardi e Bebe Vio o anche esempi locali come Martina Caironi. Cioè mi piace che se ne parli e finché si parla va sempre bene, cioè se ne dovrebbe parlare sempre e di più. L’unica differenza è che quando si parla di Zanardi, paradossalmente non si non si parla proprio della disabilità. A prescindere dal difficile momento che sta vivendo, quando facciamo gli incontri di sensibilizzazione, paradossalmente ci rendiamo conto che si trasmette un’immagine della disabilità che chiunque in vive in carrozzina, invidia. Cioè è assurdo per certi versi, perché gli mancano le gambe, però è una disabilità diversa rispetto alla paraplegia che comporta problemi molto più ampi rispetto all’amputazione di un arto o di due. Perché il tuo corpo finisce di funzionare dal punto in cui inizia la lesione in giù e diventa tutto più complesso da gestire”.

Il rischio, secondo Denis è che queste rappresentazioni al limite dell’eroismo, facciano passare in secondo piano anche le difficoltà economiche con le quali si scontra il mondo dell’associazionismo sportivo.
Io sarei contento se elogiassero Zanardi, ma dicessero anche che in Italia ci sono più di 150.000 ragazzi che lavorano, studiano, si sono sposati, hanno una famiglia e fanno sport. Invece la disabilità salta fuori sempre solo quando ci sono le paralimpiadi o quando ci sono queste figure che potremmo definire “mitologiche”. Nessuno sa ad esempio quanto spendono le persone in carrozzina per comprare le attrezzature o per partecipare alle gare. Ovviamente Bebe Vio tutto ciò che ha lo ha ottenuto col suo talento e Zanardi non hai avuto problemi economici. Noi nel nostro piccolo abbiamo delle carrozzine e delle bici che prestiamo a chi vuole provare perché una sedia o una bici per giocare può costare dai tremila ai cinquemila euro. E si tratta di attrezzature su misura che poi è difficile riutilizzare. Quindi sì, mi piacerebbe che si raccontassero storie che non siano necessariamente di successo di successo sportivo ma anche di volontà e di impegno quotidiano”.

“Sei tutti i limiti che superi”

Denis, ha 48 anni ma non li dimostra, nonostante abbia dovuto rivoluzionare la sua vita, cambiare casa, lavoro e rinunciare ai suoi sogni d’infanzia: “Quand’ero piccolo il mio sogno era di lavorare in un bar e dare da bere gratis a tutti, perché la mia priorità era far star bene le persone, vederle felici. Dopo l’incidente ho dovuto rinunciare all’idea di aprire un locale tutto mio e sono ritornato al mio primo amore, ovvero l’informatica”.

Non c’è amarezza nei suoi occhi ma solo la voglia di continuare a vivere questa seconda vita nella certezza che anche guardando il mondo da seduto, la vista sia spettacolare: “Pensavo che dopo l’incidente non avrei più potuto viaggiare ma ora lo faccio più di prima. Sono stato da solo in Sud Africa, In Argentina e in Brasile e prima della pandemia dovevo partire per il Giappone. Non so cosa mi riserverà il futuro ma sono sempre stato una persona positiva e ottimista, non vedo perché dovrei smettere di esserlo ora.

Denis Bonetti è un atleta paraplegico con una lesione al midollo spinale. Ha 47 anni ma non li dimostra, beato lui.

Sito SBS - Special Bergamo Sport

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