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Filamenti #7: mai più invisibili. Riflessioni sulla terza età delle donne

Intervista. Con la maturità, le donne affrontano spesso anche pregiudizi legati a stereotipi sessisti, ma i tempi stanno cambiando. Come le donne mature possono prendere spazio nella narrazione pubblica? Ce ne parla Silvia Briozzo raccontando del laboratorio «Over 60» del «Festival Orlando». Perché come dice Jane Fonda, «l’età non è patologia, è potenziale»

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Quest’anno faccio cinquant’anni. Sono arrivati così, quasi senza che me ne accorgessi, come succede credo alla maggior parte di noi. Da un lato, penso che sia una fortuna e un privilegio esserci arrivata, dall’altro le domande esistenziali che sempre mi hanno accompagnata cominciano a diventare più pressanti e ad avere un altro peso. Crescendo, ad ognuno di noi è chiesto di fare i conti con la propria vita, i propri desideri, il proprio corpo.

Per le donne, questo passaggio è più impegnativo che per gli uomini. Le donne affrontano con la maturità anche pregiudizi legati al sessismo. La società patriarcale tende a confinare noi donne mature in ruoli molto precisi e ristretti. Inoltre, più la società è maschilista, più sentimenti di perdita di autostima legati ai cambiamenti del corpo si fanno presenti nelle donne mature.

Uno studio del 2016 dell’Università del North Carolina ha dimostrato come le donne mature sperimentino un senso di ingiustizia nella loro esperienza di invecchiamento. La ricerca testimonia come, oltre a vivere i propri cambiamenti del corpo, le donne siano portate a sentire pressioni sociali esterne che vorrebbero conformare il loro aspetto su parametri di giovinezza. Susan Sontag in un articolo del 1972 parlava di «doppio standard dell’invecchiamento» a proposito delle differenze di genere nel vivere l’età avanzata. Secondo la Sontag, invecchiare è infatti un privilegio concesso agli uomini, che a conferma della loro mascolinità invecchiando acquisiscono esperienza, serietà, prestigio. A parità di destino biologico, le donne sono invece stigmatizzate perché perdono apparentemente la propria femminilità, identificata come giovinezza, freschezza e vulnerabilità.

Questo declino del valore sociale delle donne mature avviene principalmente attraverso la mancanza di rappresentazione dei loro corpi nella dimensione pubblica. Le donne sperimentano un senso d’invisibilità e irrilevanza, mentre in realtà sono parte – attiva e fondante – della società. Qualche anno fa, Angela Finocchiaro faceva questo bellissimo pezzo a « La TV delle ragazze », dove interpretava una signora che soffiando sulle candeline della sua torta del sessantesimo compleanno diventava improvvisamente invisibile. Nessuno la vedeva più al lavoro, in palestra, al supermercato, a cena con amici, sulla strada ed era anche invisibile anche quando la sera si sdraiava a letto con il proprio compagno.

I saperi femministi ci hanno insegnato che per uscire dalle strette maglie delle società maschiliste e dall’incantesimo dell’invisibilità è necessario imparare a prendere parola e far sentire la propria voce . Trovare, quindi, modi per raccontare di sé, dei propri corpi e della propria visione del mondo. Non lasciare che le narrazioni confinino le donne mature ad una dimensione marginale. A questi spunti si ispira un’interessante iniziativa nata all’interno del festival cinematografico e teatrale « Festival Orlando », a cura dell’Associazione Immaginare Orlando, che da anni promuove a Bergamo una ricerca sui corpi, i posizionamenti e gli orientamenti affettivi oltre gli stereotipi.

«Orlando», in collaborazione con « Festival Danza Estate », ha dato spazio in questi anni a un laboratorio teatrale dedicato all’espressività di donne che hanno superato i sessant’anni. Questo laboratorio, che dura cinque mesi all’anno e che confluisce in una performance finale all’interno del festival, si chiama «Over 60». Il progetto, nato nel 2010 dall’idea della danzatrice e coreografa Silvia Gribaudi , che propone un’interessante ricerca sui corpi e sulla performance in Italia e all’estero, promuove attraverso la danza la scoperta del corpo, in movimento e mutamento, nelle sue molteplici forme espressive. A Bergamo esiste all’interno di «Orlando» dal 2017 e ha visto in questi cinque anni la partecipazione di più di una cinquantina di donne.

Le prime due edizioni sono state condotte dalla stessa Silvia Gribaudi, mentre le successive sono state affidate all’organizzazione e al pensiero di Barbara Boiocchi, docente dell’Accademia Carrara ed esperta di improvvisazione della danza, e alla conduzione di Silvia Briozzo , attrice, formatrice e regista, che lavora da sempre sul teatro come forma di autentica espressione e inclusione. Il laboratorio, come riportato nella sua presentazione, ha l’obiettivo di «promuovere la consapevolezza corporea come strumento di relazione e libertà, per decostruire stereotipi, mostrare la bellezza, la vulnerabilità, la diversità espressiva di un corpo adulto/maturo».

Ho avuto la fortuna di assistere lo scorso anno alla performance finale di questo laboratorio e sono stata colpita non solo dalla bellezza della composizione scenica, ma dalla forza, dalla potenza di questo gruppo di donne in scena. Ho chiesto quindi a Silvia Briozzo di raccontarmi questo progetto.

CP: Che cos’è il laboratorio «Over 60»?

SB: Il laboratorio «Over 60» è uno spazio di espressione artistica, nato prima con la danza e poi con il teatro, dove lavoriamo insieme a ventina di donne «over sessanta» sperimentando e indagando molto liberamente temi che ci interessano. Per esempio, quest’anno faremo quattro incontri monografici su artiste, pittrici, scultrici, fotografe. Diciamo che le tematiche sono più un pretesto che il vero oggetto della nostra ricerca, che resta principalmente la liberazione del corpo. La maggior parte delle donne che partecipano al laboratorio ha in realtà più di settant’anni. Quando pensiamo a signore di quest’età, pensiamo che non abbiano più un corpo aitante, conforme e che questo condizioni molto la loro vita. Quello che ho visto, con questo laboratorio, è che non è affatto così. Al contrario, queste signore hanno una grandissima libertà espressiva e anche una grande leggerezza nel lavorare con il corpo. È come se avessero in un certo senso superato una soglia e fossero intimamente più libere delle donne e degli uomini giovani. Hanno una disponibilità, una curiosità, una predisposizione all’incontro, una messa in gioco straordinaria.

CP: Questo spazio performativo collettivo è quindi l’occasione per sperimentare insieme con il corpo?

SB: Questo spazio teatrale performativo di condivisione è una sorta di zona di comfort, ma anche di rischio, di messa a nudo e di scoperta. Inoltre, è un luogo di ascolto reciproco e solidarietà. Ho visto queste donne raccontarsi e sostenersi l’un l’altra. Non ho mai assistito a situazioni di competizione o di presa di spazio di qualcuna rispetto alle altre. Il laboratorio è diventato uno spazio in cui esserci pienamente insieme alle altre. Uno spazio di autenticità.

CP: Come avviene questo viaggio teatrale collettivo?

SB: Io ho sviluppato in questi anni un’attenzione millimetrica alla persona. Il mio obiettivo nei laboratori è quello di far emergere la bellezza di persone che altrimenti non sarebbero viste. A me viene sempre in mente la parola «invisibili». Ecco, mi interessa dare visibilità all’invisibile. Credo sia possibile cancellare l’invisibilità solo attraverso una tensione verso l’autenticità. Bisogna fare in modo che le persone si sentano al centro di un processo dove tutto quello che culturalmente le estromette sparisca. Il laboratorio si trasforma quindi in un luogo di svelamento di bellezza. Le signore che possiamo vedere al mercato, in scena si trasformano in opere d’arte. Io cerco di metterle a loro agio il più possibile perché possano sentire e gustare le sfumature di questo divenire, che diventa anche trasformazione dello sguardo su di sé. La trasformazione avviene nella consapevolezza della differenza tra un gesto e un altro, tra un tempo e un altro, tra una parola detta o un’altra. Infine, questa trasformazione si fa corale e i corpi ne diventano uno solo: un corpo collettivo.

CP: La cosa interessante è che la creazione di questo corpo collettivo a me ha dato la sensazione che diventasse anche un corpo politico. E quindi quando ho visto quest’ensemble di donne sulla scena, l’ho sentito liberatorio non solo per loro, ma anche per me. L’ho letto un po’ come un manifesto di quello che si potrebbe fare se riuscissimo a rendere i nostri corpi di donne un corpo politico unico con un peso forte nella dimensione pubblica.

SB: Esatto. Loro sono diventate un corpo unico, politico, capace di esprimere leggerezza, ma anche autorevolezza, consapevolezza di affermarsi senza vergogna. In qualche forma questa libertà è contagiosa.

La performance esito del laboratorio «Over 60» quest’anno non sarà all’interno dell’edizione di maggio di «Orlando», ma è stata programmata sempre all’interno delle attività del festival per novembre 2023. Teniamo gli occhi aperti sul lavoro di questo gruppo meraviglioso di donne che con la loro performance raccontano di un modo nuovo e potente di vivere la maturità.

Chiudo quest’articolo segnalandovi, a proposito dell’argomento, la bella serie « Grace and Frankie » creata da Marta Kauffman e Howard J. Morris per Netflix. Qui, le bravissime Jane Fonda e Lily Tomlin interpretano due donne ottantenni i cui rispettivi mariti, soci in affari da oltre vent’anni, fanno coming out e confessano di amarsi da anni, decidendo poi di sposarsi. La storia racconta in modo ironico di come le due donne affrontino il cambiamento della separazione in tarda età dandosi una mano a vicenda e scoprendo una grande amicizia e vicinanza pur nella diversità dei loro caratteri.

Jane Fonda, figura iconica dell’attivismo femminista, pacifista e ecologista internazionale, è diventata anche un esempio di come la fase avanzata della vita possa essere per le donne un momento di assoluta vitalità e libertà. In uno sei suoi ultimi best seller, dal titolo « Prime time », Jane racconta che invecchiare non è decadere, è percorrere una scala ascendente che fa elevare lo spirito e che ci porta alla saggezza, alla completezza e all’autenticità. L’età non è una patologia, è un potenziale. È con questa consapevolezza nel cuore che a luglio spegnerò le cinquanta candeline sulla mia torta di compleanno.

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