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#psicogeografie: come ritrovare la via quando si brancola nel buio

Articolo. A volte ci capita di sentirci senza punti di riferimento e di non sapere come né dove dirigere la nostra vita. Possiamo imparare ad orientarci anche nel nostro paesaggio psicologico, usando segnavia e bussole interiori

Lettura 4 min.

Ci sono luoghi, ad esempio in alta montagna o in un bosco fitto, dove tracciare un sentiero non è possibile. Ci si trova allora a osservare la natura e il paesaggio circostante cercando qualcosa che naturale non è: un segnavia, che può essere un segno di pittura su una roccia o su un tronco (ma anche, nelle “giungle” urbane, una freccia su un muro) oppure, in alta montagna o nei deserti, i classici “ometti” di pietra, delle pietre accumulate una sull’altra in modo da essere visibili e indicare la direzione. Anche nella vita può accadere di sentirsi senza punti di riferimento, come se stessimo brancolando nel buio: come possiamo orientarci?

Essenzialmente, per orientarci nello spazio geografico, abbiamo bisogno di tre dati: sapere dove siamo, una mappa e una bussola. Iniziamo dal “dove siamo”. Psichicamente può capitare di non sapere “dove” ci troviamo, come ci siamo finiti e in che direzione rivolgerci. Ci sembra di non avere una prospettiva, di essere a un incrocio che non conosciamo e di vedere solo vicoli ciechi. Di non avere spiragli. In momenti simili, come se ci trovassimo in una nebbia fittissima senza punti di riferimento, possiamo solo aspettare che la nebbia si diradi o muoverci con cautela, cercando un “segnavia”.

I segnavia sono, appunto, segnali che spiccano dall’ambiente indefinito e uniforme e indicano la direzione da prendere. Possiamo non avere una visione completa del nostro itinerario, ma grazie a questi segni possiamo capire dove dirigerci i prossimi passi. Nella vita psichica (e in psicoterapia) questo ruolo spesso è giocato dai sogni, preziosi messaggeri che ci raccontano cosa succede e cosa (e come) si muove sotto la superficie della coscienza. Proviamo a considerare i sogni come viandanti che incontriamo lungo un Cammino (in cui, forse, noi ci siamo persi). Possiamo chiedere da dove vengono, come sono arrivati lì (e questa è la prospettiva dell’interpretazione freudiana), oppure possiamo dialogarci e informarci su dove stanno andando (in un’ottica più finalistica o teleologica, più affine alla psicologia analitica junghiana). Spesso questi “pellegrini” ci possono dire dove siamo noi e non di rado sanno meglio di noi dove stiamo andando!

Altri segnavia possono essere le intuizioni, che nel linguaggio comune a volte sono definite “lampi di genio” o “flash” in quanto hanno la caratteristica di idee fulminanti, che illuminano in un istante, squarciando le tenebre. Lo Stalker dell’omonimo film di Andreij Tarkovskij, quando guida i visitatori nella Zona, non conosce la strada, ma la intuisce lanciando un grosso bullone e seguendolo. Eppure è l’unico modo per avventurarsi in relativa sicurezza in quel territorio. Allo stesso modo funzionano le intuizioni, che arrivano ma non possiamo produrle, anche se possiamo trovare un nostro modo per renderle più facili: per qualcuno è la meditazione, per me il camminare, ma per qualcun altro può essere anche fare la sauna!

Possono anche funzionare, per orientarci psichicamente, i ricordi improvvisi, o la sensazione di essere già stati in quel “posto”, di star rivivendo una situazione già vissuta. Non come in un dejà vu, ma come quando ci troviamo a dire fra noi: «Ancora?», spesso sconsolatamente. Allo stesso modo di quando un sogno ci riporta nel nostro passato, questi fenomeni regressivi sono un’indicazione del luogo e del tempo della nostra vita psichica da cui possiamo attingere a risorse e esperienza per uscire dalla situazione in cui ci troviamo. Mentre nello spazio geografico può capitare di girare in tondo, nell’individuazione – il cammino che nella vita ci porta a diventare noi (soprattutto se siamo in un percorso di crescita) – difficilmente ci comportiamo come “cani che si mordono la coda”, ma piuttosto come serpenti che si avvolgono attorno a una colonna: ogni volta che ci sembra di ripassare dallo stesso punto, in realtà siamo un pochino più in alto (o comunque altrove).

In una bellissima canzone («Without a Map»), Marketa Irglova si lamenta con Dio di esser stata messa sulla Terra senza una mappa, racconta lo struggimento di muoversi alla cieca, di dover indovinare la via, di dover continuare a muoversi quando avrebbe voluto restare. Sensazioni con cui tutti possiamo entrare in empatia. Sul finale della canzone, Dio risponde che l’unica mappa di cui ha bisogno è l’Amore, a guidarla attraverso questa illusione di labirinto.

A volte il pensiero, funzione psichica con cui spesso ci identifichiamo, non ci è d’aiuto per orientarci. Sono quei momenti in cui “non ci capiamo nulla”, non riusciamo a mentalizzare quello che ci sta succedendo. Dobbiamo passare dal pensare, dallo sforzarci di capire, al sentire, per provare a “vedere” una sorta di mappa. Il pensiero è uno strumento potentissimo, ma quando si parla di emozioni e sentimenti è insufficiente, e allora è più utile portare l’attenzione a ciò che sentiamo, sia a livello corporeo coi sensi che a livello emotivo e di sentimento. Questo ci può dare la nostra mappa, e anche l’indicazione del “dove siamo” psichico.

Ho usato spesso il termine «orientarsi», che deriva dal rivolgersi a oriente, e quindi usare la posizione del Sole all’alba (semplificando), per dedurre la direzione da prendere. Da sempre gli umani usano le stelle per orientarsi: una particolarmente lontana, la Stella Polare nella nostra epoca, di notte, e una molto vicina, il Sole, di giorno. Come scrivevo il mese scorso, dal cielo stellato (sidera) deriva il termine «desiderio». Nella mia vita personale, e anche nella mia professione, sto mettendo sempre più a fuoco l’idea di come il desiderio sia un grande orientatore psichico. In momenti statici, o nella nebbia più assoluta, quando non sappiamo “che pesci pigliare” o “dove sbattere la testa”, quando ci troviamo in «una selva oscura / ché la dritta via» l’abbiamo smarrita, insomma, quanto meno il desiderio ci dà la direzione o, meglio, il senso verso cui muovere i passi.

Inoltre, sento che il desiderio, oltre a essere una potente bussola, è anche un motore fondamentale dell’energia psichica. Ci occupiamo tanto di allenare i muscoli delle gambe per correre o saltare nello spazio, ma come allenare il “muscolo” del desiderio, che ci può aiutare a muoverci (a danzare più che a correre, immagino) nella vita psichica?

Il primo passo è il sentire, e orientarci verso il piacere (altro grande segnavia! Se proviamo piacere, difficilmente siamo sulla strada sbagliata). Non parlo ovviamente di una banale vita godereccia e edonista, ma di una consapevolezza di ciò che ci fa bene, una consapevolezza che parte, di nuovo, dal sentire e dal sentirsi. Paradossalmente, anche il dolore può essere un indicatore importante: è il segno che ci sono (almeno) due forze in contrasto, che ci spingono in due direzioni opposte (per esempio verso una nuova esperienza una, e a restare sul divano l’altra), e il dolore è dato dall’attrito fra queste due forze. Allo stesso modo, la stasi o la stagnazione sono date da due forze uguali ma di direzione opposta: per progredire possiamo allentare la resistenza (che possiamo sentire come paura) o aumentare il desiderio, la forza che ci fa avanzare. Un altro passo è riconoscerci il diritto di desiderare e di meritare ciò che desideriamo. Un passo importante nell’iniziare a volerci bene, partendo da noi.

Da camminatore e psicoterapeuta “errante”, come amo definirmi, non mi sentirei onesto con me stesso se non concludessi questo articolo sull’orientarsi con un elogio del perdersi e dello sbagliare strada. Amo e ringrazio tutte le strade sbagliate che ho percorso, perché mi hanno sempre insegnato qualcosa, e spesso mi hanno portato in posti bellissimi.

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