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#psicogeografie: mancanza, assenza e desiderio. Come passare dalla paura alla possibilità di movimento

Articolo. Molto spesso ci identifichiamo con le nostre mancanze, piuttosto che con le nostre risorse. Questo può generare un’immobilità che non fa altro che rendere cronica la sensazione di mancanza. Ci vuole coraggio, per cambiare, ma anche desiderio

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Circa un anno fa iniziavo un cammino solitario che dalla provincia di Bergamo mi avrebbe portato, nove giorni dopo, a Camogli. Di questo ho scritto nel mio primo articolo (proto-psicogeografico) per Eppen. Venivamo tutti da anni difficili in cui l’emergenza pandemica aveva limitato molto la libertà di movimento. Avevo il desiderio di muovermi, sentivo la mancanza di un lungo viaggio a piedi e la mancanza del mare.

Questa deriva “psicogeografica” parte proprio da un luogo che non c’è: a Bergamo non c’è il mare. Che fare, dunque, con questa mancanza? Nel caso del mio viaggio, la mancanza ha generato desiderio e questo è stato il motore del mio cammino. Uso spesso il viaggio, e il cammino in particolare, come metafore dei percorsi di crescita e di vita. Vediamo dunque come iniziare un cammino possa simbolicamente dirci qualcosa sulla vita di tutti i giorni.

A volte può capitare di essere bloccati, di non riuscire a muoversi, a fare quel primo passo. Spesso abbiamo paura. Paura della necessaria perdita di equilibrio che comporta quel primo passo. Camminare in fondo è un cadere volontariamente in avanti e spostare il piede per non finire faccia a terra. Similmente, ogni scelta di una certa importanza ci allontana dalla nostra zona di comfort, da ciò a cui siamo abituati, e il cambiamento spesso fa paura. Ma l’idea che non si possa fare qualcosa con la paura è un’illusione, o forse una resistenza al cambiamento. Coraggio («agire con il cuore») è proprio fare qualcosa con la paura. Agire senza paura assomiglia di più all’incoscienza.

Se la paura ci blocca, possiamo lavorare con essa, renderla più gestibile, provare a comprendere perché ci vuole trattenere. Spesso la paura nasce per proteggerci da una minaccia che non è più attuale, ma i fantasmi possono spaventare almeno quanto i mostri! Possiamo entrare in contatto con la parte di noi che ha paura e provare a comprenderla con empatia e senza giudizio. Spesso è una nostra parte bambina che è stata sola, forse si è sentita abbandonata e incapace di fronteggiare il mostro. Ma ora non è più sola: c’è anche la nostra parte adulta a proteggerla, difenderla, accompagnarla e soprattutto sostenerla nel movimento.

Oppure, sull’altro versante, si può lavorare sul desiderio. Come un muscolo, il desiderare va allenato. Quando il desiderio è maggiore della paura, è più facile muovere il primo passo. Per far questo, bisogna aumentare la nostra energia: in analisi bioenergetica questo si può fare ampliando il respiro, e aumentando così il “carburante metabolico” di cui abbiamo bisogno. E soprattutto occorre riconoscerci il diritto di desiderare qualcosa di meglio (o semplicemente di diverso). Possiamo ammettere di meritarci qualcosa.

La mancanza stessa può essere un blocco: «non ho il coraggio…i soldi…le qualità…il tempo…per…». Ci si identifica quindi con qualcosa che non c’è e non con le risorse che invece ci possono aiutare a fare qualcosa, magari in forma ridimensionata, ma comunque a muoverci. Si possono essere svariati esempi, dal viaggiare, al cambiare lavoro o casa. Spesso questa identificazione è molto subdola e forte: siamo più in contatto con ciò che non abbiamo o con quello che non siamo, e meno con chi siamo e quello che abbiamo. Giudichiamo male il nostro bambino interiore perché ha ancora bisogno del suo orsacchiotto per dormire, non lo sosteniamo e non ne riconosciamo il grande coraggio che riesce a mettere nell’affrontare un viaggio nell’ignoto, nonostante la paura, accompagnato soltanto da un peluche. Fuor di metafora, nella vita adulta ci può capitare di considerarci degli sfigati o dei perdenti perché riusciamo a muoverci nella vita solo grazie qualcosa o qualcuno e non ci riconosciamo la grandezza di quello che facciamo. In un secondo momento potremo prenderci cura della parte di noi che ha bisogno di quel qualcosa, ma intanto ci stiamo muovendo, stiamo sfidando l’ignoto, l’incertezza e la paura.

La mancanza è anche qualcosa che influenza molto le relazioni, soprattutto le relazioni di coppia. Quanto siamo influenzati dalla presenza di una persona importante per noi? E dalla sua assenza? Quanto rinunciamo a qualcosa se non c’è quella persona? Ne sentiamo la mancanza. Una domanda che mi sto ponendo spesso in questi mesi, soprattutto nel lavoro con le coppie è la seguente: c’è una differenza fra mancanza e assenza? Forse è simile alla differenza fra l’esser soli e il sentirsi soli: essere da soli è molto diverso dall’esser senza qualcuno. La riflessione che segue è un tentativo di definizione mio, senza pretesa di validità linguistica o assoluta.

L’assenza è una non presenza, di qualcosa o qualcuno. Non è detto che ne sentiamo il bisogno, ragion per cui l’assenza lascia “fermi”. A casa mia non c’è la televisione, ma dato che non la desidero, la sua assenza mi lascia indifferente. La mancanza, invece, è legata a qualcosa che non abbiamo, e che forse sentiamo ci sia stato in qualche modo tolto. E spesso comporta un movimento, oppure uno struggersi se il movimento è impossibile, se chi ci manca è per qualche ragione irraggiungibile. Nella mancanza è sempre presente un’emozione. La parola «emozione» contiene etimologicamente il concetto di movimento, ed è un movimento di uscita, di apertura (dato dalla vocale «e» che in latino indica un moto di uscita da un luogo).

Anche il desiderio è legato in qualche modo al movimento, al cielo stellato (sidera in latino) che era usato per orientarsi. Siamo ritornati al movimento, da cui siamo partiti (e partenza e ritorno sono inizio e fine di un viaggio). Per muoverci nel cammino della vita, abbiamo bisogno delle nostre gambe, dobbiamo sentirci saldi e radicati sui nostri piedi. Se sappiamo stare in piedi da soli, possiamo stare in contatto stretto, come in un forte abbraccio o in una danza con un’altra persona senza appoggiarci a essa, di modo che se questa si scosta possiamo magari barcollare, ma non crolliamo. E la mancanza, forse, diventa un’assenza. Spiacevole probabilmente, ma non spaventosa.

Bergamo è bellissima, ma a Bergamo non c’è il mare. A Bergamo non c’è neanche parcheggio. Sono buone ragioni per muoversi, e ritornare.

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