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“Sei la Benvenuta”: Zingonia, se il pane diventa simbolo di accoglienza

Articolo. Cosa sta succedendo in questo luogo spesso associato a un’immagine di criminalità e mancanza di sicurezza? Ne abbiamo parlato con il sindaco di Verdellino e due operatrici de Il Pugno Aperto e di Cesvi

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Nella percezione collettiva la parola “Zingonia” ha significato negli ultimi anni (sul nostro territorio e oltre) un modello fallimentare di integrazione, un brutto posto da cui stare alla larga e un ottimo pretesto per sottolineare le criticità del multiculturalismo. Così per il nostro progetto “Sei la Benvenuta” abbiamo deciso di andare a vedere com’è realmente la situazione oggi, al di là delle semplificazioni politiche e della retorica pro / contro di un tema come quello della migrazione. Lo abbiamo fatto concentrandoci sul lato femminile della faccenda, dato che “Sei la Benvenuta” vuole indagare l’accoglienza costruita dalle donne: quelle che accolgono e quelle che vengono accolte.

Il nostro breve viaggio a Zingonia comincia con una chiacchierata con il sindaco di Verdellino Silvano Zanoli, che ci ha raccontato il punto di vista dell’amministrazione comunale al posto dell’assessore ai servizi sociali Elena Aldegani. Verdellino è uno dei cinque paesi che si dividono il territorio di Zingonia – gli altri sono Ciserano, Osio Sotto, Verdello e Boltiere – ed è quello maggiormente interessato ai problemi di questo progetto urbanistico che ospita poco più di quattromila abitanti (per una storia abbastanza dettagliata di Zingonia c’è una pagina Wikipedia dedicata).

C’è stato in questi anni – ci racconta Zanoli – un percorso molto faticoso verso una forma di integrazione, che negli ultimi due-tre anni si è concretizzata. Mi riferisco a una serie di collaborazioni e sinergie giuste, dove le donne sono state un fattore fondamentale, ma anche all’utilizzo di strumenti giuridici che ci hanno consentito di sbloccare una serie di attività come lo spaccio e la prostituzione che hanno poi portato a dei risultati”.
La storia recente di Zingonia ha visto da una parte la demolizione delle Torri di Ciserano – con un’area pronta per essere rigenerata – e dall’altra le Torri di Verdellino dove invece è stato attuato un percorso più complesso: “si è partiti dalla mappatura e dall’indagine di chi abita in questi contesti. È emersa una realtà di luoghi invivibili poiché dominati dallo spaccio e dalla criminalità”. In questa dimensione difficile si è deciso di agire “con tutta una serie di laboratori che piano piano hanno ‘liberato’ la zona dalla rete di spaccio esistente. Così oggi Zingonia è una zona più vivibile grazie ad un grosso lavoro di collaborazione fra amministrazione, forze dell’ordine e realtà che agiscono direttamente sul territorio”.

Zanoli si riferisce alla cooperativa Il Pugno Aperto e al Cesvi, “due partner che hanno colpito nel segno, inserendosi con progetti mirati in una realtà multietnica con una quarantina di etnie di nazionalità differenti. Fondamentale è stata anche la collaborazione dell’Aler tramite Regione Lombardia, che ha acquisito gli appartamenti della zona”.

Il risultato, che non è ancora definitivo, può essere descritto come un mix di dignità riconquistata e responsabilità data agli stessi abitanti di Zingoniache oggi riescono a pagarsi le spese, a partire da quelle di condominio, in almeno una delle torri. Le altre tre ci arriveranno con il tempo”. Ma le donne che ruolo hanno avuto in tutto questo? “Quasi subito mi sono reso conto che c’erano donne italiane e straniere che abitano a Zingonia e che hanno deciso di non mollare, di rimanere cercando di ricostruire socialmente il luogo. Per esempio insegnanti e responsabili di comitati del territorio che hanno iniziato ad attivare insieme a Pugno Aperto e Cesvi dei percorsi. Con queste persone, per lo più donne, c’è un dialogo continuo fondamentale”.

Il progetto messo in atto, e sostenuto dai fondi di Regione Lombardia, si chiama “Abitare insieme la comunità”: da un lato ha messo in campo dei laboratori sociali e dall’altro ha generato un’azione inclusiva a livello lavorativo. Uno dei laboratori si chiama “Fuoriclasse” ed avviene in una delle portinerie abbandonate di una delle Torri, in cui è stato attivato uno spazio-compitifondamentale perché è frequentato da bambini provenienti da tutto il mondo che vengono aiutati ad inserirsi in un contesto scolastico con molte difficoltà. Gli operatori di Pugno Aperto e Cesvi, insieme ad alcune mamme senegalesi e marocchine, hanno fatto un ottimo lavoro diventando alla fine mediatrici culturali”.
Ottavia Foiadelli
de Il Pugno Aperto è una delle operatrici che lavorano sul territorio di Verdellino-Zingonia: “lo spazio compiti della portineria affianca un lavoro con le famiglie per il buon vicinato. Con le mamme è attivo un mercatino in cui le persone posso scambiarsi vestiti e giochi. Altri progetti che facciamo sono gli orti sociali, che coinvolgono persone italiane e straniere, un lavoro di affiancamento nei colloqui con gli insegnati, una scuola di italiano per le mamme e un corso di informatica che prevede una parte specifica per il controllo del registro elettronico scolastico”.

Marocco, Senegal, Egitto e Pakistan sono le nazioni da cui provengono la maggior parte delle persone che partecipano ai progetti. I problemi culturali non mancano “e soprattutto per quanto riguarda noi operatori c’è la necessità di cambiare modo di pensare. Un esempio su tutti è quello della casa: noi entriamo spesso nelle case delle famiglie migranti, che non sono gestite come le immaginiamo noi, dunque serve un lavoro di avvicinamento che ha una sua tempistica. Ciò significa avere pazienza ed aprirsi a queste persone, che ci portano un mondo da condividere”.
In questo lavoro sul territorio c’è un elemento umano che è fondamentale: “con i bambini ad esempio prima ancora di aiutarli nel lavoro scolastico, mi piace conoscere le loro storie e capire cosa si aspettano da noi, in modo da sapere di cosa hanno bisogno veramente. Quando entro nelle case trovo quasi sempre un’ospitalità totale: c’è chi mi cucina il pane egiziano subito, perché sei l’ospite e verso di te hanno una forma di rispetto altissima. Non è una cosa scontata nelle famiglie italiane”.

Il racconto di Ottavia Foiadelli non è molto dissimile da quello di Elena Garbelli del Cesvi, a cui chiediamo di parlarci un po’ delle difficoltà di questi progetti di integrazione. “Il primo approccio è all’insegna della chiusura, per questioni di lingua e culturali. Le donne in particolare non partecipano inizialmente ai colloqui scolastici, non interagiscono con il territorio. Bisogna quindi capire le loro necessità, magari basandosi sull’esperienza di donne della stessa nazionalità con vicende simili. Anche il lavoro in gruppo aiuta molto in questo senso”. Il rapporto da donna a donna è un elemento essenziale per l’integrazione: “a livello umano ricevo molto perché raccolgo tanto entusiasmo, tanta voglia di fare e di conoscere e di provarci. Quello che vedo è davvero tanto impegno nonostante le difficoltà. Questa per me è sicuramente una lezione di vita: ho incontrato molte donne forti che nonostante le difficoltà non si arrendono e sono una fonte di energia che va contro ogni tipo di scoraggiamento”.

Elena ci racconta di un’accoglienza “al contrario”, ovvero delle donne migranti verso le donne italiane: “Una volta per fare un po’ il punto della situazione ho chiesto a queste donne di portare qualche cibo della loro terra. Sono arrivate con tantissime pietanze: la riconoscenza per il nostro lavoro passa anche attraverso il preparare, il portare qualcosa di proprio, perché c’è una volontà di apprendere ma anche di dare, quindi di far conoscere quello che appartiene alla propria origine. Questo è stato un momento molto, molto intenso”. Insomma le donne migranti che arrivano nel nostro Paese, e nello specifico a Zingonia, si portano dietro un bagaglio di esperienze e una visione del mondo all’insegna dell’ospitalità che in qualche modo genera un’accoglienza biunivoca. Così il titolo del nostro progetto “Sei la Benvenuta” assume una nuova valenza: siamo noi i benvenuti nelle vite di questa umanità nuova che viene da lontano. Quando allunghiamo loro la mano come simbolico gesto di accoglienza, la risposta è un tozzo di pane appena impastato.

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