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Bergamo Next Level: i luoghi, la memoria e la Resistenza

Articolo. Cosa fu la Resistenza in montagna? E cosa ci dicono oggi le nostre montagne a riguardo? Ne parlerà Mario Pelliccioli martedì 17 maggio, membro della commissione culturale del Comitato provinciale ANPI Bergamo e autore di diversi libri, tra cui «Pietre vive. Monumenti e lapidi della Resistenza bergamasca» (2015, Sestante Edizioni) e il più recente «Resistere nella tormenta. Cattolici e antifascismo» (iLibridi Moltefedi, 2022)

Lettura 5 min.
Partigiani della Brigata GL Camozzi a Clusone (ANPI Bergamo)

Con lui Barbara Turchetta e Stefano Morosini dell’Università degli Studi di Bergamo, oltre al Gruppo Musicale Lapis, che sarà protagonista di un momento musicale con il Laboratorio Popolare i Sifulere nell’incontro «I luoghi della memoria» (17 maggio, ore 10, prenotazione qui). Il territorio, il clima, le tecnologie «sono argomenti che affronto sempre quando parlo della Resistenza agli studenti, perché il nostro mondo non è più quello di allora», ci ha detto Pelliccioli.

LB: Ci dà una definizione di Resistenza per cosa è oggi?

MP: A lungo si è pensato alla Resistenza come l’insieme di persone che ha combattuto il nazifascismo e basta. Oggi, e direi da un po’ di anni ormai, il ventaglio della Resistenza si è ampliato: vanno considerate nella Resistenza tutte le persone che hanno saputo dire no al nazi-fascismo. Chi ad esempio ha aiutato gli ebrei a mettersi in salvo dalle deportazioni, le centinaia di migliaia di Alpini nei campi di concentramento che non hanno voluto collaborare con i tedeschi e i fascisti. Insomma un ventaglio che va da chi ha combattuto fino a chi con azioni varie è andato contro il regime nazi-fascista.

LB: Quindi non tanto una mitologia ma una sorta di “movimento della Storia”…

MP: Sì, la cosa più importante è togliere dall’immaginario della Resistenza tutte quelle incrostazioni di retorica che si sono formate nel tempo. Questo è un impegno che l’ANPI e anche il sottoscritto si sono presi da molti anni.

LB: In questo senso un’iniziativa come «Noi partigiani» realizzata a Gad Lerner e Laura Gnocchi è molto importante.

MP: Noi come ANPI abbiamo collaborato, altre istituzioni hanno deciso localmente di non farlo, sono scelte. È un’iniziativa molto interessante e importante, “aperta” perché può essere ampliata o modificata se necessario, e grazie alla rete è disponibile per tutti.

LB: Lei dice che il concetto di Resistenza è in evoluzione. Ma è in evoluzione anche il tipo di persone che aderisce all’ANPI, giovani soprattutto.

MP: Esatto, l’ANPI è l’associazione dei partigiani, ma per ragioni anagrafiche i partigiani non ci sono quasi più, sono ormi pochissimi quelli in vita. Chi aderisce all’ANPI sceglie di essere custode dei valori della Resistenza, che poi sono i valori alla base della nostra Costituzione, la quale – non dobbiamo dimenticarlo – è esplicitamente antifascista. Inoltre i soci dell’ANPI sono impegnati a tenere viva la memoria attraverso i luoghi della memoria sparsi sul territorio, come racconterò nell’incontro del 17 maggio.

LB: Nell’incontro parlerete di montagna. Quella bergamasca è uno dei luoghi simbolo della Resistenza.

MP: Innanzitutto due parole sui luoghi della Resistenza, che non è stata fatta solo in montagna. Ce ne ha parlato molto bene la filmografia sul tema. C’è stata una Resistenza, ad esempio, a Firenze, nel Delta del Po, come in pianura e in città. Sulla questione della montagna non possiamo dimenticare che nella nostra storia la montagna è stata, fra le altre cose, un rifugio. Durante la Seconda guerra mondiale «andare in montagna» significava andare a fare la Resistenza. La montagna è molto importante perché ci consente di analizzare il rapporto tra i partigiani e il territorio. Perché senza i contadini e le donne che abitavano i luoghi di montagna, i partigiani non avrebbero potuto fare niente. Pensi a quante donne hanno rischiato la vita per la Resistenza e ciò non gli è stato riconosciuto quasi mai. Ecco, la montagna è un po’ una cartina al tornasole del rapporto fra partigiani e popolo.

LB: Ci faccia un esempio.

MP: Non ci meravigliamo se andiamo ai Laghi Gemelli e poi scopriamo, dalle foto che abbiamo, che negli anni Quaranta vennero bruciate le baite dei contadini per fare terra bruciata attorno al movimento partigiano in montagna. Giusto per capire l’importanza del rapporto fra i partigiani e la gente di montagna.

LB: Combattere in montagna era anche un’esperienza molto dura.

MP: Dobbiamo ricordarci che bisognava fare i conti con quel territorio. Oggi andiamo in montagna con la giusta attrezzatura che ci ripara dal freddo e ci agevola il movimento, ma allora non era così. Era più difficile pensare di attraversare le nostre montagne con tre metri di neve. Non c’erano i tessuti tecnologici che ci sono oggi, gli zaini pensati apposta.

LB: Quindi c’è anche una questione climatica e tecnica non da poco.

MP: Pensi a quei partigiani che con gli sci nei piedi dai Laghi Gemelli andarono a Rovetta e poi tornarono indietro. Lo fecero con degli sci che non sono quelli altamente tecnologici di oggi, ma sono quelli che noi chiamavamo «palette», di legno, pesantissimi. Quindi si doveva essere molto esperti per fare una traversata del genere. Il clima, il territorio e le stagioni erano fattori determinanti: immagini come era difficile nascondersi in un bosco senza foglie in autunno rispetto ad un bosco d’estate. Oggi con i telefonini ci prenderebbero subito, sanno sempre dove siamo, in barba alla privacy. Ma allora non c’erano e ci si nascondeva nel bosco, ma era diverso che ci fossero le foglie sulle piante oppure no. Sono argomenti che affronto sempre quando parlo della Resistenza agli studenti perché il nostro mondo non è più quello di allora.

LB: Come si può far perdurare questa memoria?

MP: Con il racconto e la visita dei luoghi, che siamo noi a dover farli parlare. La Malga Lunga, ad esempio, è diventata il Museo della Resistenza bergamasca. Io però continuo a dire che l’elemento fondamentale del Museo non sono gli schermi touch per andare a soddisfare le nostre curiosità. Ma è la costruzione stessa della Malga Lunga ad essere importante, perché è così che posso capire come è avvenuta la Resistenza in quei luoghi. Ad esempio lì sono morti otto partigiani, due pugnalati subito fuori dalla Malga Lunga e sei uccisi qualche giorno dopo davanti al cimitero di Volpino.

LB: In che modo spiegherebbe la Resistenza a chi è giovane oggi?

MP: In modo concreto, più che teorico. Certo, è importante studiare la Costituzione, rifletterci sopra insieme ai giovani. Ma sono i luoghi ce ci parlano. Come scrisse Giuliana Bertacchi in una bellissima pagina che abbiamo trovato nei suoi archivi, quando lei invitava a riflettere sul connubio tra storia, memoria e luoghi della memoria per definire un evento memorabile. Quei luoghi della memoria che lo storico Mario Isnenghi chiama «punti di compensazione», perché sono luoghi in cui si costruiscono identità e appartenenze. È importante andare a vedere questi luoghi, interrogarli, lasciare che ci parlino. Non passarvi davanti a testa china, senza osservare, senza domandarsi. Non mi riferisco solo alla montagna, ma anche alla città. Ho scritto un libro nel 2015, «Pietre vive. Monumenti e lapidi della Resistenza bergamasca»: le lapidi ci raccontano la Resistenza e noi dobbiamo far imparare ai giovani l’importanza di questi monumenti. Dobbiamo chiederci insieme a loro cosa ci dicono questi luoghi. Dobbiamo spiegare che la Resistenza è stata prima di tutto una scelta.

LB: Una scelta anche per lei, che è nato nel 1949. Ha mai pensato a cosa sarebbe stata la sua vita senza “l’incontro” con la Resistenza?

MP: Qualche volta ci ho pensato e non sono riuscito a darmi una risposta. I miei genitori mi hanno raccontato dal loro punto di vista cosa fu la guerra, il fascismo e l’antifascismo. Mia mamma mi diceva sempre che la guerra è stata la fame, una delle mie zie che in guerra ha imparato a rubare, altrimenti nessuno avrebbe mangiato. Però l’incontro con la Resistenza l’ho avuto soprattutto con la letteratura: Fenoglio, ma anche Calvino e Vittorini. La letteratura della Resistenza era uno dei temi dell’esame per diventare insegnante, che si svolgeva a Roma. Mi rivolsi allora all’ISMLI, quello che oggi è l’ISREC, e proprio Giuliana Bertacchi mi indirizzò verso questi autori, che avevano già affrontato dei problemi relativi alla Resistenza prima che ci arrivassero gli storici. Da lì ho cominciato un percorso prima con l’ISMLI e poi con l’ANPI che sto facendo ancora, attraverso gli studi e la divulgazione, soprattutto ai giovani. La Resistenza non mi ha mai abbandonato e mi ha insegnato il valore della scelta.

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