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Quando la Fiera Campionaria era alla Celadina (e per me bambino anticipava Santa Lucia e il Natale)

Racconto. Tre padiglioni (in lamiera o tamburati) e tanti stand che incantavano i più piccoli e rendevano la Campionaria un appuntamento imperdibile per i bergamaschi

Lettura 3 min.
(Dall’archivio de L’Eco di Bergamo)

C’è stato un tempo in cui per me la Fiera Campionaria era un appuntamento speciale. Lo aspettavo con ansia, come Santa Lucia e il Natale, anche se a differenza di Santa Lucia e del Natale non portavo letterine, non ricevevo doni e non mi sedevo a tavola con i parenti. Alla Fiera Campionaria si andava a fare un giro, tutti gli anni, qualcosa rimaneva sempre attaccato (una trafila di salamini, ad esempio) e alla fine facevano male le gambe, ma con soddisfazione, perché magari ci si era guadagnati pure un gelato o qualcos’altro.

Perché parlo al passato visto che la Campionaria c’è ancora? Perché sto parlando di quando la Fiera Campionaria era alla Celadina e io, classe 1983, avrò avuto massimo 9-10 anni, quindi nei primi anni Novanta. La Fiera Campionaria, come la Fiera di Sant’Alessandro con le giostre, era dove oggi c’è l’Esselunga: le giostre si sono spostate un poco più a lato; la Campionaria nel nuovo ed elegante Polo fieristico.

Nel piazzale della Celadina veniva costruita una struttura di tre padiglioni. Nei primi anni con delle lastre di lamiera che non tenevano il caldo – e alla Fiera si andava con il cappotto, la sciarpa e la berretta perché era in novembre ma a volte anche in dicembre: fa niente se poi l’ambiente si scaldava con i corpi dei tanti visitatori. Poi nelle ultime edizioni con dei pannelli che mi pare si chiamino (i lavoratori del settore mi perdonino se sbaglio) tamburati, più sigillanti ma anche meno romantici, se vogliamo.

C’era infatti un certo romanticismo sui generis in quei padiglioni di lamiera, con il pavimento di legno e moquette che rimbombava se ci saltavi sopra (Luca smettila!) o se correvi fino a quello stand che attirava la tua attenzione (Luca ti ho detto di smetterla!). E di stand affascinanti la Campionaria “lamierata” ma anche quella “tamburata” ne aveva a bizzeffe.

Prima però due parole sulle entrate e sulle rampe di accesso ai tre padiglioni, che erano collegati da due pendenze (una scendeva, l’altra saliva, dato che i padiglioni erano staccati da terra), mentre le porte avevano delle strisce di plastica spessa a frange, tipo le tende a fili che qualcuno mette sulle porte a balcone: servivano a fermare un po’ il freddo ma potevi anche prenderle in faccia e facevano un male cane, giustificato però dalla Bengodi merceologica rinchiusa in ogni padiglione.

Non ricordo se i padiglioni fossero tematici, tuttavia ho ben presente che per me l’ultimo dei tre, quello dedicato al cibo, era il gran finale: c’erano le focacce genovesi, i taralli (offerti al pubblico allungando una paletta da cucina), le grandi ceste di olive pugliesi e lampascioni immersi nell’olio e variamente conditi, un florilegio di stand di salumi di tutti i tipi e varie regioni (prosciutti crudi, speck, coppe, lonzini, salamini di maiale, cervo, cinghiale, tre per dieci mila lire), formaggi a dir poco assortiti e decine e decine di assaggi – tanto che quasi ci potevi cenare alla Fiera Campionaria, c’era pure il dolce: il mitico bicchierone di plastica con strato di biscotto, strato di crema di cioccolato e panna montata, nelle varianti zuppa inglese o affogato al caffè (a pagamento, perché una leccornia simile però è giusto che sia a pagamento).

Ma siccome non vorrei passare per quello che pensa a mangiare e basta – anche se ero un piccolo preadolescente grassottello, lo ammetto – vi dirò che a me della Fiera Campionaria interessavano, ma che dico interessavano, stregavano almeno altre due cose: le vasche da bagno lussureggianti e gli stand che presentavano quell’aggeggio da cucina che affetta, sminuzza, tritura qualsiasi cibo commestibile.

Ora, non fate i pauperistici: chi non ha mai sognato di avere una vasca da bagno grande, rialzata, con tre scalini per entrarvi, idromassaggio e getto d’acqua tipo cascatella? Una cosa che ispira relax solo a guardarla, tutta marmi e rubinetti lucenti, con quel piccolo schermo che comanda tutto: temperatura dell’acqua, intensità dell’idromassaggio e magari anche la musica (rigorosamente soft). Una mini-spa casalinga per le giornate d’inverno o per quelle troppo stressanti: piccole grandi cose che migliorano la vita.

E il tritatutto? Lo stand del tritatutto, sempre affollato, era puro show. Con la bocca spalancata, dritto sulle punte, mi fermavo a guardare questo signore (un cuoco? Un mago? Una specie di samurai in cucina?) che faceva a pezzetti carote, cipolle, zucchine, patate, in diverse forme e grandezze dietro una tavola imbandita con ogni bendidio. Uno spettacolo di lame, luci, colori, condotto con la destrezza di un teatrante di lunga esperienza, che affettava una mela in quattro parti con un solo, energico gesto.

Quello che però mi ricordo più di tutto della Fiera Campionaria è la gente. Tantissima gente, sempre e comunque. C’è uno spirito fatto di curiosità, di voglia di scoprire, di assaggiare, di lasciarsi incantare dalla bellezza delle cose (lo stand regale degli abiti da sposa, quello dei giochi magici contornato di bambini), e, perché no, di sognare, che ha sempre caratterizzato la Fiera Campionaria, quand’era lamierata o tamburata alla Celadina e quando si è spostata nella sede più bella e ariosa del Polo fieristico.

La Fiera Campionaria era un evento allora e lo è anche oggi. Per me e per tanta altra gente. Quest’anno dal 28 ottobre al 1 novembre – con le novità in materia di mobilità sostenibile, gli ultimi ritrovati tecnologici per la casa, l’orientamento al lavoro, il settore cibo e bevande – tornerà a stupire i bergamaschi, compresi i tanti ex bambini di 9 anni, oggi diventati adulti, che ne hanno fatto la storia, semplicemente visitandola.

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