93FE310D-CB37-4670-9E7A-E60EDBE81DAD Created with sketchtool.
< Home

Genitori che amano gli smartphone (e i loro figli)

Articolo. Il nostro utilizzo quotidiano dei device è spesso causa di «tecnoferenza», cioè di un’interferenza della realtà che stiamo vivendo, senza troppe eccezioni. Attuiamo o subiamo questa forma di sospensione a favore del virtuale in ogni contesto: a scuola, al lavoro. E in famiglia. Dove, nel rapporto genitore-figlio, entra in gioco la dimensione tecnologica ma anche quella psicologica di genitori che a volte sono troppo smartphone addicted

Lettura 6 min.
(foto BGStock72)

Da quando l’evoluzione tecnologica di quello che un tempo chiamavamo «cellulare» ha trasformato un normale – e ai nostri occhi contemporanei «antiquato» – telefono portatile in un device multiuso, che definiamo comunemente smartphone, è cambiata di parecchio anche la qualità e la quantità della nostra interazione con esso. È scontato dirlo: oggi la chiamata telefonica è solo uno dei tanti utilizzi dello smartphone, e neanche il più frequente. Oltre a chiamare, uno smartphone ci consente di tenere rapporti con altre persone tramite chat e app di messaggistica, ci può fornire in un tempo minimo una quantità di informazioni enorme, ci consente di scattare, modificare e pubblicare fotografie e anche di dare un’aggiustatina alla nostra identità per come vorremmo che fosse, una sorta di idealizzazione di noi stessi fatta di pixel e silicio.

Lo smartphone è diventato in pochi anni una protesi digitale della nostra mano, quindi del nostro braccio e del nostro cervello; ha liquefatto il confine fra reale e virtuale in quella specie di terra di mezzo che il filosofo Luciano Floridi ha definito onlife e ha radicalmente cambiato i nostri rapporti sociali, la politica, la musica, l’arte e molto altro. Insomma ha cambiato tutto.

«Scusa, stavamo dicendo?»

Quando siamo seduti a tavola face to face con un’altra persona è facile che la nostra conversazione venga interrotta da una chiamata, da un messaggio di WhatsApp o da qualche altra interferenza digitale portata in scena dallo smartphone, per cui una cena galante o fra amici non è mai a due , ma a quattro (noi e i nostri rispettivi smartphone) – e per paradosso potremmo dire infine che questa cena non è solo a quattro ma potenzialmente a tutti . Perché tutti possono intervenire sul nostro o l’altrui device modificando il nostro umore in positivo o in negativo, bisbigliandoci qualcosa sulla persona che abbiamo davanti o semplicemente portandoci via per qualche minuto in un altrove digitale, per cui al ritorno spesso la frase che riallaccia la conversazione al tavolo del ristorante è «Scusa, stavamo dicendo?».

Per non parlare poi di quelle coppie sedute una di fronte all’altra che scrollano i rispettivi smartphone senza dirsi una parola, perché ad un certo punto annegano – loro e la conversazione – in quell’abisso di silenzio dove a salvarli c’è solo la barchetta dallo schermo bluastro battente bandiera Facebook. E allora a quel punto forse il minutaggio passato con lo smartphone in mano può essere una buona cartina al tornasole su quanto la storia in corso, o il primo appuntamento finito in noia, possano (ancora) durare.

Tutta questa rete di sospensioni ha un nome. Si chiama «tecnoferenza», cioè il ripetersi di interruzioni tecnologiche in un’interazione faccia a faccia. Con possibili conseguenti distrazioni, diminuzioni di empatia, autentiche brevissime nemesi di ciò che stavamo dicendo. Un fenomeno diffusissimo, quotidiano, che non riguarda solo la cena al ristorante ma – giusto per fare qualche esempio – la scuola, le riunioni di lavoro, i raduni di massa tipo i concerti e anche, parola di chi scrive, le partite a tennis. Quindici, trenta, quaranta. Squilla una notifica.

Cosa succede, invece, quando la tecnoferenza, come un qualsiasi chihuahua voluto da mamma o l’abbonamento a Sky Sport fatto da papà, entra in famiglia?

Ritratto di famiglia con smartphone

Non è difficile oggi trovare contesti famigliari in cui ogni congiunto possiede uno smartphone . La mamma, il papà, i figli – anche quando sono piccoli, sette o otto anni, «Cosa vuoi di regalo per la tua prima comunione Lorenzo?» «Lo smartphone». Del resto ce l’hanno tutti gli amici, no? E tu genitore smartphonizzato hai paura che «rimanga indietro».

Scriveva tale Alessandra, quindici anni, a Claudio Rossi Marcelli per la rubrica «Dear Daddy» su Internazionale di qualche settimana fa: «mio padre è un patito di Candy Crush». Rispondeva fra le righe Marcelli: «Solo pochi giorni fa mi sono trovato a dire alle mie figlie: “E staccatevi da quei cellulari!” Ma il bello è che gliel’ho detto senza neanche togliere gli occhi dal mio». Perché se di tecnoferenza in famiglia vogliamo parlare, il problema riguarda certamente i figli, che stanno ore con il loro smartphone in mano, ma pure i genitori. E il metro qualitativo e quantitativo dell’uso di uno smartphone (o di un altro device: dal computer al tablet) da parte di un genitore può influenzare fortemente le pratiche genitoriali nei confronti dei figli.

«Psychological distress, technology use, and parenting»

Può sembrare un’osservazione banale, ma non lo è. Almeno a leggere una ricerca dell’Università di Waterloo, in Canada, pubblicata quest’anno su Computers in Human Behavior, prestigiosa rivista scientifica nell’ambito della psicologia e delle interazioni uomo-computer: «Caregivers’ psychological distress, technology use, and parenting: The importance of a multidimensional perspective» di Jasmine Zhang, Sheri Madigan e Dillon Browne (tradotto: «Il disagio psicologico dei genitori, l’uso della tecnologia e la genitorialità: L’importanza di una prospettiva multidimensionale»).

Secondo questo studio – focalizzato sul primo periodo della diffusione della pandemia da Covid-19 e mirato a coinvolgere donne e uomini di diversi stati (Inghilterra, Stati Uniti, Australia) – i genitori che consumano media digitali in abbondanza hanno maggiori probabilità di impegnarsi in pratiche genitoriali negative.

Se è vero che lo studio è condotto su una situazione pandemica, è altrettanto vero che si tratta di una situazione di stress collettivo che però può essere applicata anche alle situazioni di stress “privato”, cioè quelle quotidiane che viviamo tutti, ovviamente non meno rilevanti per l’equilibrio famigliare. Secondo la ricerca, l’aspetto importante da considerare nel rapporto fra genitori-con-smarphone e figli-con-smartphone è il benessere psicologico dei genitori, un punto fino ad oggi trascurato in questo tipo di studi, a favore del benessere psicologico di bambine e bambini rapportato ai device.

«Tutti i membri di una famiglia sono importanti quando cerchiamo di capire le famiglie in una società satura di tecnologia», ha spiegato a commento della ricerca Jasmine Zhang, autrice principale dello studio. «Non sono solo i bambini a utilizzare spesso i dispositivi. I genitori usano i media digitali per molti motivi e questi comportamenti possono avere un impatto sui loro figli».

Ma quali sono i motivi? E quale può essere l’impatto sui figli? Durante la pandemia i genitori coinvolti nello studio hanno trascorso dalle tre alle quattro ore al giorno “attaccati” ai media digitali, smartphone in primis – i partecipanti alla ricerca sono stati 549 in tutto: genitori di almeno due figli di età compresa tra i 5 e i 18 anni, di diversa estrazione sociale e fascia economica, che hanno fornito informazioni sull’uso del digitale, sulla propria salute mentale e su quella dei figli, sul funzionamento della famiglia e sulle pratiche genitoriali.

Le motivazioni di questo “attaccamento” sono varie: relax, fuga dalla realtà, ricerca (a volte anche spasmodica) di informazioni e mantenimento di contatti personali (necessario durante il lockdown). Gli stati d’animo più frequenti riguardano invece la stanchezza fisica e mentale, lo stress, l’angoscia financo la depressione. «I ricercatori hanno riscontrato che i genitori con livelli di disagio più elevati – si legge nello studio – si impegnano in un maggior numero di attività d’interazione con uno schermo e sono più propensi a ricorrere ai dispositivi per rilassarsi. Questo consumo era correlato a pratiche genitoriali negative come l’assillo e le urla. È emerso inoltre che i comportamenti negativi dei genitori erano più probabili quando la tecnologia interrompeva le interazioni familiari. L’esperimento non si è concentrato su applicazioni o siti web specifici utilizzati dai genitori, ma ha rilevato che i genitori che trascorrono tempo sugli schermi si allontanano dall’essere presenti in famiglia, il che è correlato a pratiche genitoriali negative».

La ricerca, in realtà, non è completamente negativa ed evidenzia la complessità del rapporto genitori-smartphone-figli : «non tutto il consumo di media era correlato a risultati negativi: il mantenimento di connessioni sociali – sottolineano gli studiosi – attraverso i canali digitali era correlato a livelli più bassi di ansia e depressione e a livelli più alti di pratiche genitoriali positive, come ascoltare le idee dei figli e parlare delle cose buone che i figli fanno». Ma gli stessi ricercatori sottolineano che questo aspetto andrà approfondito in ulteriori studi.

Ovviamente la ricerca va tarata sul presente, che però è tutt’altro che pacificato, ma può mescolare ad esempio eventuali strascichi post-Covid all’angoscia inaspettata per una guerra in corso dagli esiti più che mai incerti. Se quella del Covid-19 era uno stato di eccezione profondo, ancora oggi viviamo in una situazione anormale, che può essere un fattore di malessere. A ciò va poi aggiunto anche lo stress personale dato dal lavoro, dalla stessa famiglia e da situazioni talmente personali che qui non è possibile indagare.

Lo specchio dell’anima

Tirate le somme, l’uso della tecnologia in famiglia può essere un fattore negativo quando diviene una tecnoferenza eccessivamente invasiva; ma al contempo può essere un mezzo per raggiungere un livello di benessere psicologico che consente una genitorialità sana. Senza contare che non è detto che uno smartphone debba per forza essere uno strumento da usare in isolamento, ma può essere condiviso con i figli, diventando anche un ulteriore mezzo di conoscenza del loro mondo.

Tuttavia la fuga e il riparo dalla realtà che ci può dare un device testimoniano prima di tutto il nostro stato di salute psicologica. Ciò vale non solo per i genitori: non è una questione di numero di ore che si trascorrono davanti a uno schermo o di cosa si guarda (un social network o un giornale online). Semmai la questione, come per ogni strumento, è come lo si usa. La risposta risiede in un’azione di sincera (auto)consapevolezza del nostro rapporto con la tecnologia e con le persone intorno a noi: parafrasando il celebre detto, (l’uso di) uno smartphone è lo specchio dell’anima.

Approfondimenti