93FE310D-CB37-4670-9E7A-E60EDBE81DAD Created with sketchtool.
< Home

«Nella rete dei social»: il volto oscuro delle piattaforme digitali

Articolo. Il saggio scritto da Claudio Ceruti (Prospero Editore, 2021) riconosce la dimensione sociale di piattaforme come Facebook, in un processo di lungo periodo che attinge dalla storia per ricordarci che la tecnologia dovrebbe essere al servizio dell’intelligenza collettiva e non il contrario. Ma oggi è davvero così?

Lettura 5 min.
(Foto Twin Design - Shutterstock.com)

Mi ricordo che qualche anno fa, nelle app di messaggistica e sui social, cominciò a diffondersi una bufala nella quale si annunciava con tono decisamente catastrofico e allarmistico che dall’indomani, l’accesso ai social network e in particolare a Facebook, sarebbe potuto avvenire solo previo pagamento di una somma di denaro da versare giornalmente.

Nonostante le smentite, la notizia tornava in voga dopo pochi giorni, cambiavano la forma e le tariffe ma il contenuto di fondo rimaneva pressocché immutato. A risolvere tutto (o quasi) ci pensò il buon Mark Zuckerberg, che nella pagina di log-in della piattaforma fece comparire la magica scritta: «Iscriviti a Facebook, è gratis (e lo sarà sempre)». Quella parentesi tonda conteneva un messaggio che suonava divertente sul momento, ma che serviva in realtà per mettere a tacere le provocazioni di chi diffondeva notizie false facendo leva sulla paura di non poter accedere a quello che è a tutti gli effetti un contenitore di notizie, collante sociale, album di fotografie quotidiane e diario aperto da sottoporre allo sguardo altrui (ne abbiamo parlato qui).

Ero giovane e ingenua e, pur sapendo che Facebook sopravvive grazie agli introiti della pubblicità, non ho mai voluto approfondire questo aspetto, rifugiandomi nell’idea che per evitare un uso improprio dei miei dati, bastava semplicemente non condividerli.

Poi sono cresciuta, ho studiato e oggi coi social network ci lavoro. Ho ben chiari i meccanismi attraverso i quali i social network profilano le informazioni degli utenti che “accettano tutto”, ovvero le condizioni di accesso, regalandoci la nostra dose di intrattenimento quotidiano, e ancora oggi preferisco spuntare senza leggere. O vorreste farmi credere che vi siate mai presi la briga di leggere per filo e per segno la privacy policy dei siti web?!

La verità è che dietro a questo monitoraggio costante che ci presuppone soggetti passivi, ruotano interessi molto più grandi, che non hanno solo a che fare con i contenuti che postiamo. O, più precisamente, i cui profitti si basano sulla monetizzazione dei contenuti e delle informazioni che tramite i suddetti contenuti trapelano di noi.

Ma in che modo queste informazioni vengono elaborate e quanto ne siamo consapevoli? E cosa succede quando i contenuti che si postano in rete violano le regole della community o, ancora peggio, vengono utilizzati in modo strumentale dalle organizzazioni terroristiche? C’è qualcuno che si interroga sulla correlazione tra i contenuti che i giovani postano sui social network e l’aumento del tasso di suicidi? E soprattutto, quali sono i meccanismi per evitare di rimanere intrappolati nella rete dei social?

Il punto è che le piattaforme sono gestite e possedute da imprese private che sostengono che i servizi offerti vadano a vantaggio dell’interesse pubblico, nascondendo i loro interessi privati dietro alla bandiera del bene comune. Come fare, dunque, per smascherarli?

Verso una realtà più reale

Ogni capitolo del libro comincia con un episodio della storia che solo apparentemente è antecedente alla diffusione dei social network. Affermare che i social network siano un prodotto sociale significa riconoscere che tutte le trasformazioni che si riconducono frettolosamente alla moderna pervasività della tecnologia siano in realtà l’esito di movimentazioni politiche, sociali, culturali, ma soprattutto di scelte economiche ed etiche.

Così, ad esempio, le origini della cibernetica sono da ritracciare nella teoria del controllo, principio applicato per la prima volta nella Seconda Guerra Mondiale per la realizzazione di sistemi di gestione delle armi e della logistica che si sostituissero all’intervento umano, considerato già troppo lento e inefficiente rispetto alla precisione del calcolatore.

La teoria della cibernetica si fonda su un’analogia tra le funzioni biologiche dell’organismo e il funzionamento dei primi calcolatori, in base alla quale si verifica un continuo scambio di informazioni tra un determinato agente e l’ambiente in cui è immerso, con l’agente che agisce e reagisce sulla base degli stimoli ricevuti dall’ambiente stesso.

Questa teorizzazione venne fatta propria per la prima volta dal governo cileno negli anni ‘70 per la realizzazione di un Governo socialista tramite l’applicazione di un meccanismo di controllo che si basava sull’uso di calcolatori. Questi avrebbero dovuto monitorare il benessere dei cittadini, sottoponendoli ad una osservazione continua delle loro attività, finalizzata alla raccolta delle informazioni.

L’esperimento fu fallimentare ma rappresenta un esempio calzante per comprendere come il funzionamento di una tecnologia sia il prodotto di una determinata visione ideologica che ha come unico obiettivo quello di riaffermare sé stessa.

Allo stesso modo, nel saggio si mette in evidenza come il tentativo di inglobare la complessità delle relazioni in variabili misurabili (cosa che avviene coi social network che incamerano l’eterogeneità dei rapporti umani) produce una versione alternativa della realtà che inevitabilmente procede per sintesi e selezioni. Essa non può tenere conto della complessità del reale, ma è così pervasiva da diventare ancora più reale della realtà stessa.

Una tecnologia al servizio dell’umanità

Le piattaforme di social network basano il loro successo sulla capacità di raccogliere enormi quantità di dati che vengono generati ogni qual volta un utente clicca su un’icona o naviga la sezione di una pagina. Questi dati vengono immagazzinati e processati per essere poi essere venduti a terze parti, rilasciando informazioni molto dettagliate sui comportamenti degli utenti: dal numero di volte in cui cliccano su un link fino al tempo di permanenza su una pagina.

Vista la miriade incalcolabile di dati che si generano in ogni secondo, sarebbe piuttosto controproducente una rielaborazione basata unicamente sull’intervento umano. È qui che entrano in gioco gli algoritmi che elaborano le informazioni. Essi non sono altro che istruzioni automatizzate che trasformano i dati in entrata negli output desiderati. Così, ad esempio, gli algoritmi del News Feed che compare nell’homepage di Facebook determinano i contenuti ai quali siamo esposti analizzando le interazioni con la propria cerchia di amici e con gli amici degli amici.

Ceruti allora riflette su come questi modelli predittivi diventano strumenti dai quali si sviluppano profezie che si autoavverano che impattano anche sulle interazioni degli utenti: «questi ultimi si troveranno a produrre e intrecciare relazioni in una forma sempre più definita dalle “previsioni” della rete sociale digitalizzata».

E se la prospettiva di una bolla sociale potrebbe essere paragonata ai rapporti che si instaurano con il proprio mondo vicino, prendere coscienza dell’applicazione di questi modelli predittivi diviene disturbante se si pensa che gli stessi sono fatti propri anche dalle organizzazioni terroristiche, come l’ISIS, per la quale l’uso degli hashtag e dei contenuti virali sono stati due fattori chiave per l’affermazione di un vero e proprio Califfato virtuale rivendicato nel 2014.

La stessa origine dei gruppi complottisti sarebbe, secondo Ceruti, da ricercare nell’affermazione di posizioni antitetiche che, proprio perché prive di sfumature, portano gli utenti a interagire con esse, contribuendo ad aumentarne la popolarità in maniera sempre più esponenziale. Ciò avviene anche perché i sostenitori delle idee complottiste tendono a interagire al di fuori della loro cassa di risonanza per andare alla ricerca di proseliti o per scontrarsi con chi la pensa diversamente.

I complottisti si alimentano della percezione di trovarsi in una posizione privilegiata rispetto alla capacità di leggere la complessità del reale, andando alla ricerca di simboli e gesti che, se correttamente interpretati, possono portare a galla il complotto.

Ma perché gli algoritmi attribuiscono rilevanza a tali contenuti? Perché l’unico obiettivo della piattaforma è di massimizzare il tempo che gli utenti trascorrono sui social, senza preoccuparsi di analizzare la pericolosità dei messaggi veicolati.

Il prezzo di una libertà imbrigliata

Analizzando i sinonimi della parola «rete» ci si può rendere conto di come essa si associ per sua definizione ad un’insidia, diventando un’arma a doppio taglio. Essa può essere intesa come un inganno, un intrigo, o addirittura un agguato. Ma c’è davvero qualcuno che ci protegge dall’altro lato dello schermo?

La questione della moderazione dei contenuti genera ulteriori problemi di tipo etico, prontamente sviscerati da Ceruti. Poiché rimettendo i meccanismi di vigilanza e di controllo di nuovo nelle mani della componente umana, espone gli stessi moderatori a contenuti disturbanti, con conseguenze devastanti a livello psicologico. Conseguenze alle quali Facebook, Twitter, Google e co. rispondono elargendo cospicui risarcimenti e chinando la testa.

«Nella rete dei social» può dunque essere inteso come un monito che riflette su come gli stati emotivi possano essere fortemente influenzati dall’esposizione ai contenuti dei social, invitando gli utenti ad un uso non solo consapevole ma anche alternativo e indipendente.

Non si tratta, in ultima analisi, di ricondurre tutto alle teorie sui meccanismi di condizionamento che negli anni ’70 demonizzavano la televisione, ma di fare della rete un vero e proprio ambiente che con i suoi stimoli incide sullo stato d’animo dei soggetti che agiscono al suo interno, nel bene e nel male.

Riconoscere le dinamiche di engagement all’interno del digitale è dunque il primo passo per una ribellione dal basso ad un’economia dell’attenzione nella quale l’umanità è ricondotta ad un contenitore dal quale estrapolare dati, anche a costo della morte. Purché questa diventi virale.

Approfondimenti