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Riflessioni di «roboetica»: come il futuro intelligente dei robot ci deve costringere ad essere migliori

Articolo. In una manciata di anni la nostra interazione con i robot di servizio è destinata ad aumentare. Ci aiuteranno nelle faccende di casa e nel lavoro d’ufficio, ci trasporteranno in luoghi diversi e saranno nostri assistenti virtuali nel mondo ampliato del metaverso. Per interagire al meglio con loro non dovremo cercare di imitarli o di essere più intelligenti, ci basterà essere qualitativamente diversi

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(foto Willyam Bradberry)

Immaginiamo di avere a che fare con un robot domestico bianco, dalle linee simpatiche e arrotondate, che con la sua forza è in grado di sollevare il nonno dal letto e posizionarlo comodamente sulla sua poltrona preferita. Quest’immagine non solo ci fa sorridere, ma ci rivela quanto queste macchine intelligenti possono essere utili per la nostra quotidianità. Al contrario, pensiamo ora di essere in fuga, in un bosco e ritrovarci di fronte a un robot umanoide alto due metri, in acciaio e completamente armato, programmato per rintracciare ed eliminare i nemici. A quel punto i nostri dubbi sull’eticità dell’utilizzo dei robot aumenterebbero a dismisura. Non c’è umanità nei robot, non c’è possibilità di mediazione e questo complica terribilmente il nostro rapporto con loro.

Eppure le macchine non pensano da sole, vengono istruite a un pensiero e questa «intelligenza artificiale» non deriva da altri che dagli uomini che li progettano e programmano. Di questa parte fondamentale dell’interazione robot-uomo si occupa la roboetica, disciplina nata nel 2004 che studia l’etica di coloro che progettano e costruiscono macchine intelligenti.

Per capire quanto questa scienza sarà sempre più indispensabile nella nostra vita abbiamo parlato con Gianmarco Veruggio, scienziato robotico sperimentale, studioso delle implicazioni etiche, legali e sociali della robotica oltre che visionario e divulgatore degli scenari futuri conseguenti all’invasione robotica della società.

«Il primo problema – spiega Veruggio – è far comprendere qual è la reale portata della robotica. In questo momento della nostra vita il robot non è la l’elettrodomestico o la macchina a guida autonoma, ma un’entità molto fluida. Si tratta di macchine collegata in rete e i programmi che la fanno muovere sono una piccolissima parte dentro questo cervello più grande che è la rete».

Non è semplice capire la differenza fra dispositivo, applicazione e intelligenza artificiale, ma lo scienziato spiega come per comprendere quali sono i veri rischi dell’interazione uomo-macchina noi stessi dobbiamo riuscire ad andare oltre il device che abbiamo davanti: «Alexa o Ok Google non fanno niente in realtà , semplicemente trasmettono su un server lontano chilometri il campionamento della nostra voce, che qui viene interpretato e tradotto nel comando che invia i dati del brano dei Pink Floyd che abbiamo richiesto. Dentro Alexa non c’è niente di “intelligente” e anche i robot che acquisteremo in futuro saranno semplici entità che per servirci dovranno essere connessi alla rete». Questa è la questione principale. Se le macchine sono di fatto estensioni personalizzabili di un cervello centrale, la vera domanda da porre alla tecnologia diventa come e da chi viene gestito questo processo?

«Esattamente – spiega Veruggio – anche perché di fatto questi dispositivi robotici che ci porteremo in casa hanno bisogno di studiarci, di raccogliere informazioni su di noi per poterci servire al meglio. Noi lo accettiamo perché ricaviamo dei vantaggi, ma spesso non siamo consapevoli di trovarci di fronte a dei database che raccolgono informazioni che mandano a terzi. Tutta questa conoscenza di noi, non sappiamo realmente in che mani finisce e per quali fini può essere utilizzata».

Poi lo scienziato prosegue: «Questo essere umanoide che abbiamo in casa è un cameriere ma è anche una spia e noi viviamo in un contesto nel quale non possiamo più avere certezze su ciò che ci circonda. Non sappiamo realmente a chi stiamo dando informazioni. È un’entità malvagia o buona? È un delinquente che vede dalla nostra applicazione che noi stiamo facendo un allenamento in bicicletta lontano da casa o qualcuno che ci aiuta nella gestione dello spreco alimentare ricordandoci cosa abbiamo in frigorifero?».

Domande lecite che devono fare il paio con la realtà dei fatti. La maggior parte delle persone soppesa il vantaggio dato dall’applicazione con la quantità di dati richiesti e molto spesso decide che l’utilità del dispositivo è maggiore del possibile pericolo, demandando a organi più specializzati la funzione di controllo. Ma come può avvenire questo controllo è un’altra questione aperta, poiché le attuali disposizioni di privacy presenti in rete sono, di fatto, delle lungaggini burocratiche che non svolgono la loro reale funzione di tutela dei consumatori.

«Un primo passo importante sarebbe quello di dotare ogni robot di una “scatola nera” sigillata, come quella degli aeroplani, che permetta di analizzare nel dettaglio qualunque malfunzionamento o incidente. Poi occorre lottare per imporre la trasparenza dei sistemi operativi e dei programmi e la possibilità di bloccare la propria trasmissione di dati, diversamente da quanto avviene attualmente per gli smartphone che sono praticamente al di fuori del nostro controllo».

Ma tra le soluzioni possibili per affrontare positivamente il nostro rapporto con i robot lo scienziato e divulgatore, indica anche la possibilità di modificare la nostra stessa intelligenza: «Se ci crediamo, possiamo fare in modo che il futuro della robotica e dell’intelligenza artificiale si orienti verso un vero progresso umano, sociale e civile e non verso un maggior controllo, sfruttamento ed oppressione dell’umanità. Per confrontarci con questa tecnologia strapotente dovremo sviluppare la nostra intelligenza emotiva non quella formale, la nostra capacità di intuire, sognare, progettare e comprendere».

Questo dunque lo sforzo più complesso che la tecnologia e l’evoluzione dei robot ci chiede di fare, per poter realmente iniziare quello sviluppo positivo e quell’umanesimo digitale che alcuni sognano per liberarci dalle meschinità umane.

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