In gioventù spesso mi sono recato in Cornagera per apprendere i rudimenti dell’arrampicata. Conservo un bel ricordo di quelle scorribande anche se, per lungo tempo, non sono più tornato in zona. Normalmente l’accesso alla Cornagera avviene dalla località Cantùl, alle porte di Aviatico. L’escursione di oggi ha invece inizio dal Colle di Ganda (1080 m) per cogliere appieno il contrasto tra l’accogliente paesaggio rurale del borgo di Ganda e quello aspro e selvaggio della Cornagera.
La Cornagera
La toponomastica del luogo è molto esplicita: Ganda deriva dal termine celtico «gant» (frana), identificabile con il materiale roccioso staccatosi dalla Cornagera in tempi remoti. Il nome Cornagera ha un’origine più nostrana: «corna» in dialetto significa roccia mentre «gera» identifica una pietraia. Alzando gli occhi verso il monte tutto ciò trova riscontro. Pinnacoli rocciosi e ghiaioni caratterizzano il paesaggio. Qualcuno azzarda che Cornagera derivi invece da «cornagia» (cornacchia). Entrambe le ipotesi sembrano plausibili ma preferisco la suggestione che evoca la prima.
Al Colle di Ganda imbocchiamo la strada cementata che risale il versante orientale, tra casolari rustici e casette di villeggiatura. Siamo sul sentiero CAI n° 521. Dopo aver costeggiato uno splendido roccolo ora convertito a dimora privata, si giunge al cospetto dell’Osservatorio astronomico delle Prealpi Orobiche, riconoscibile dalla cuspide tonda che custodisce il potente telescopio. Inaugurato il 31 maggio 1999, l’osservatorio è gestito dal Circolo Astrofili Bergamaschi ed apre gratuitamente al pubblico il primo venerdì di ogni mese (è necessaria la prenotazione). Mentre risaliamo i prati che adornano le pendici della Cornagera, volgiamo lo sguardo all’indietro per catturare panorami sempre più ampi sulla Valle Seriana. Superate alcune belle cascine e raggiunti i pascoli più alti, si piega sul versante meridionale, addentrandosi nel bosco.
Il paesaggio cambia repentinamente: il pendio diviene ripido mentre davanti a noi appaiono i contrafforti rocciosi del monte. Ignoriamo alcune deviazioni per il Monte Poieto e, in breve, ci troviamo al cospetto delle guglie di dolomia della Cornagera: sono i torrioni Longo, Garlini, la Torre Savina e i Gemelli, pinnacoli rocciosi che hanno forgiato intere generazioni di alpinisti bergamaschi. Nel corso della storia, la Cornagera è stata rifugio per gli abitanti di Aviatico in fuga dalle orde barbariche che imperversavano nel fondovalle. Si narra anche che quassù si ripararono le genti della zona spinte dalla paura dell’avvento dell’anno 1000. Sempre in Cornagera le popolazioni dell’altipiano si ritirarono per scampare alla peste portata dai Lanzichenecchi nel 1630. È suggestivo aggirarsi tra i torrioni lasciandosi sedurre dall’atmosfera avventurosa del luogo.
In corrispondenza delle prime torri intercettiamo il sentiero CAI n° 537, proveniente dalla località Cantùl. Da adesso il percorso diviene comune e compaiono entrambe le numerazioni. Oltrepassate le guglie più alte, le sorprese continuano: entriamo in un vallone racchiuso tra pareti verticali e ghiaioni. Un piccolo canyon che si insinua nel cuore della montagna, offrendo scenari che si trasformano ad ogni passo: pinnacoli e pietraie, anse e piccole forre, luci ed ombre. Due anni fa ho avuto l’occasione di percorrere il “labirinto” (così viene chiamato) dopo una copiosa nevicata … un’esperienza imperdibile! Proseguiamo lungo il canyon fino ad intercettare un cartello che indica la via per la cima della Cornagera. Non esitiamo a seguirlo. Va ricordato che questo tratto è consigliato solo ad escursionisti esperti: si supera con facile arrampicata una piccola balza rocciosa e, giunti in cresta, la si rimonta fino alla cima. Il sentiero richiede attenzione e assenza di vertigini. In pochi minuti guadagniamo la vetta (1317m).
La croce domina tutto l’altipiano proiettandosi fino alla pianura. In posizione più appartata sorge una bella statua della Madonna con le mani rivolte a protezione delle popolazioni sottostanti. Mentre ammiriamo il panorama un deltaplano vola libero e silenzioso davanti ai nostri occhi. Tornati nel canyon, riprendiamo il sentiero in direzione del Monte Poieto. Il tracciato si insinua nei meandri del labirinto. Un’altra sorpresa si presenta dinnanzi a noi: il «buco della Carolina», una strettissima fessura tra pareti verticali in cui si procede con le spalle a sfioro delle rocce. Sembra di muoversi all’interno di in una grotta!
Il nome suscita molta curiosità. L’etimologia è da far risalire alla seconda guerra mondiale. Dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943, numerosi militari si diedero alla fuga per evitare di essere internati nei campi di lavoro in Germania. Alcuni di questi si nascosero nell’angusto pertugio per sfuggire ai rastrellamenti. Per meglio immedesimarsi nel racconto utilizzo le parole di Aurora Cantini, poetessa e scrittrice originaria di Amora. Suo padre Mansueto era uno di loro: «se ne rimasero incastrati nella morsa della roccia, mentre sopra, sul crinale ricoperto di cespugli sempreverdi, avanzavano i soldati un tempo amici. Perlustravano, scrutavano ogni apertura, cogliendo ogni minimo rumore o segno di presenza umana. Là sotto, i ragazzi – non avevano più di 18-20 anni e Mansueto era uno di essi – pregavano di poter uscire vivi, di restare vivi. Una invocazione alla Madonna, la madre di tutti, ed una alla morosa, la Carolina, in un ardente sogno di poterla riabbracciare. Da allora è per tutti il buco della Carolina». Fuoriusciti dal «buco» veniamo colti da un insolito senso liberatorio!
Raccolgo il suggerimento dell’amica Maria di Selvino che mi ha raccontato la storia della Madonnina russa: in uno di questi anfratti rocciosi esiste una minuscola effigie mariana incastonata nella roccia chiamata «Madonna dei Partigiani». Accanto è incisa la data del 18 settembre 1944. Si tratta di un’icona russa, portata quassù da soldati russi in fuga dai rastrellamenti nazifascisti, soldati che si unirono alla lotta partigiana di liberazione. Mi affanno ripetutamente addentrandomi nei cunicoli alla ricerca della Madonnina, ma invano. Torneremo senz’altro in Cornagera, in compagnia di Maria, per scovare e ammirare la Madonnina russa. Interessante anche sapere che fino agli anni sessanta, i contadini del posto solevano accumulare la neve in alcune di queste cavità. La neve, ben compressa e al fresco delle rocce, si conservava fino all’estate quando veniva prelevata e utilizzata per far rapprendere la panna e trasformarla in burro.
Il Monte Poieto
Proseguiamo sul sentiero che si addentra nel bosco fino ad intercettare la pista da sci, in corrispondenza di un curvone. La cima del Monte Poieto (1360m) si può raggiungere seguendo il sentiero che percorre il crinale meridionale del monte oppure risalendo il ripido tracciato della pista. Scegliamo il sentiero. In pochi minuti passiamo dall’aspro ambiente della Cornagera all’amenità dei prati del Poieto. Qui è tutto un brulicare di gente, molti salgono al rifugio approfittando della cabinovia. Il prato antistante il rifugio è il luogo ideale per il relax e il picnic.
Il ritorno avviene percorrendo un breve tratto del sentiero CAI n° 523, in direzione di Orezzo. Siamo sui pendii che un tempo erano le piste di sci del Poieto. Vengo catapultato nei ricordi alla mia prima gara di slalom degli Studenteschi, quando frequentavo il liceo. Allora la neve era abbondante e con gli sci si arrivava tranquillamente fino ad Aviatico. La vista sulla Valle Seriana e la Val Gandino accompagna questo tratto di discesa. Raggiunta la «cà di spì» (1220m) prendiamo il sentiero CAI n° 522 che, con un traverso e una breve discesa, riconduce all’Osservatorio Astronomico. In un attimo eccoci di nuovo al Colle di Ganda.
Concludiamo l’escursione molto compiaciuti: pur trattandosi di un itinerario breve risulta molto avvincente. Ho un solo rammarico: non essere salito in Cornagera con le figlie quando erano piccole… è una montagna che regala emozioni e riesce ad avvicinare i bambini all’avventura in modo naturale.
P.S. l’itinerario qui descritto è lungo 6 km con un dislivello positivo di circa 450m.
Tutte le foto sono di Camillo Fumagalli