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Dal colle di Sogno alla vetta del monte Tesoro

Articolo. Un nome così evocativo stuzzica molto la curiosità del viandante che si aggira per la val San Martino. Stiamo parlando del colle di Sogno (953m), splendido nucleo di case aggrappate sulla stretta sella tra il monte Tesoro e il monte Brughetto

Lettura 7 min.
Il passo del Pertüs

Siamo sul confine tra le province di Bergamo e Lecco. La toponomastica deriva chiaramente dal borgo sottostante Sogno. Le ipotesi sull’origine del nome lasciano parecchi dubbi: c’è chi lo riconduce alla radice indoeuropea -ion che indica lo scorrere di un corso d’acqua (nella fattispecie il torrente Ovrena che ha le sorgenti poco più in basso) e chi invece sostiene che sia da riferire al torrente Sonna nel cui alveo l’Ovrena fa confluire le proprie acque. Ritengo più affascinante lasciarsi incantare dalla suggestione del nome reale.

Quando ci si intrufola nella viuzza principale del borgo (vi si accede solo a piedi) si è piacevolmente guidati dall’andamento zigzagante della via, appositamente studiato per rompere la forza del vento che qui spesso soffia energico. Dall’arteria principale si dipartono alcuni vicoletti di raccordo per altre dimore, mentre i pochi slarghi diventano piccole piazze che rappresentano gli unici angoli di socialità per i residenti. In una di queste si trova la casa delle rondini con i suoi innumerevoli nidi e, in un’altra, resiste orgogliosamente alle intemperie un bell’affresco ottocentesco opera del pittore Antonio Sibella. Più avanti, si passa accanto alla Locanda Colle di Sogno, trattoria storica dove si possono assaporare le tradizioni culinarie locali.

Nonostante la maggior parte degli edifici sia stata rimaneggiata nel dopoguerra, l’impianto urbanistico originario è ben visibile e alcuni stabili presentano tutt’oggi interessanti elementi architettonici sovente di chiara influenza valdimagnina, come i tetti a doppia falda un tempo ricoperti dalle tipiche piode, i fienili con le caratteristiche porte a “T” e gli essiccatoi per le castagne. Giungiamo a una cappelletta dedicata alla Madonna del Rosario con attiguo un graziosissimo campanile che fa da separatore di sentieri. Prima meta della giornata è il monte Tesoro. Anche questo nome attizza la fantasia e promette grandi soddisfazioni. Per salire al monte Tesoro esistono due possibilità: se alla cappelletta si tiene la destra ci si trova sul sentiero CAI n° 823 (con direzione Valcava) che, con un comodo percorso, raggiunge la località Combeli (ove intercetta la strada provinciale). Qui si devia a sinistra e si rimonta il pendio fino alla vetta.

Gli irrinunciabili impegni serali di Marialuisa ci impongono invece di optare per la «Direttissima». Così, alla chiesetta, teniamo la sinistra e dopo un breve tratto pianeggiante a fianco delle ultime case del borgo, all’altezza della vecchia fontana, si imbocca il sentiero che sale a destra. Questo percorso è più veloce e impegnativo, ma offre panorami impagabili. Nonostante la traccia non sempre evidente, il sentiero risulta ben marcato con bolli bianco-rossi e si sviluppa interamente lungo il crinale. Impossibile sbagliare!

Oltrepassato un appostamento fisso di caccia le pendenze iniziano a farsi interessanti. È bello fermarsi ogni tanto e voltarsi all’indietro verso il colle che si rimpicciolisce ad ogni passo, mentre lo sguardo raggiunge orizzonti sempre più vasti. Sopra di noi volteggiano coloratissimi parapendii che regalano suggestivi contrasti con l’azzurro del cielo. Gli ultimi passi della faticosa ascesa sono allietati dal bianco luccichio della neve. Un tripode e una grande croce metallica segnalano la cima (1432m).

La vista è incantevole. Ci divertiamo a riconoscere i borghi della valle dell’Adda, i laghi brianzoli e le cime del triangolo Lariano. Dalla vegetazione sbucano le cime imbiancate delle Orobie.

Il monte Tesoro ospita un imponente sacrario in memoria dei soldati italiani caduti in guerra. Sotto al sacrario c’è un piccolo rifugio gestito dagli Alpini di Carenno, che non ho mai avuto la fortuna di trovare aperto.

Sulla sommità intercettiamo il sentiero CAI n° 571 (chiamato anche «Periplo della valle Imagna») che seguiamo in direzione nord. In pochi minuti di discesa raggiungiamo la Forcella Alta (1300m), valico di confine tra la valle Imagna e la val San Martino. Qui termina la strada asfaltata che sale da Costa Imagna, mentre il lato di Carenno è percorso da una strada sterrata vietata al traffico veicolare. Alla Forcella Alta è sempre un brulicare di gente: numerose famiglie salgono con i bimbi a giocare nella neve presso il laghetto del Pertüs, mentre escursionisti di ogni genere si dilettano lungo i sentieri della zona. Immancabile il furgoncino bianco che vende formaggi e salumi. Vicino al laghetto, una moderna struttura ospita un punto ristoro che in questo periodo è chiuso al pubblico in attesa di un gestore.

Dal laghetto procediamo sul sentiero CAI n° 571 in direzione NO. Si lambisce il bordo meridionale del monte Picchetto per addentrarsi in un bellissimo bosco di faggi che ricopre tutto il crinale. È un continuo susseguirsi di ruderi di roccoli dove si notano ancora i rami degli alberi appositamente ripiegati per sorreggere le reti. In poche decine di minuti giungiamo al cospetto di una imponente ed elegante costruzione, immersa nel verde. Si tratta del Grande Albergo Pertüs, hotel di lusso costruito negli ultimi anni dell’Ottocento, affascinante testimonianza dei fasti della Belle Époque.

Nonostante la sua ubicazione decisamente sperduta tra i monti, l’albergo si contraddistinse per l’elevata qualità dei servizi offerti ai clienti, risultando tra i migliori hotel della bergamasca. Era aperto tutto l’anno, anche quando il meteo faceva i capricci, come nell’inverno del 1911 allorché due metri di neve sommersero la zona. Gli ospiti potevano raggiungere l’hotel con il “servizio mulo” da Carenno. La clientela era benestante, composta per lo più da imprenditori lombardi. A inizio Novecento, era già dotato di corrente elettrica, telefono (bastava comporre il numero 3 e rispondeva la reception!) e acqua corrente potabile. Gli ospiti mangiavano con posate d’argento che avevano inciso sui manici il nome «Pertüs» e, a richiesta, la colazione veniva servita nelle camere. Quotidianamente giungevano all’albergo pane, viveri e giornali, mentre il venerdì a pranzo veniva servito il pesce persico appena pescato a Lecco.

L’albergo rimase in funzione fino all’inizio degli anni ’30, quando gli ingenti debiti ne decretarono la chiusura. Venne in seguito riconvertito a colonia estiva per seminaristi (da qui il nome «Ex convento»). Vengono ancora raccontati la visita ed il soggiorno al Pertüs, nel maggio del 1957, dell’Arcivescovo di Milano, il Cardinale Giovanni Battista Montini, che diventerà Papa Paolo VI nel 1963. In quei giorni, l’Arcivescovo Montini non si limitò a rimanere con i seminaristi, ma incontrò anche diverse persone del luogo, a quel tempo abitato per la totalità da famiglie contadine. C’è ancora chi ricorda Montini intento a fotografare con passione i paesaggi e le persone. Alcune famiglie, invece, custodiscono gelosamente quegli scatti a loro donati. Nel 1985 la struttura chiuse definitivamente i battenti. Osservandolo adesso si colgono i segni dei fasti del passato, anche se un profondo senso di abbandono e malinconia pervade l’animo.

Aggiriamo l’hotel seguendo il sentiero 571, che transita a sinistra appena sotto il cancello d’ingresso. Pochi minuti di cammino e siamo al vero passo del Pertüs (1193m) che non va confuso con il valico della Forcella Alta. Un ponticello realizzato dagli alpini consente di superare il profondo intaglio nella roccia che contraddistingue il passo. In effetti, pertüs in bergamasco significa «pertugio», «piccolo passaggio». È il valico più basso di collegamento tra la valle Imagna e la val San Martino. Il passo del Pertüs è anche conosciuto come «passo degli Spagnoli». Questo perché, nel marzo del 1528, qui avvenne una battaglia tra le truppe spagnole e i capitani della Repubblica Veneta, alleata di Giangiacomo de’ Medici, che aveva messo sotto assedio Lecco.

Mi abbasso pochi metri per scattare alcune foto e, raggiunto il valico, noto inciso nella roccia un crocifisso che riporta la data del 1705, probabilmente la testimonianza di un incidente avvenuto più di tre secoli fa.

Torniamo sui nostri passi fino all’ex convento, dove seguiamo la strada pianeggiante che procede in direzione SE. Siamo sul sentiero panoramico Papa Paolo VI: un itinerario studiato per consentire ai disabili di godere degli splendidi scorci, grazie a un percorso attrezzato con corrimano e privo di ogni tipo di ostacolo. Il sentiero termina in località Forcella Bassa, bel nucleo di case rurali (1200 m), dove incrocia la strada sterrata che sale da Carenno. Qui seguiamo le indicazioni del sentiero CAI n° 811 che, dopo aver toccato il Cesì, graziosa chiesetta in posizione solitaria, raggiunge la contrada Cà d’Assa (1060m), baciata dal sole del pomeriggio e circondata da un bel prato. La frazione è stata abitata fino a pochi anni fa.

Proseguiamo la discesa rientrando nel bosco in direzione del colle di Sogno. All’altezza di una santella incontriamo una coppia di coniugi che, a dispetto dell’età ormai non più verde, si muove sul sentiero con estrema disinvoltura. Colgo immediatamente l’occasione per scambiare due parole. Ed ecco il colpo di fortuna: la signora Marilena è nativa del colle di Sogno. Le chiedo di raccontarci della sua vita da bambina.

Marilena, dapprima imbarazzata, si scioglie presto in un racconto ricchissimo di ricordi: «Oggi al colle vivono solo otto persone, mentre allora eravamo più di cento. C’era la bottega sempre rifornita di ogni genere. Noi bambini frequentavamo la scuola elementare, tutti insieme in una sola classe. La maestra da Calolziocorte saliva in autobus fino a Carenno e poi a piedi fino al colle. Quando nevicava per noi era una gioia immensa perché l’insegnante non riusciva a raggiungere la scuola. Così andavamo a scivolare sulla neve con i cartoni degli scatoloni». Le chiedo di cosa vivessero e Marilena prosegue nel racconto: «Ogni famiglia aveva la mucca, la pecora, la capra e le galline. Nei dintorni del colle c’erano molti prati dove pascolavano gli animali, ora il bosco ha ricoperto tutto. Ci si accontentava di poco e si viveva meglio allora di oggi. Si scendeva a Carenno per il mercato ed era l’occasione per comprare ciò che la bottega non aveva, come le banane».

Marilena prosegue nei ricordi: «Nelle case c’era la cisterna per raccogliere l’acqua piovana e non avevamo acqua potabile. Andavamo a piedi alla fontana con il “cadùr” e portavamo sulle spalle i due secchi d’acqua fino a casa. Non avevamo scarpe ma zoccoli e quando si formava ghiaccio sui sentieri toglievamo gli zoccoli e camminavamo a piedi nudi per non scivolare!».

Alla mia domanda se facessero gite sui monti circostanti risponde: «Pensi che sul monte Tesoro non sono mai salita. Al massimo andavamo al “Cesì” oppure a Coldara». Rimango sbigottito. Tornati al colle di Sogno, Marilena ci mostra con orgoglio la sua casa, recentemente ristrutturata. Da quando si è sposata vive a Medolago ma spesso sale quassù a coccolarsi nei ricordi. «Pensi che la casa è in territorio di Carenno mentre il mio orto è sotto Torre de’ Busi!». In effetti, è molto curioso il fatto che le case sul versante meridionale del colle siano in provincia di Bergamo mentre le altre in provincia di Lecco. Da buon bergamasco, mi piace ricordare che fino al 1992 tutti questi territori appartenevano alla provincia orobica.

Ringraziamo Marilena per la cordialità e ci rifugiamo all’interno della Locanda del colle di Sogno. Approfittiamo della stufa a legna per riscaldarci mentre gustiamo una cioccolata calda e una squisita fetta di torta alle mele. Il cuoco è alle prese con la preparazione dei piatti previsti per cena. Siamo curiosi, per cui gli chiediamo il menù. Mentre ci dilettiamo nella lettura, l’acquolina cresce nelle nostre bocche e unanime nasce il desiderio di tornare quassù per assaggiare quei piatti molto interessanti. A presto!

P.S. L’escursione descritta è lunga circa 10km ed ha un dislivello positivo di 600m, quasi tutti concentrati nella salita iniziale. Calcolare quattro ore di cammino.

(Tutte le foto sono di Camillo Fumagalli)

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