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Spreco alimentare, ecco una guida facile per ridurlo in casa

Articolo. Imparare a fare la spesa, conservare correttamente gli alimenti e riutilizzarli in modo creativo sono azioni fondamentali per ridurre l’impatto dell’intero settore agroalimentare sull’ambiente. Nel nostro piccolo possiamo fare molto. Scopriamo come.

Lettura 5 min.

Secondo la FAO, oltre un terzo del cibo prodotto al mondo va perso in qualche punto lungo la filiera alimentare. Dall’azienda agricola alla tavola, nessun punto della catena si salva dagli sprechi. È per questo che già dal 2015 l’ONU ha inserito tra gli obiettivi di sviluppo sostenibile per il 2030 quello di dimezzare gli sprechi alimentari pro capite, a livello di vendita al dettaglio e di consumatore, e di ridurre le perdite alimentari lungo le catene di approvvigionamento e di produzione. In Italia la situazione è in leggero miglioramento: nel 2022 lo spreco nelle case italiane è sceso del 12% rispetto all’anno precedente, considerato l’anno di ripresa post-pandemia. I numeri per il 2022 parlano di 75 grammi pro capite di cibo buttato ogni giorno, che equivalgono a oltre 27 chili di cibo all’anno a persona.

Secondo il WWF, il dato «si accentua a sud (+ 8% di spreco rispetto alla media nazionale) e per le famiglie senza figli (+ 38% rispetto alla media italiana). Sprechiamo 1 chilogrammo l’anno di frutta e poco meno di 1 chilogrammo di pane. Nella hit nefasta degli sprechi anche insalata, verdure, aglio e cipolle». Qualche numero, per dare una dimensione al fenomeno: 6,5 miliardi di euro è il valore dello spreco del cibo nelle case e oltre 9 miliardi lo spreco di filiera, dai campi alle case. Lo spreco del cibo di filiera pesa al 26% in agricoltura, al 28% nell’industria e all’8% nella distribuzione. Eppure, sempre in Italia, oltre 2,6 milioni di persone faticano a nutrirsi regolarmente a causa dell’aumento dei prezzi e dei rincari delle bollette e il 9,4% della popolazione versa in condizione di povertà.

Una situazione che riflette quella globale. Secondo il Centro Informazioni Regionale delle Nazioni Unite, il numero delle persone che soffrono la fame a livello mondiale è salito a ben 828 milioni nel 2021, ossia circa 46 milioni in più dal 2020, mentre l’IPCC (Gruppo intergovernativo sul cambiamento climatico) prevede che entro il 2050 altri 183 milioni di persone si troveranno a rischio fame.

In Italia è percepita in modo diffuso l’importanza di una cultura della sostenibilità alimentare: il 35% degli intervistati dal WWF ha aumentato il consumo di legumi e derivati vegetali a scapito della carne e delle proteine animali, mentre il 29% ha aumentato l’acquisto di prodotti a chilometro zero. Gli italiani tagliano gli sprechi anche come risposta all’aumento dei prezzi, ma allo stesso tempo sono attenti alla qualità di quello che portano in tavola e a non sacrificare la cura della propria salute.

Prima di entrare nel dettaglio di cosa ciascuno di noi può fare per ridurre gli sprechi nella filiera alimentare, è d’obbligo fare una distinzione tra ciò che si intende con spreco alimentare e ciò che invece rientra nel concetto di perdita alimentare. Tutto ciò che si perde nel tragitto, cioè dal campo alla vendita al dettaglio, rientra nel concetto di perdita alimentare ed è legato a problemi di trasporto, alla catena del freddo, alla cattiva gestione dei magazzini, ai collegamenti difficoltosi tra il luogo di produzione e il luogo di consumo. Tutti fattori su cui si può lavorare, ma a livello sistemico e quantomeno nazionale, se non comunitario.

C’è poi lo spreco alimentare, che riguarda invece la vendita al dettaglio, la ristorazione e il consumo privato. Il Ministero della Salute lo definisce come «l’insieme dei prodotti scartati dalla catena agroalimentare, che per ragioni economiche, estetiche o per la prossimità della scadenza di consumo, seppure ancora commestibili e quindi potenzialmente destinati al consumo umano, sono destinati ad essere eliminati o smaltiti». Il segmento su cui possiamo agire individualmente è, quindi, quello dello spreco alimentare. E abbiamo più margine di azione di quello che potremmo pensare.

Il primo passo: la spesa

Sembra una pretesa del tutto scollegata, ma pianificare i pasti prima di fare la spesa è il primo grande passo che possiamo fare per ridurre gli sprechi domestici. Sapere, almeno a grandi linee, cosa mangeremo e cosa ci serve per cucinarlo permette di evitare di tenere nel frigo ingredienti che prima o poi ci piacerebbe usare ma che in men che non si dica scadono e non sono più utilizzabili. Gli step, facili facili, sono tre: creare una programmazione (anche solo sommaria) dei pasti, controllare cosa già si ha in casa per prepararli e stendere una lista della spesa per tutto ciò che manca.

Sì, perché senza lista la spesa rischia di espandersi a dismisura e la stessa cosa succede se si entra nel supermercato affamati. L’obiettivo è comprare solo quello che soddisfa le nostre specifiche esigenze, senza farsi ingolosire da offerte speciali su prodotti che non siamo sicuri di usare o dalle confezioni famiglia quando in realtà viviamo da soli e non riusciremo mai a finirle prima che scadano. Infine, ultimo consiglio per quel che riguarda la spesa: prediligere prodotti stagionali e, dove possibile, a chilometro zero. Questo perché la filiera agroalimentare “classica” è caratterizzata da un grande numero di passaggi dal produttore al consumatore finale: il cibo deve viaggiare per migliaia di chilometri, coinvolgendo numerosi intermediari e rendendo necessari l’utilizzo di imballaggi e mezzi di trasporto che contribuiscono ad aumentare le emissioni.

Al contrario, la filiera corta, più snella e meno articolata, riduce i costi distributivi e permette di avere a disposizione prodotti dalle caratteristiche organolettiche migliori a un prezzo più conveniente. Prediligere frutta e verdura di stagione, inoltre, aiuta a ridurre sprechi energetici (legati alla produzione di ortaggi e frutta fuori stagione) e impatto ambientale (perché favorisce un’agricoltura strettamente connessa ai ritmi naturali). E non dimentichiamo l’app per l’acquisto di prodotti avanzati «Too Good To Go» (che è attiva anche a Bergamo).

Il secondo passo: la conservazione

Una volta portati a casa dei prodotti alimentari, per far sì che durino e non debbano essere buttati, si possono seguire poche semplici regole, a partire da come si organizza il frigorifero.

Ogni alimento deve avere il suo ripiano. Nello scaffale superiore, che è l’area meno fredda, vanno posizionati yogurt, formaggi, insaccati e cibi confezionati o già cotti. Le mensole inferiori sono perfette per i prodotti freschi, come carne o pesce, e con una data di consumo ravvicinata. I cassetti inferiori sono da riservare a frutta e verdura, mentre la porta, che è l’area più soggetta a infiltrazioni di calore, può ospitare acqua, bibite, uova, salse e marmellate. Perché il frigo funzioni correttamente, inoltre, è bene non sovraccaricarlo e pulirlo regolarmente.

Sia in frigo che negli scaffali, una buona pratica è il «FIFO» (First-In-First-Out, cioè «primo dentro primo fuori»): nel sistemare la spesa, riporre gli alimenti appena acquistati dietro o sotto quelli già presenti, la cui scadenza potrebbe essere anteriore. In questo modo si ha a portata di mano ciò che bisogna utilizzare prima. Inoltre, una linea guida che può salvare molti alimenti che finiscono nella spazzatura è quella di imparare la differenza tra «data di scadenza», che indica il limite oltre il quale il prodotto non deve essere consumato, e «termine minimo di conservazione», che indica che il prodotto, oltre la data riportata, può aver modificato alcune caratteristiche organolettiche, come il sapore e l’odore, ma può essere consumato senza rischi per la salute. La prima viene indicata con la dicitura «da consumarsi entro», mentre la seconda si trova come «da consumarsi preferibilmente entro».

Infine, alcuni piccoli consigli aggiuntivi sulla conservazione dei cibi. Usare contenitori ermetici per riporre quello che resta di alimenti contenuti in confezioni non richiudibili, una volta aperte. Usare la frutta più matura per frullati o dolci e la verdura che inizia ad appassire per zuppe, brodi e minestre. Cucinare calcolando le giuste porzioni. Riporre in frigo entro 1-2 ore dalla preparazione (o dall’acquisto) cibi facilmente deperibili come creme, maionese, salse, latte, latticini carne e pesce.

Il terzo passo: «È davvero da buttare?»

L’ultimo livello di consapevolezza nel processo di riduzione degli sprechi alimentare è quello che si inserisce quando si sta per gettare qualcosa nella spazzatura: chiedersi se non lo si può riutilizzare in qualche modo. Gli avanzi di pasti cucinati possono diventare schiscette per la scuola o il lavoro, oppure essere riutilizzati in modo creativo all’interno di altre ricette.

Controllare i propri rifiuti può infine aiutarci a capire se stiamo facendo una spesa poco accurata o se stiamo conservando in modo scorretto gli alimenti e possiamo adeguare i nostri comportamenti di conseguenza. Pronti a portare in tavola la sostenibilità?

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