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Il virus e la Sanità in Bergamasca
Ecco tutte le risposte alle vostre domande

Articolo. Sono tantissime le domande dei lettori giunte anche per la seconda puntata de “L’Eco risponde”, dedicata alla Sanità in Bergamasca e alla diffusione del virus nella nostra provincia. Un successo di pubblico sia su Bergamo Tv che sul nostro sito con migliaia di visualizzazioni, oltre che su Facebook.

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Sono tantissime le domande dei lettori giunte anche per la seconda puntata de “L’Eco risponde”, dedicata alla Sanità in Bergamasca e alla diffusione del virus nella nostra provincia. Un successo di pubblico sia su Bergamo Tv che sul nostro sito con migliaia di visualizzazioni, oltre che su Facebook.

Con l’esperto – Paola Pedrini, segretario regionale Federazione italiana medici di medicina generale della Lombardia (il sindacato dei medici di famiglia) – abbiamo risposto alle tantissime domande arrivate dai lettori sia attraverso la piattaforma del nostro sportello che in diretta sul sito e via Facebook.

Alle domande alle quali non è stato possibile rispondere in diretta daremo risposta continuando ad aggiornare la notizia sul sito. Se i nostri lettori avessero ulteriori quesiti possono sfruttare la piattaforma dello sportello compilando la richiesta online.

Cosa succederà in autunno con il Covid-19? Come organizzare le vacanze? Quali precauzioni prendere se decidiamo di spostarci? Ecco le risposte dell’esperto

Le altre domande e risposte durante la trasmissione

La virulenza del Covid-19, è davvero cambiato?

Non possiamo sapere se è cambiato il virus. Cosa è cambiato invece rispetto alle settimane in cui abbiamo visto tantissimi casi di polmoniti bilaterali e casi molto gravi? È cambiato il fatto che abbiamo adottato delle misure di sicurezza: prima il lockdown poi le mascherine e la disinfezione delle mani. Tutte queste misure, insieme all’arrivo della stagione estiva, al caldo, al fatto che viviamo più all’aperto, hanno ridotto i casi di Covid rispetto alle settimane passate. Questo è il cambiamento principale.

Perché allora in paesi caldi, come il Brasile, dove le temperature sono più alte che da noi ed è più umido il numero di casi è elevatissimo?

Perché comunque noi abbiamo adottato delle misure di sicurezza in precedenza, che sono state drastiche ma che hanno portato i loro effetti positivi. Questo è stato di aiuto per noi rispetto ad altre realtà, non solo come quella del Brasile ma anche rispetto agli Stati Uniti: realtà diverse rispetto a New York hanno un’impennata di casi in questo momento, dovute a misure di contenimento molto più leggere rispetto alle nostre.

Il caldo, l’umidità, il freddo: c’è una causa più scatenante rispetto alle altre?

Il coronavirus, come gli altri virus respiratori è sicuramente sensibile alle temperature. Ma più che la temperatura quello che ci sta aiutando in questo momento è il fatto di vivere più all’aria aperta. Evitiamo gli spazi chiusi e con assembramenti molto più rispetto alla stagione invernale, e questo può essere sicuramente d’aiuto.

I dati che riguardano la terra bergamasca sono diversi da zona a zona. I test ci dicono che chi ha sviluppato gli anticorpi sono: il 60 per cento e oltre nelle zone critiche come la Bassa Valle Seriana, il 40 per cento fra i donatori di sangue, il 20-21 per cento in città dove si stanno facendo test a tappeto (Bergamo ha più persone con anticorpi di Londra e New York). Perché tutte queste differenze?

Nei test fatti in Valle Seriana le persone scelte per fare questi test dovevano avere fra i 18 e i 64 anni e dovevano aver avuto un contatto con una persona infetta, quindi la probabilità di risultare positivi al Covid e di aver sviluppato gli anticorpi era molto più alta. Invece i test che si stanno facendo nel Comune di Bergamo sono aperti a tutti: quindi sono più rappresentativi della popolazione, un campione più attendibile. È più giusto procedere in questo modo, per fare delle considerazioni soprattutto a livello statistico.

Quando avremo un dato realmente rappresentativo e con test uniformi della nostra provincia?

Purtroppo forse non l’avremo perché i test andrebbero fatti a tutti per avere questo dato. Ma in realtà stiamo vedendo che anche persone che hanno avuto dei sintomi veramente importanti hanno gli anticorpi negativi. Quindi in realtà non conosciamo ancora abbastanza questa malattia e come risponde l’organismo a questo virus. Purtroppo ci sono ancora troppi punti interrogativi.

Molte critiche sono piovute sulla Sanità della Lombardia. Però il dato dei contagi fra il personale sanitario è simile a quello che si registra in città, circa il 20 per cento. Cosa significa?

È una percentuale comunque alta se pensiamo che negli ospedali come il Papa Giovanni erano dotati di tutti i dispositivi di protezione. Purtroppo nell’ospedale di Bergamo si sono concentrati in poco tempo, quindi anche la presenza di virus nell’ambiente era veramente alta e quindi questo ha favorito, rispetto ad altre realtà, un maggior numero di contagi di operatori sanitari nonostante l’uso di dispositivi di protezione che li riparavano dalla testa ai piedi, e che quindi avrebbero dovuto garantire un livello di contagio minore rispetto alla media generale della popolazione.

L’immunità di gregge: con questi dati siamo ancora veramente molto lontani?

Si, sicuramente. Non dobbiamo pensare all’immunità di gregge, per raggiungerla avremmo un livello di contagi e soprattutto di morti ancora più alto di quello che abbiamo adesso. Non è un obiettivo che ci dobbiamo porre.

Quando potremo sentirci tranquilli nel caso non venisse trovato un vaccino?

Non possiamo comunque essere sicuri. Ci sono tante variabili in questo campo, quindi non è possibile dare un numero esatto.

I medici di famiglia: cosa hanno dovuto passare, cosa state facendo e come guardate al futuro, che anche per voi sarà diverso?

Sono state veramente settimane e mesi molto difficili, siamo stati anche noi travolti da questa infezione e soprattutto siamo stati travolti senza protezione. Quello che più ha modificato la nostra attività è stata proprio la mancanza di dispositivi di protezione, anche chi è riuscito a procurarsi in autonomia queste protezioni ha dovuto fare i conti con quantitativi ridotti ed andati in esaurimento in modo molto rapido. Abbiamo dovuto trasformare la nostra attività: innanzitutto chiudere le sale d’attesa perché diventavano sedi di assembramento e fonti di contagio. Tutto si è svolto su appuntamento e i pazienti dovevano avvisare il medico prima di recarsi in studio, e questo deve avvenire tutt’ora perché l’attenzione va mantenuta ancora alta, e se le sale d’attesa non sono sufficientemente ampie per mantenere le distanze di sicurezza il paziente deve attendere fuori. In più abbiamo fatto un’attività di monitoraggio dei nostri pazienti, sia quelli Covid che quelli cronici, per via telefonica, con un supporto anche di tipo psicologico oltre che di monitoraggio dei sintomi e dell’andamento della malattia, cercando oltre che di rassicurare anche di dare indicazioni su come procedere e come interpretare questi sintomi. Abbiamo ricevuto centinaia di telefonate tutti i giorni e abbiamo seguito per come potevamo i nostri pazienti, senza avere comunque armi a disposizione perché anche le armi di tipo terapeutico erano veramente pochissime.

I pazienti in questo periodo, chi doveva curarsi anche per altre malattie, come vi siete comportati?

I pazienti cronici si sono visti in questo periodo annullare tutti i controlli perché tutta l’attività sanitaria era dedicata esclusivamente ai pazienti Covid. Questo ha comportato da parte dei medici di base un’attenzione particolare: dovevamo ancora di più cogliere i sintomi di allarme, perché comunque le visite urgenti andavano fatte, i controlli in ospedale per esempio per scompensi dovevano essere eseguiti. Andava fatto un monitoraggio ancora più stretto per poter indicare al paziente come muoversi. Con gli ospedali paralizzati dall’assistenza a chi era stato colpito dal virus non è stato un periodo facile, il senso di impotenza è stato molto comune fra noi medici di base in quelle settimane. È stato molto difficile riuscire a dare delle risposte ai nostri pazienti e riuscire a trovare una risposta ai loro bisogni. La situazione sta sicuramente migliorando e speriamo di arrivare ad essere più pronti sul territorio, con più potenziale: durante la crisi ikl potenziale c’era ma non è stato sfruttato al meglio, speriamo che invece cambi nell’autunno.

Per accelerare le risposte sul territorio a cosa pensate?

Uno strumento che potrà essere molto utile è la telemedicina che noi come medici di famiglia abbiamo già richiesto comunque da molto tempo, da anni. Ma non c’era mai stata una volontà di portare avanti questo progetto che invece sarebbe stato uno strumento molto utile in questo periodo: penso proprio ai pazienti cronici che avrebbero potuto fare questi controlli o nel nostro ambulatorio di medici di base o a domicilio senza dover accedere necessariamente all’ospedale. La diffusione del Covid ha accelerato certe procedure e certi avanzamenti tecnologici come la dematerializzazione delle ricette, un altro campo in cui chiedevamo questo avanzamento e che finalmente è avvenuto durante le settimane dell’emergenza consentendo di non doversi più recare fisicamente in ambulatorio per richiedere le ricette dei farmaci delle terapie croniche. Per gli anziani, meno tecnologici, la difficoltà era soprattutto all’inizio quando era necessario usare l’email o un sistema di messaggistica. Ora la difficoltà è per chi non ha una persona che segue l’anziano, un parente o una badante per esempio, ma in molti casi sono intervenute le amministrazioni comunali o gli assistenti sociali.

Cosa accadrà a livello globale, visto che nell’emisfero australe per esempio sta arrivando l’inverno?

Sicuramente la tensione deve restare alto, sia da noi che nell’altro emisfero, perché qui arriva la stagione fredda dei virus influenzali e delle infezioni delle vie respiratorie. Sicuramente servirà un’attenzione con le mascherine e i dispositivi di protezione, ma soprattutto un’attenzione alla identificazione rapida dei casi con l’isolamento tempestivo del sintomatico e dei suoi contatti stretti. Questa è l’unica strategia per non ricorrere nuovamente a un lockdown generale. Queste misure dovranno essere adottate un po’ da tutti, anche dalle realtà che affrontano adesso l’inverno.

Come ci siamo comportati da noi, abbastanza bene?

Non mi piace dare giudizi. Sicuramente si poteva fare di meglio. Dopo una prima fase in cui abbiamo dovuto capire tutti come era la situazione, poi la popolazione, soprattutto i bergamaschi, ha risposto bene a queste misure drastiche che purtroppo sono state necessarie. L’importante è che non si dimentichi tutto quello che è passato: l’attenzione davvero deve rimanere alta e non si può buttare via tutto il lavoro fatto fino ad ora ma mantenere l’attenzione per non ricadere in quello che è accaduto nei mesi passati. Non dico adesso, ma soprattutto per l’autunno.

Quali fattori influiranno in autunno, cosa fare e cosa non fare?

Dovremo fare quello che si sta facendo anche adesso, ma i casi saranno più numerosi man mano arriveranno le temperature più fredde. Qualunque persona con sintomi respiratori o febbre dovrà subito avvertire il medico. Dopo dovrà essere fatto un tampone per la diagnosi con una risposta in tempi brevissimi. Attualmente isoliamo anche i contatti stretti, cioè le persone conviventi, e se il caso viene confermato positivo proseguono la loro quarantena isolandoli nel modo più corretto possibile, all’interno della stessa casa. Vengono ritestati alla fine della quarantena. Questo ci permette di isolare il caso ma anche piccoli focolai che potrebbero nascere in queste condizioni: il dipartimento di igiene pubblica deve fare attenzione a questi numeri ed eventualmente, insieme alle amministrazioni comunali e all’Ats intervenire per frenare la diffusione, per evitare che si debba ricorrere di nuovo a un lockdown generale ma creare eventualmente solo dei piccoli lockdown.

Nuovi focolai si registrano sia in Europa che nel mondo, in Bergamasca?

In questo momento no, ma di casi ce ne sono ancora tutti i giorni e non siamo ancora tranquilli. Sono sicuramente meno, situazioni critiche non ce ne sono ma l’attenzione è ancora alta. Stiamo ancora migliorando in questi meccanismi di diagnosi e trattamento, ma ancora non in modo adeguato: il miglioramento è soprattutto perché i casi sono di meno rispetto alle settimane passate. Con l’aumento dei casi dovremo essere in grado di rispondere rapidamente e in modo fluido.