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Allarme competenze digitali Una carenza di specialisti e laureati in Ict

Articolo. Il monito arriva dal nuovo indice Desi 2022: miglioramenti dell’Italia sulla digitalizzazione di imprese, economia e società: siamo al 18esimo posto. Ma per digital skill siamo quart’ultimi in Europa, un freno alla corsa verso gli obiettivi di crescita. Il 60% delle imprese ha raggiunto il livello base di intensità digitale.

Lettura 7 min.

La difficile transizione digitale di imprese e società

La transizione digitale diventa sempre più difficile. L’Italia “avanza a ritmi molto sostenuti” sul fronte della digitalizzazione. Ma gli allarmi continui sulla carenza e insufficienza di competenze, sul disallineamento fra domanda e offerta (il mismatch di digital skill), sulla difficoltà a reperire profili professionali a supporto della progettualità e dei processi di digitalizzazione delle imprese e della società non stanno né portando né indicando significative inversioni nel colmare questa lacuna.
Il mercato, intanto, continua a presentare il suo conto: entro i prossimi cinque anni le imprese avranno bisogno di almeno 1,5 milioni di lavoratori con tech-skill. Ma al 2030, in più, il mercato del lavoro europeo avrà bisogno di almeno 20 milioni di specialisti Ict, oggi ne conta non più di 9 milioni: un problema che evidentemente aumenta di dimensioni di fronte a una richiesta di personale qualificato in continua crescita, e che rischia di pregiudicare il consolidamento della ripresa e della competitività europea.
Anche nei Paesi più all’avanguardia su questo fronte (come Finlandia, Danimarca, Paesi Bassi e Svezia) questi temi rappresentano già oggi una sfida con cui sono chiamati a fare i conti da subito, insieme all’utilizzo di tecnologie emergenti da parte delle imprese (come AI e Big Data) per i quali è fissato un obiettivo del 75% al 2030.

 

Nella classifica relativa alle competenze digitali di base l’Italia figura al quart’ultimo posto, dietro di noi solo Polonia, Bulgaria e Romania. La media europea rincuora, in parte: il 54% non è un dato per cui festeggiare, appena la metà dei cittadini tra i 16 e i 74 anni possiede almeno competenze digitali di base. L’obiettivo del decennio digitale è arrivare almeno all’80% entro il 2030.
C’è poi anche il mercato dell’industria: le previsioni sono significative. Già a fine 2022 in Italia la crescita della spesa in Information tecnology da parte delle imprese sarà arrivata a un +11% per un valore di 30 miliardi di euro.

Dal mondo professionale alla dimensione sociale, i termini del problema non cambiano. Significa piuttosto avere un forte limite anche al percorso di alfabetizzazione dei cittadini verso non solo un utilizzo pieno dei servizi digitali, ma anche come forma di ulteriore impulso sulle imprese e di accelerazione per renderli sempre più disponibili a ogni fascia di cittadinanza.

 

A stigmatizzare ancora una volta questo ritardo è il nuovo indice Desi 2022 della Commissione europea. (Il rapporto completo è allegato a questo articolo). L’Italia resta agli ultimi posti nella classifica europea (25esima) nell’indice delle competenze digitali. Oltre la metà degli italiani non dispone di conoscenze digitali nemmeno di base e la percentuale degli specialisti nella forza lavoro è inferiore alla media dell’Ue. Ma non solo. Le prospettive per il futuro, avverte l’Europa, sono indebolite dai modesti tassi di iscrizione e laurea nel settore delle Ict. «Se si desidera che l’Ue consegua l’obiettivo del decennio digitale in termini di competenze digitali di base e specialisti Ict – è il monito di Bruxelles - è assolutamente necessario un deciso cambio di passo nella preparazione dell’Italia in materia di competenze digitali».

L’Italia cresce in digitale: balzo di due posizioni

Se i tempi della transizione digitale sono più che maturi, i dati del nuovo indice Desi, il parametro di Bruxelles che misura il livello di digitalizzazione raggiunto ogni anno dai singoli paesi Ue e diffuso ieri, indica invece che per il lavoro non è proprio il tempo della transizione.

Ma il paradosso è un altro: l’Italia paga questo ritardo in competenze e capitale umano, carenze cui è necessario porre rimedio, avverte l’Ue – è posizionata al 25esimo posto dei 28 paesi europei, davanti solo a Polonia, Bulgaria e Romania – nonostante stia risalendo la china nell’indice di digitalizzazione delle sue imprese, dell’economia e della società. Oggi è arrivata al 18esimo posto (risalendo di altre due posizioni sul 2021, balzo ulteriore rispetto anche al 2020 quando era relegata quasi a maglia nera d’Europa, venticinquesima tra i ventisette Stati membri).

 

La vetta però resta lontana. L’avanzata fino al diciottesimo posto della classifica sta procedendo a «ritmi molto sostenuti», evidenzia la Commissione europea, che nell’Italia vede il potenziale per «migliorare ulteriormente le proprie prestazioni».

È decisivo un cambio di passo

Progressi quindi – digital skill a parte - vengono riconosciuti sul fronte del cammino verso una piena digitalizzazione (vedi anche i principi digitali e la Strategia Cloud Italia ), e la classifica lo dimostra. Miglioramenti che, in virtù delle dimensioni dell’economia nazionale, sarebbero «cruciali» anche «per consentire all’intera Ue di conseguire gli obiettivi del decennio digitale per il 2030» sottolinea Bruxelles. Per migliorare, però, «è assolutamente necessario un deciso cambio di passo nella preparazione dell’Italia in materia di competenze digitali» e «specialisti Ict», osserva Bruxelles nella sua relazione. A oggi, si legge nell’analisi Ue, il 40% degli utenti italiani li usa (contro una media Ue del 65%), in aumento di 10 punti percentuali tra il 2020 e il 2022, ma non ancora abbastanza per garantirne una disponibilità online del 100% e per rendere pienamente operativi i fascicoli sanitari elettronici.

Anche la digitalizzazione delle imprese procede, con il 60% delle Pmi che ha ormai raggiunto almeno un livello base di intensità digitale e con i sistemi cloud in aumento, ma si alza il livello di analisi allora si scopre che la diffusione di sistemi di big data, data driven e intelligenza artificiale «è ancora limitata».

 

Un ritardo, quindi, che appare in contrasto con il livello di connettività raggiunto dal paese: oggi l’Italia è tra le migliori 7 economie connesse d’Europa. Bruxelles rileva «progressi nella diffusione della banda larga e nella realizzazione della rete», ma ancora «alcune carenze nella copertura delle reti ad altissima capacità (compresa la fibra)».

È allarme sicurezza informatica per le imprese

Un ulteriore allarme, non solo rivolto all’Italia, l’Europa lo lancia in generale rispetto al tema della sicurezza informatica e in relazione alla situazione di criticità internazionale conseguente alla guerra in Ucraina. L’Agenzia per la cybersicurezza nazionale (Acn) ha infatti pubblicato una raccomandazione che invita i soggetti pubblici e privati a procedere urgentemente a un’analisi del rischio che deriva dall’utilizzo di soluzioni di sicurezza informatica fornite da aziende legate alla Russia che, data la situazione, potrebbero non essere in grado di fornire un supporto e aggiornamenti adeguati e di considerare l’attuazione di opportune strategie di diversificazione.
In Italia, il decreto-legge 21 marzo 2022, n. 21, con le misure per contrastare gli effetti economici e umanitari della crisi ucraina, impone tra l’altro alle amministrazioni pubbliche di procedere tempestivamente alla diversificazione delle categorie pertinenti di prodotti e servizi.

 

Tornano al percorso di digitalizzazione l’Europa guarda inevitabilmente al Pnrr italiano. Le misure contenute «stanno imprimendo un ulteriore impulso e sta accelerando i progressi – sottolinea Bruxelles -. Tra gennaio 2021 e marzo 2022 il governo ha indetto gare d’appalto pubbliche per promuovere lo sviluppo della connettività fissa Gigabit e della copertura mobile 5G nelle aree a fallimento di mercato. Per sostenere la domanda, inoltre, il governo ha varato un regime di voucher dedicato alle piccole e medie imprese, con una dotazione totale di oltre 600 milioni di euro, che agevola l’attivazione delle connessioni internet a banda larga da 30 Mbps a più di 1 Gbps con una larghezza di banda minima garantita».

La sfida da cogliere con il Pnrr dell’Italia

È solo dando continuità a queste iniziative intraprese e sfruttando i molti punti di forza di cui il paese dispone, che «l’Italia potrebbe migliorare ulteriormente» le prestazioni misurate dall’indice Desi.Il Pnrr, «che è il più cospicuo d’Europa – sottolinea la Commissione - offre i fondi necessari per accelerare la trasformazione digitale. Il paese dispone poi di una robusta base industriale e di comunità di ricerca in settori chiave come l’intelligenza artificiale, il calcolo ad alte prestazioni e la quantistica. Questi punti di forza si potrebbero sfruttare per dispiegare il digitale in tutti i settori dell’economia, nel pieno rispetto dell’approccio antropocentrico propugnato dai principi digitali».

L’Ue ha messo sul tavolo risorse a sostegno della digitalizzazione: 127 miliardi sono destinati alle riforme e agli investimenti connessi al digitale nei 25 Pnrr nazionali approvati finora dal Consiglio. Gli Stati Ue hanno destinato in media il 26% della dotazione del dispositivo per la ripresa e la resilienza alla trasformazione digitale, superando la soglia obbligatoria del 20%. Chi ha poi scelto di investire oltre il 30% della propria dotazione nel settore digitale sono Austria, Germania, Lussemburgo, Irlanda e Lituania.

 

A queste sollecitazioni ha risposto Vittorio Colao, ministro per l’Innovazione tecnologica e la transizione digitale. «Sono i primi passi di un percorso che ci porterà entro quattro anni tra i Paesi di testa dell’Ue grazie agli investimenti del Pnrr. Quello di oggi infatti è certamente un dato positivo e incoraggiante, ma non del tutto soddisfacente. Siamo ancora indietro rispetto alla media europea – ha sottolineato Colao - nella dimensione relativa al capitale umano. Anche se quest’anno registriamo un piccolo miglioramento, c’è ancora molto lavoro da fare nel lungo periodo per aumentare le competenze digitali di tutti».

Le ambizioni dell’agenda digitale del governo

«In questo anno e mezzo di lavoro al governo ci siamo posti obiettivi ambiziosi, abbiamo gettato fondamenta solide per la digitalizzazione del Paese e ora disponiamo degli strumenti e delle capacità per farlo. Sarà fondamentale continuare sulla strada tracciata per raggiungere questo obiettivo» conclude il ministro. E in riferimento alle azioni messe in campo il governo, infatti, ha assegnato tutti i bandi del Pnrr (Italia a 1 Giga, Italia 5G, Scuole connesse, Sanità connessa e Collegamento isole minori) «con l’obiettivo di portare la rete veloce in tutte le case degli italiani, nelle scuole e nelle strutture sanitarie». E proprio il completamento delle gare fa parte dei 45 obiettivi da raggiungere entro lo scorso giugno per ottenere il via libera all’erogazione della nuova tranche del Recovery da 21 miliardi di euro, attesa dopo l’estate.

 

Più nel dettaglio e sul fronte dell’adozione di tecnologie chiave emerge dal report che le imprese hanno promosso in maniera sostanziale l’uso di soluzioni digitali base: l’uso del cloud computing, ad esempio, ha raggiunto il 34%. Tuttavia l’utilizzo dell’IA e dei big data da parte delle imprese non va oltre, rispettivamente, all’8% e al 14% (a fronte dell’obiettivo del 75% entro il 2030).Queste tecnologie chiave offrono un enorme potenziale di innovazione e miglioramento dell’efficienza, in particolare per le Pmi. Per parte loro, solo il 55% delle piccole e medie imprese dell’Ue ha almeno un livello elementare di digitalizzazione (a fronte di un obiettivo di almeno il 90% entro il 2030), il che indica che quasi la metà delle Pmi non si avvale delle opportunità create dal digitale. Ora la Commissione ha pubblicato un’indagine sull’economia dei dati interrogando le imprese.

 

Nel 2021 la connettività Gigabit in Europa ha avuto un ulteriore incremento.
La copertura delle reti che collegano gli edifici con fibra ottica ha raggiunto il 50% dei nuclei familiari, portando al 70% la copertura globale della rete fissa ad altissima capacità (a fronte dell’obiettivo del 100% entro il 2030). Anche la copertura del 5G è aumentata lo scorso anno, raggiungendo il 66% delle zone popolate dell’Ue; tuttavia, l’assegnazione dello spettro, presupposto importante per il lancio commerciale del 5G, non è ancora completa: nella stragrande maggioranza degli Stati europei è stato assegnato solo il 56% dello spettro totale armonizzato 5G (fanno eccezione l’Estonia e la Polonia).

Inoltre, alcuni dei dati di copertura molto elevati si basano sulla condivisione dello spettro delle frequenze 4G o dello spettro 5G a banda bassa, il che non consente ancora la piena diffusione di applicazioni avanzate. «Colmare queste lacune è essenziale - avverte la Commisione europea - per liberare il potenziale del 5G e rendere possibile l’introduzione di nuovi servizi con un elevato valore economico e sociale, come la mobilità connessa e automatizzata, la produzione avanzata, i sistemi energetici intelligenti o la sanità elettronica». In questa direzione va la pubblicazione da parte di Bruxelles di alcuni studi sui prezzi della banda larga fissa e mobile in Europa nel 2021 e sulla copertura della banda larga in Europa.

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