Axel Hütte incontra Lorenzo Lotto
Una serie di conferenze accompagna la mostra «Dentro Lorenzo Lotto» con approfondimenti di carattere storico e artistico con gli esperti che hanno contribuito al progetto. Appuntamento con Filippo Maggia, curatore della sezione fotografica, con Axel Hütte.

Filippo Maggia (Biella, 1960, lavora fra Firenze e Modena) è curatore per la fotografia italiana e responsabile della collezione fotografica storica presso la Fondazione Sandretto Re Rebaudengo di Torino. Dal 2013 è inoltre Direttore, Head of Projects di Fondazione Fotografia Modena. Dal 2010 al 2012 ha insegnato Documentazione Fotografica presso l’Accademia di Belle Arti di Catania e dal 2012 dirige il Master di alta formazione sull’immagine contemporanea a Modena.
Collabora dal 2007 con Il Giornale dell’Arte.
Axel Hütte (Essen, 1951, vive e lavora tra Düsseldorf e Berlino) è uno dei più importanti e apprezzati fotografi tedeschi contemporanei, protagonista con altri artisti della cosiddetta “Düsseldorfer Photoschule”, altrimenti nota come “Becher Klasse”, che si affermò in ambito internazionale a partire dalla fine degli anni Ottanta del secolo scorso. Al pari degli altri membri dell’originario gruppo di studenti di Bernd Becher, Hütte ha esposto presso istituzioni pubbliche e private di tutto il mondo e le sue opere sono presenti in prestigiose collezioni di musei e fondazioni. Nel corso della sua carriera ha viaggiato in Asia Minore, Stati Uniti e Sud America, esplorando paesaggi naturali e urbani, architetture e interni.
La sua pratica artistica si basa su tre elementi: il realismo, la ricerca di luce e cromia naturali e una costruzione dell’inquadratura che stimola l’osservazione e il coinvolgimento dello spettatore. Il suo lavoro si distingue per un’estetica essenziale e un approccio analitico, che evita ogni forma di narrazione diretta: le immagini in grande formato non raccontano storie, ma invitano a una visione attenta e prolungata. Fedele agli insegnamenti di Bernd Becher e alla tradizione tedesca, il fotografo elimina ogni traccia di soggettività: il suo sguardo è apparentemente neutro, spersonalizzato, ma induce lo spettatore a uno sforzo percettivo, coinvolgendolo nella scoperta di dettagli e relazioni spaziali.