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Un tagliere di salumi tutti bergamaschi e dai Mille Sapori

Articolo. La Camera di Commercio di Bergamo ha voluto tutelare l’importante sapere dei norcini bergamaschi formulando ben sette disciplinari all’interno del marchio di garanzia e qualità «BERGAMO, Città dei Mille… sapori»

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Molto apprezzata dai palati più esigenti, la carne di maiale è da sempre elemento primario e a volte unico, per il sostentamento delle classi più umili. Una sorta di “dispensa alimentare”; questa la funzione del maiale nella tradizione latina, nella cultura greca e anche in quella celtica. Un “sodalizio”, quello tra uomo e maiale, che ha origini antichissime. Gli scavi archeologici di Cemi, alle pendici della catena del Taurus, nella Turchia Sud-orientale, hanno evidenziato che l’addomesticamento dei maiali risale all’8.000 a.C. circa

Fino a fine Settecento, i maiali avevano un aspetto assai diverso dagli attuali. Vivevano all’aria aperta, nei boschi, liberi di correre e grufolare (con il muso, il «grugno» o «grifo» per scavare cavità, scròbis in latino, da cui «scrofa»). Erano più piccoli degli attuali; pesavano dai trenta agli ottanta chili. Miniature e affreschi medioevali riportano bestie con testa grande, grifo appuntito da scavo, orecchie corte ed erette, denti aguzzi e setole ritte di colore rosso, nerastro o bianco.

Dall’inizio dell’Ottocento si è preferito abbandonare le razze autoctone e allevare i maiali rosa di origine nord-europea o gli incroci con essi perché più resistenti e redditizi per la maggiore velocità d’accrescimento e il raggiungimento di un peso maggiore. Per tutto il Novecento, però, l’allevamento è restato alla base dell’economia delle famiglie contadine sia per l’autoconsumo, per combattere freddo e fatica con lardo e strutto (per questa ragione più costosi di carne e prosciutto fino ai primi del Novecento), sia come merce di scambio facilmente “conservabile” e utilizzabile in caso di necessità. Un salvadanaio … a forma di porcellino!

Un bene tutto utilizzabile, di cui non si buttava e non si butta via nulla: l’animàl per antonomasia. Ogni parte rispondeva a un bisogno concreto. Dai salami al sapone, dalle setole alla cotenna. Nelle cascine, l’uccisione del maiale era un rito cui partecipavano tutti: grandi, piccoli, parenti e vicini di casa. Era un momento di festa e di socializzazione. Il norcino – chiamato nelle campagne lombarde copasunì, masant, copaporsei, massadur, massader – era un personaggio stimato che arrivava in una giornata adatta, cioè fredda e asciutta, per ammazzare il maiale. Solitamente, il giorno precedente veniva portata una grande cassetta di legno, panaröla, panaröl o caséta di dimensioni fisse (pesava 13 kg), necessaria per mescolarvi la pasta del salame e poi quella dei cotechini. All’alba, il copasunì portava con sé il sacco pieno di attrezzi: corde, coltelli, carrucole, mannaia, tritacarne e imbuti per insaccare.

Ogni norcino aveva le sue spezie segrete, diverse per ogni tipo di salume. Controllava come prima cosa la quantità e la temperatura d’acqua messa a scaldare dal contadino utile alla pelatura del maiale, poi stordiva con un colpo secco il maiale e lo sgozzava. Il sangue era raccolto immediatamente in un secchio con un poco d’acqua fredda per evitarne la coagulazione. Era un prodotto molto richiesto e scambiato tra i vicini in modo da poter preparare la tradizionale torta di sangue di maiale: urta de sangh de cì . Seguiva poi la pulizia della cotenna con acqua bollente e coltello utilizzato come rasoio. La cotenna doveva essere perfettamente pulita, in quanto utilizzata nei cotechini, nel lardo, nella pancetta e spesso anche per la testina. Si strappavano con un gancio appuntito le unghie. Infine, si bruciacchiava la pelle, si risciacquava e si procedeva a eviscerare l’animale appeso.

Tutto veniva utilizzato: la lingua nella testina; il cuore, i rognoni e il fegato cucinati; i polmoni e lo stomaco ben pulito a cubetti nella trippa, il tripì del sunì, o nell’orzo; le budella servivano per insaccare. Il norcino era l’unico a non mangiare carne di maiale in quella giornata, tutti gli altri mangiavano la zuppa d’orzo o la trippa preparata con gli scarti della lavorazione. Si procedeva poi alla preparazione di salami, cotechini, salsicce, salsicciotti, coppa di testa, pancetta, coppa di collo e strutto. Era una giornata tanto attesa e l’atmosfera era allegra, perché si preparava qualcosa di prezioso che sarebbe servito per tutto l’anno; qualcosa che andava tutelato di cui non si doveva sprecare nulla.

Lo evidenzia una tipica frase delle nonne bergamasche che a tutela dei salumi invitavano i bambini a «Sèra fò la pòrta che va de fò anche ol saùr», «chiudi la porta perché (con il profumo) se ne esce anche il sapore». L’arte dei norcini si è conservata nel tempo e in molti sanno produrre salumi di altissima qualità organolettica. Ancora oggi, nei momenti di festa o per sottolineare l’importanza di determinate occasioni, in maniera quasi ancestrale, si consuma carne di maiale fresca o conservata e questo a conferma del ruolo sociale che questo prodotto ha avuto nei secoli e a dimostrazione di quanto questo alimento sia parte del DNA degli italiani. I recenti studi scientifici hanno eliminato i pregiudizi sulla grassezza della carne di maiale; si è stabilito che è un alimento altamente digeribile e ricco di vitamine utili.

La Camera di Commercio di Bergamo ha voluto tutelare questo importante sapere dei norcini bergamaschi formulando ben sette disciplinari all’interno del marchio di garanzia e qualità «BERGAMO, Città dei Mille… sapori». Oltre alla Loanghìna de la Bergamasca , conosciuta anche come salsiccia bergamasca, e al Codeghì de la Bergamasca de pasta de salàm , la salamella, entrambi da consumare previa cottura, costituiscono un succulento tagliere bergamasco i seguenti salumi: Prosciutto crudo bergamasco Il Botto, Salàm de la Bergamasca, Testina còcia de la Bergamasca, Pansèta de la Bergamasca, Lard de la Bergamasca .

Sono ben nove i produttori del marchio che si sottopongono a periodici controlli di un ente certificatore; solo loro possono utilizzare i nomi dei prodotti contenuti nel disciplinare:

  • Azienda agricola Cascina Rigurida di Colleoni Elisa di Villa d’Adda : Salàm de la Bergamasca

    Bortolotti Salumi S.r.l. di Cene : Codeghì de la Bergamasca, Lard de la Bergamasca, Loanghìna de la Bergamasca, Pansèta de la Bergamasca, Salàm de la Bergamasca, Testina còcia de la Bergamasca

    Carminati S.r.l. di Albino : Codeghì de la Bergamasca, Loanghìna de la Bergamasca

    Cà del Botto S.r.l. Ardesio : Codeghì de la Bergamasca, Loanghìna de la Bergamasca, Prosciutto crudo bergamasco Il Botto, Salàm de la Bergamasca

    Ditta Gamba Edoardo di Pierluigi Gamba S.r.l. di Villa d’Almè : Codeghì de la Bergamasca, Lard de la Bergamasca, Loanghìna de la Bergamasca, Pansèta de la Bergamasca, Salàm de la Bergamasca

    Fratelli Rizzi S.r.l. di Ghisalba : Codeghì de la Bergamasca, Lard de la Bergamasca, Loanghìna de la Bergamasca, Pansèta de la Bergamasca, Salàm de la Bergamasca

    I.B.S. S.p.A di Azzano San Paolo : Lard de la Bergamasca, Pansèta de la Bergamasca, Testina còcia de la Bergamasca

    Salumificio Alborghetti S.r.l. di Ambivere : Codeghì de la Bergamasca, Loanghìna de la Bergamasca, Salàm de la Bergamasca

    Salumificio Bonalumi S.r.l. di Mozzo : Codeghì de la Bergamasca, Lard de la Bergamasca, Pansèta de la Bergamasca Salàm de la Bergamasca

    Societá agricola “Rier” di Bresciani s.s. di Gandosso : Codeghì de la Bergamasca, Salàm de la Bergamasca

Qualche caratteristica dei prodotti di questo tagliere tutto bergamasco?

Salàm de la Bergamasca

Un’opera d’arte ottima da gustare a tutte le ore del giorno. Il salame bergamasco riporta profumi di spezie sapientemente dosate dall’antico sapere dei norcini locali. Il Salame bergamasco ha pasta compatta e morbida con grana medio grossa.

Basta una fetta per godere dell’equilibrio perfetto di sapori, odori e aromi. La sua pasta è ingrediente di molte ricette quali, il ragù e il ripieno dei Casonsèi e dei nusècc.

Lard de la Bergamasca

Toc toc toc… Questo il rumore del coltello sul legno che per secoli ha cadenzato la sveglia dei bergamaschi. Erano le massaie che preparavano il battuto di Lardo bergamasco, necessaria base della cucina bergamasca: ingrediente di minestroni, carni stufate, oselì scapàcc, arrosti e sughi. Ottimo con il pane, si abbandona sciogliendosi sulla polenta calda, rilasciando profumi di spezie e rosmarino. Inizialmente sapido, dona successivamente note di una dolcezza infinita. È un bene prezioso; appena confezionato era custodito in cantina con rametti di pungitopo posti a sua protezione.

Testina còcia de la Bergamasca

Della Testina bergamasca ne scrive già a fine Seicento un anonimo Cocho bergamasco, lodandola. È diversa da tutte le altre, offre note d’arancia, spezie e grappa. Considerata una delle parti meno nobili, se confezionata dai norcini bergamaschi diventa una preparazione ambita dai più raffinati palati.

Ottima in insalata con cipolle bergamasche crude affettate e fagioli lessi o semplicemente con i sottaceti. Ottima come cibo di strada per gustosi panini.

Pansèta de la Bergamasca

Profumata e speziata, con la parte grassa bella bianca e la sua tipica venatura rosea, la Pancetta bergamasca, tesa o coppata, è la regina della cucina del territorio. Costituisce la base di molte preparazioni, quali: soffritto per minestrone e zuppe o rivestimento di stufati, brasati e arrosti.

È indispensabile condimento dei Casonsèi de la Bergamasca, ma anche ingrediente di sughi per gnocchi e paste; è presente nella ricetta storica della Polenta e osèi.

Prosciutto crudo bergamasco Il Botto

Viene prodotto esclusivamente con suini bergamaschi di oltre un anno di età che, come la tradizione vuole, «abbiano visto due lune di agosto». Un tempo nella cascina “Il Botto” ad Ardesio, questo pregiato salume veniva nascosto nel fieno che ne esaltava anche sapori e profumi. La tradizione continua: questo prosciutto regala sentori di frutta secca-nocciola e di tostato che ben si fondono con il profumo di burro. Presenta un grande equilibrio in bocca dove rivela notevole scioglievolezza.

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