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Millegradini dello Spirito: le Chiese che si possono visitare (2a parte)

Guida. La versione spirituale della Millegradini permette di scoprire alcuni tesori della nostra città. In questa seconda parte le altre tre chiese, sempre collegate ad alcuni santi

Lettura 10 min.
Il Crocifisso della Chiesa di San Pancrazio

La Millegradini quest’anno significa anche Millegradini dello Spirito. La camminata non competitiva che permette di scoprire le bellezze della nostra Città Bassa e Alta, in un saliscendi di scalette, vie e vicoli (l’appuntamento è per il 16, 17, 18 settembre) diventa anche un’occasione per scoprire alcune Chiese di Bergamo di particolare bellezza, e le storie dei santi ad esse legate. Sei le tappe in tutto (con cui costruire il proprio personale percorso): tre delle quali vi abbiamo parlato nella guida precedente e tre in questa secondo e ultimo vademecum.

Chiesa di Sant’Erasmo

La Chiesa di Sant’Erasmo (vicolo Sant’Erasmo) è sussidiaria della parrocchia di Santa Grata inter vites, in Borgo Canale. Documentata dal XIV sec. questa piccola Chiesa è stata ristrutturata più volte mantenendo però la sua caratteristica facciata in pietra viva. La Chiesa originaria era orientata, aveva cioè l’abside rivolta, verso est mentre la facciata, a ovest, era preceduta da un sagrato. Il fronte nord presentava invece un piccolo portico ad arcate. Oggi l’antico orientamento si presenta ruotato di novanta gradi e l’accesso alla Chiesa avviene direttamente dalla strada.

L’edificio presenta ora una facciata articolata in pietra a vista con un portale d’ingresso rettangolare affiancato da due piccole finestre ai lati, protette da inferriate. La presenza di pietre ben lavorate che disegnano tre arcate, oggi tamponate, fa intuire che la facciata sia stata rimaneggiata nel tempo. Sopra il portale, in un’ancona intonacata evidentemente posteriore, spicca un affresco e, ancora più sopra, una finestra quadrata, sempre protetta da inferriate. Il timpano presenta la dedicazione della Chiesa a Sant’Erasmo ed è affiancato, sulla sinistra, dal corto campanile a pianta quadrata.

Il fronte est (dove c’era l’antica abside), a corsi regolari e a tratti a spina di pesce, è prospicente al vicolo Sant’Erasmo e presenta le tracce di un precedente portale; un’apertura rettangolare porta ai locali sotto la Chiesa, che prendono luce da una finestra inferriata posta nel sottotetto. La sagrestia è posta nel lato del vicolo ed è sorretta da volta a botte.

Il lato sud presenta, a livello del terreno, due piccole finestre rettangolari che danno luce ai locali ipogei. Il rosone è sovrastato da aperture murate e affiancato da due finestre strombate. L’interno presenta un’unica navata rettangolare con presbiterio coperto da volta a botte ribassata e altare in stile neoclassico. Il coro è in legno dipinto mentre le lesene e le riquadrature sono in finto marmo. Alle pareti della Chiesa si può ammirare una serie di tele, con cornici in stucco, di inizio sec. XIX, raffiguranti episodi della vita di Sant’Erasmo; sul soffitto vi è una decorazione ottocentesca che illustra una cupola in prospettiva.

Sulla parete sinistra del presbiterio si apre un corridoio che porta alla piccola sagrestia dove si trova un antico lavabo in pietra scolpita. Lo spazio ipogeo è composto da un ampio locale coperto da volte a botte e muro di spina aperto, ad arcate ribassate; sulle pareti ci sono lacerti di affreschi quattrocenteschi. Alla Chiesa sussidiaria di Sant’Erasmo era annessa la scuola dei Disciplini Bianchi, retta da un ministro, un sottoministro, un tesoriere e un canevario: il loro gonfalone presentava un’immagine della Maddalena.

Sant’Erasmo

Del santo, che fu Vescovo di Formia, abbiamo notizie da fonti molto antiche che ne raccontano la passio. Secondo queste fonti Erasmo, che era originario di Antiochia, era già Vescovo di Formia quando scoppiò la persecuzione: per salvarsi fuggì e si nascose per sette anni in una caverna del monte Libano. Tornato in Italia fu arrestato e condotto al tribunale dell’Imperatore che, prima con lusinghe e poi con torture terribili, cercò di convincerlo a sacrificare agli dei; Erasmo però non cedette e venne gettato in carcere.

Liberato miracolosamente, si recò nell’Illiria (nel sud della penisola Balcanica) dove si racconta che in sette anni abbia convertito 400.000 persone. Arrestato ancora una volta per ordine di Massimiano, fu condotto a Sirmio, nell’attuale Serbia, dove abbatté un simulacro davanti al quale avrebbe dovuto sacrificare e convertì moltissime altre persone, molte delle quali furono immediatamente uccise, mentre Erasmo venne torturato orribilmente.

L’ultimo supplizio fu raccapricciante: gli venne aperto il ventre, venne esposto un capo dell’intestino che fu fissato ad un argano attraverso il quale l’intero intestino gli venne tolto. Poiché al termine del supplizio non aveva ancora rinunciato alla sua fede e non era ancora morto, venne rinchiuso di nuovo in carcere da dove, nella notte, venne liberato dall’arcangelo Michele che lo condusse a Formia, dove visse per sette giorni e dove morì serenamente.

Chiesa di Sant’Erasmo

Proprio a causa del supplizio al quale venne sottoposto, Erasmo è considerato il protettore contro le malattie dell’intestino. La devozione al santo, molto viva nel passato, vedeva la gente accorrere alla Chiesa nella settimana della festa di Sant’Erasmo. In quell’occasione venivano preparati e poi venduti ai fedeli i panini di SantErasmo che erano dei piccoli pani di farina non lievitati e vuoti all’interno, molto duri, che si conservavano per parecchio tempo. Venivano benedetti nel giorno della festa del santo e i fedeli li portavano nelle loro case, dove venivano conservati per essere mangiati devotamente in caso di malattie dell’intestino.

Pur essendo duri e non particolarmente buoni, ai bambini piacevano comunque e così accadeva che i panini, uno alla volta, sparissero dal cassetto del comò dove le nonne e le mamme li nascondevano. Oggi credo che non si preparino più, ma la gente di Città Alta se li ricorda di certo e per loro Sant’Erasmo è il santo del mal di pancia e dei panini.

Chiesa di San Pancrazio

Un antico documento dell’888 d. C. cita per la prima volta la Chiesa di San Pancrazio (in via San Pancrazio 5). Documenti successivi raccontano di successive opere di ampliamento, prima nel 1280 e poi nel XV secolo, quando venne praticamente ricostruita e consacrata dal Vescovo. A quel tempo, la Chiesa era attorniata da un’area cimiteriale ed era a capo di una Vicinia molti importante. Dopo i dettami del Concilio di Trento la Chiesa venne nuovamente ampliata e altri importanti interventi vennero effettuati nei secoli successivi. Nel 1805 la Parrocchia di San Pancrazio venne soppressa e la Chiesa divenne sussidiaria della Cattedrale di Sant’Alessandro.

Nel primo ‘900 venne ridipinta la facciata e rifatta la pavimentazione; in quell’occasione si incaricò Giovanni Cavalleri di dipingere la volta con scene della vita di San Pancrazio. Altri lavori divennero necessari per rimediare ai danni causati dal terremoto del 2004. In anni recentissimi si sono realizzati lavori di restauro che hanno ridato alla Chiesa una luminosità nuova. La Chiesa di San Pancrazio ha la facciata che si apre sulla piazzetta omonima dalla caratteristica fontana e insiste, con un portale laterale, anche sulla via Gombito.

La facciata, molto semplice e conclusa da un tetto a capanna, presenta un elegante portale ad arco ogivale datato 1452, profilato da modanature in pietra grigia. L’architrave in pietra arenaria, diviso in tre settori, presenta altorilievi che raffigurano San Pancrazio, la Madonna col Bambino e un vescovo benedicente. Nel sottarco un affresco rappresenta la Trinità col Cristo Crocifisso sorretto dal Padre Eterno e, ai lati, i santi Bernardino da Siena e Sebastiano. Ai lati del portale si vedono due monofore ad arco ribassato mentre un oculo si apre al di sopra.

L’interno si presenta ad aula unica scandita in cinque campate da lesene con basamento in pietra arenaria e capitelli corinzi che delimitano le cappelle laterali a pianta trapezoidale, in numero di cinque per lato (con un’unica eccezione). Il presbiterio, sopraelevato di tre gradini e definito da una balaustra, ospita il bell’altare barocco e il coro e si conclude con un’abside semicircolare con paraste corinzie. Come quelle dalla navata, si devono a Gian Battista Caniana che intorno alla metà del XVIII secolo rinnovò l’apparato decorativo delle pareti, della volta a botte e della tazza ellittica del presbiterio. Molte le opere d’arte che arricchiscono sia le cappelle che il presbiterio, facendo di questa Chiesa un interessantissimo “museo” d’arte.

Da non perdere il Crocifisso ligneo che si trova nella prima cappella di sinistra della Chiesa. È un Crocifisso “semplice” che, apparentemente, non attrae l’attenzione. Non di grandi dimensioni, è posizionato sulla parete di fondo della cappella e spicca sullo sfondo libero. Ma non è sempre stato così: fino a pochi anni fa, dietro il Crocifisso era posizionato un telo rosso sul quale spiccavano alcuni cuori d’argento, quegli “ex voto” che parlano di riconoscenza e ringraziamento. Un tempo la tela rossa era quasi completamente ricoperta di ex voto, tanto da dover spostare quelli più vecchi per far posto ai nuovi. Negli ultimi tempi i cuori erano molti meno, perché purtroppo attraggono anche i malintenzionati.

Tornando al Crocifisso, notiamo che Gesù guarda verso il basso, verso coloro che, giorno dopo giorno da centinaia di anni si fermano lì davanti per una preghiera, una supplica o un ringraziamento. La cosa curiosa è un’abitudine assai radica tra gli abitanti di Città Alta, soprattutto quelli della zona est che, salendo verso il centro, entrano in Chiesa dal portone laterale, fanno il Segno della Croce e si spostano davanti al Crocifisso per una preghiera e un saluto, prima di uscire dal portone principale.

Questa cosa accadeva anche coi bambini che andavano a scuola. Le suore avrebbero voluto vederli tutti a messa, ma molti arrivavano alla Chiesa di San Pancrazio poco prima del suono della campanella e così, di corsa, entravano in Chiesa, si fermavano davanti al Crocifisso per una preghiera velocissima, allungavano la mano per una carezza delicata ai piedi di Gesù e poi correvano a scuola. E così, nel tempo, le dita dei piedi di Gesù si sono consumate e sono lucidissime, per colpa – o per merito – delle centinaia di carezze che hanno cancellato il sangue dai quei piedi e, forse, un po’ di dolore al Crocifisso.

Alla Chiesa di San Pancrazio sono legate delle devozioni che arrivano da lontano. La prima riguarda logicamente il santo patrono, Pancrazio, un giovanissimo martire cristiano giustiziato a Roma. Molto seguita anche la devozione alla Madonna di Lourdes e quella a Sant’Anna: una statua “vestita” è ospitata nella cappella a lei dedicata.

San Pancrazio

È uno dei cosiddetti Santi di ghiaccio, con San Servazio, San Mamerto e San Bonifacio di Tarso. Come accennavamo, San Pancrazio (289 – 304 d. C.) è stato un giovane cristiano martirizzato a Roma sulla via Aurelia all’età di quattordici anni, mentre governava l’Imperatore Diocleziano.

Perché viene considerato un “santo di ghiaccio”? La nomea fa riferimento, nella tradizione popolare, ad un’anomalia del clima, in particolare ad un brusco abbassamento delle temperature prima dell’arrivo della bella stagione. I contadini di un tempo, ma pure la scienza, osservavano questo fenomeno, diffuso soprattutto nell’Europa centro-settentrionale in corrispondenza della sesta settimana dall’equinozio di primavera, ovvero l’11, 12, 13 e 14 maggio. A San Pancrazio è dedicato il 12 maggio.

Nacque a Sinnada, cittadina della Frigia, in Asia Minore, che allora era provincia consolare. Ma i suoi genitori, abbienti, erano di origine romana: la madre Ciriada, morì durante il parto; il padre Cleonia morì quando Pancrazio aveva otto anni e lo affidò allo zio Dionisio. I due si trasferirono a Roma stabilendosi nella loro villa patrizia sul Monte Celio. L’incontro con la comunità cristiana li iniziò alla fede, e presto ricevettero i sacramenti del battesimo e dell’eucaristia.

Intanto Diocleziano avviò la persecuzione dei cristiani nel 303 d. C.. Fu una delle persecuzioni più feroci della storia romana e chiunque negava l’incenso agli dèi romani o allo stesso imperatore veniva falcidiato. Pancrazio si rifiutò più volte di esprimere la sua fedeltà a Diocleziano. L’Imperatore, considerandone l’avvenenza, cercò di convincerlo con promesse e minacce ad abbandonare la fede in Gesù Cristo. Sdegnato, Diocleziano ordinò la decapitazione del ragazzo presso il tempio di Giano sulla via Aurelia.

L’illustre matrona romana Ottavilla unse il capo e il tronco del corpo con balsami e li avvolse in preziosi lini, deponendoli in un sepolcro scavato appositamente nelle catacombe. Oggi la reliquia del capo è esposta in San Giovanni Laterano. La St. Pancras Old Church, a Londra, è stata uno dei primi santuari cristiani dell’Inghilterra e San Pancrazio viene molto venerato anche in Germania. Il santo è patrono degli innocenti e protettore dei bambini.

Monastero di Santa Grata

La prima traccia documentaria del “Monastero di Santa Maria Vetere” (cioè vecchia) risale al 938 d. C.; l’appellativo “vecchia” serve per distinguere questa chiesa di Santa Maria da quella del monastero di Santa Maria, sorto a poca distanza.

Una datazione molto più antica si deve a Pinamonte da Brembate che, in un testo dedicato a Grata, afferma che il monastero sarebbe stato fondato nel 289 d. C., quindi nei primissimi anni del cristianesimo, da Adleida, la mamma di Grata. Se questa data fosse certa, si tratterebbe del primissimo monastero fondato a Bergamo.

Nel 1026 il monastero (oggi in via Arena 24) assunse ufficialmente la “regola” di San Benedetto, per decisione della prima badessa, donna Officia, che si occupò anche di migliorare i locali del cenobio e di ricostruire la chiesa. Quando poi, il 1° maggio 1027, il corpo di Grata venne trasferito qui dalla chiesa da lei fondata in Borgo Canale, monastero e chiesa cambiarono nome, da “Santa Maria Vecchia” a “Santa Grata in columnellis” (per distinguerla da quella “inter vites”).

Intorno al 1470 il convento abbraccia la clausura totale e nello stesso tempo viene edificata la nuova chiesa, che tiene conto della necessità di garantire l’accesso ai fedeli senza rompere la clausura delle monache. È la chiesa di cui ci rimane traccia ancora oggi, nelle colonne, nei capitelli e negli affreschi che si possono ancora scorgere sul muro esterno dell’edificio attuale e nei vani sotterranei.

Vengono costruite qui quasi due diverse chiese, su due diversi livelli, separate ma comunicanti attraverso finestre munite di grate, che rendono possibile a tutti seguire le celebrazioni senza però comunicare. La “chiesa interna” altro non è che quello che si potrebbe anche chiamare “il coro”, delimitato da una fitta grata elegante e decorata che impedisce la vista delle monache senza privare loro della visione dello spazio sacro della chiesa e di poter, quindi, seguire le celebrazioni.

La nuova ricostruzione dell’attuale chiesa ebbe luogo a partire dal 1593 e i lavori di decorazione e abbellimento proseguirono per quasi due secoli. Nel 1810, con la soppressione napoleonica, anche la chiesa venne spogliata di molti tesori, tra cui importantissimi documenti cartacei. Pochi anni dopo, però, le monache ottennero dagli austriaci il permesso di riprendere possesso della chiesa e del monastero, a patto che vi venisse aperta una scuola per fanciulle. La clausura sarà ripristinata definitivamente nel 1930.

Ancora oggi questo monastero continua ad essere molto importante per la città. Le suore che ci vivono possono accogliere e ascoltare chi va da loro per un consiglio o per chiedere una preghiera. Continuano, seguendo la regola benedettina, a pregare e lavorare, alternando giorno e notte il tempo della preghiera, del lavoro e del riposo. Per tutti noi.

Santa Grata

L’elaborato portale tardomanierista (risale alla metà del ‘600) è composto da due lesene sulle quali sono appoggiati due robusti telamoni, che sorreggono la trabeazione sopra la quale spiccano una profonda nicchia e il timpano. Nella nicchia vediamo le statue a tutto tondo della Vergine col Bambino, di San Benedetto e di Santa Grata, che qualche studioso attribuisce a Giovanni Antonio Sanz, scultore bergamasco che visse nel Settecento.

Grata è raffigurata con in testa una corona, che richiama il suo essere nobile, e ha entrambe le mani occupate: in una c’è un modello della città di Bergamo, della quale è co-patrona, nell’altra la testa di Sant’Alessandro.

Secondo la leggenda giunta fino a noi, Grata sarebbe stata figlia di Adleida e Lupo, “duca” di Bergamo. La fanciulla, di fede cristiana, saputo del martirio di Sant’Alessandro avvenuto fuori dalle mura della città – sfidando ogni pericolo e uscendo di notte dalle mura – si sarebbe recata sul luogo del martirio per raccogliere il corpo di Alessandro, fatto decapitare nei pressi della chiesa di Sant’Alessandro “in colonna”.

La leggenda continua raccontando che durante il tragitto ogni tanto Grata, la sua ancella e i servitori che le avevano accompagnate si fermavano per riposare e quando una goccia del sangue del martire toccava il suolo, immediatamente ne nascevano candidi gigli. Appena tornata in città, Grata avrebbe seppellito di nascosto il corpo del santo in un terreno adiacente alla sua casa, nella zona di Borgo Canale. Su quella tomba sorgerà poi, per volere di Grata e dei due primi vescovi di Bergamo, Narno e Viatore, la Basilica di Sant’Alessandro, che sarà distrutta nel ‘500 in occasione della costruzione delle mura veneziane.

(grazie per la collaborazione a Rosella Ferrari)

Sito Millegradini

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(Foto Collaboratore Eppen)

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