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Amelio, Crialese, Olivia Wilde, Dominik con Marilyn Monroe e Virzì: la Mostra di Venezia è già (quasi) tutta in sala

Articolo. A pochi giorni dalla fine di «Venezia79» moltissimi film della Mostra sono già al cinema o sulle piattaforme, mentre altri sono in arrivo (dodici solo entro la fine di settembre). Ne abbiamo scelti cinque che ci sembrano significativi e stanno già facendo discutere critica e pubblico

Lettura 6 min.

Si è appena conclusa la 79ª Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia, di nuovo a pieno regime dopo due edizioni condizionate dal Covid e tornata a fare il pieno di gente e soprattutto di film – 135 in totale, due anni fa erano poco più di un centinaio. Il Leone d’oro, come già saprete, l’ha vinto un documentario: «All the Beauty and the Bloodshed» della regista statunitense Laura Poitras (già premiata con l’Oscar per il doc su Edward Snowden del 2014 «Citizenfour»). Quello di Poitras è il ritratto, in forma piuttosto tradizionale, della fotografa e attivista Nan Goldin, celebre per aver raccontato in immagini la New York underground degli anni Ottanta. Ma anche per la sua lotta contro le case farmaceutiche americane colpevoli di aver legalizzato medicinali oppioidi – fra cui il controverso OxyContin – che hanno causato migliaia di casi di dipendenza e morti per overdose in tutti gli Usa (come ha raccontato anche la serie tv «Dopesick»).

La vittoria di un documentario è sempre un po’ un’anomalia a per un festival del cinema, ma anche, spesso, un messaggio politico bello forte (vedi la Palma d’oro a «Fahrenheit 9/11» di Michael Moore a Cannes o l’Orso d’oro a «Fuocoammare» di Gianfranco Rosi a Berlino) e in questo caso «All the Beauty and the Bloodshed» è un film perfettamente centrato sul presente, che raccoglie molte delle istanze del cinema e della società contemporanei. Avremo tempo per riparlarne (non si sa ancora la data di uscita italiana del film, ma arriverà certamente in sala anche da noi), intanto abbiamo fatto una piccola ricognizione fra i titoli della Mostra già in circolazione o in procinto di uscire in sala o sulle piattaforme. Ne abbiamo selezionati cinque di cui si parlerà (e si sta già parlando) molto:

«Il signore delle formiche» di Gianni Amelio

Amelio racconta «il caso Braibanti» entrando nelle dinamiche che portarono alla prima (e unica) condanna al carcere di un omosessuale dell’Italia repubblicana. Come è noto Aldo Braibanti, intellettuale, poeta e appassionato mirmecologo (cioè della scienza che studia le formiche, cui allude il titolo del film) nel 1964 venne condannato a quattro anni di prigione dopo essere stato riconosciuto colpevole del reato di plagio (due gli verranno poi scontati per i suoi meriti di partigiano). In realtà fu un vero e proprio processo all’omosessualità e Braibanti – unico caso in Italia di condanna per plagio: reato introdotto durante il ventennio, mai applicato formalmente e poi depennato dal codice penale per riconosciuta incostituzionalità – divenne il capro espiatorio di una società profondamente reazionaria (soprattutto a destra, ma anche a sinistra) e indisponibile ad ammettere che uno come lui potesse anche solo esistere.

Amelio racconta la storia d’amore di Braibanti (Luigi Lo Cascio) con Ettore Tagliaferri (nella realtà Giovanni Sanfratello, interpretato da Leonardo Maltese) in forma di flashback alternando a essa le scene del processo e mostrando nel contempo le reazioni della stampa, del mondo politico, delle istituzioni e delle famiglie dei protagonisti. Il regista calabrese sceglie di stare dentro ai fatti ed è abile a giocare la questione sul piano culturale più che su quello politico (il Pci, l’Unità e persino l’Urss ne escono a pezzi), dipingendo anche lo stesso Braibanti come un uomo imperfetto, pieno di difetti e a tratti sgradevole e sopra le righe. Come a dire che anche i martiri hanno tutto il diritto di essere antipatici. Senza per questo essere meno martiri.
(Capitol/Uci Orio e Curno/Arcadia Stezzano/Anteo Treviglio)

«L’immensità» di Emanuele Crialese

In teoria un film autobiografico, in realtà una specie di viaggio onirico, memoriale, fantastico nel mondo e nell’Italia degli anni Settanta, quando Emanuele Crialese era un ragazzo e del quale mette a confronto i (propri) ricordi e l’immaginario (di tutti). La storia è quella della dodicenne Adriana, detta Adri, che vorrebbe essere Andrea e se fosse per sua madre – una donna bellissima e piena di vita con il volto e il corpo di Penélope Cruz – forse potrebbe anche esserlo. Ma il padre è un uomo conformista e ipocrita, espressione del maschilismo retrivo e violento dei suoi tempi, che mena la moglie dopo averla tradita e punisce la figlia per la sua identità sessuale non convenzionale. Crialese, che ha da poco fatto coming out riguardo la sua scelta di intraprendere un percorso di transizione, mette molto di se stesso e della propria vita dentro «L’immensità» e il film si dipana come una sorta di ricordo intimo e personale.

Per questo le immagini hanno la forma e le sembianze di una memoria, dove le canzoni di Raffaella Carrà (il film si apre con «Rumore» cantata da tutta la famiglia, tranne il padre, mentre apparecchia la tavola), Adriano Celentano, Johnny Dorelli e Patty Pravo danno letteralmente il rimo. Con Penélope Cruz che diventa la Carrà e i personaggi del film che prendono le sembianze dei protagonisti di Canzonissima. E il risultato è un affascinante carnevale dell’immaginario, pur negli eccessi della regia di Crialese e nel suo stare costantemente sopra le righe. Cinema italiano che non vediamo spesso, ma per fortuna esiste.
(Conca verde/ Uci Orio e Curno/Anteo Treviglio)

«Don’t Worry Darling» di Olivia Wilde

Uno dei film più attesi, almeno dal pubblico delle adolescenti – che ha letteralmente invaso il Lido come non si ricorda in tutta la storia della Mostra. Il motivo di tanta spasmodica attesa è la presenza nel cast del cantante Harry Styles, vero idolo delle ragazzine e fenomeno pop internazionale. Ma oltre a questo c’è stato un folto chiacchiericcio intorno al cast (oltre a Styles anche Florence Pugh, Chris Pine e la stessa regista Olivia Wilde) e ai rapporti tesi fra alcuni di loro. Al di là del gossip però (che giova alla Mostra in termini di visibilità ma penalizza fortemente l’aspetto artistico) il film è anche un perfetto e incredibile compendio dei temi che vanno per la maggiore nel cinema di oggi.

Ambientato negli anni Cinquanta dell’american dream «Don’t Worry Darling» è in realtà un thriller fantascientifico che mette in discussione alla radice i valori su cui si fonda il mito degli Stati Uniti come giardino dell’Eden della cultura moderna. La rilettura di Wilde, che guarda dritto verso il contemporaneo, scopre la polvere da sotto il tappeto dell’immaginario del sogno americano. Tentando di rivelare l’arretratezza, la violenza e la misogina della società patriarcale su cui è fondata l’America. Una società in cui il ruolo della donna, da sempre marginalizzato, è ancora oggi trascurato o lasciato in disparte. Ragionamenti giusti e sacrosanti quelli della regista, tuttavia annacquati da una forma confusa e da un racconto incerto, pieno di buchi di sceneggiatura e colpi di scena goffi e inverosimili. Ed è un peccato, come è un peccato che ciò di cui si parlerà e resterà di più di questo film saranno tutti i pettegolezzi che si sono creati intorno. O forse no…
(dal 22/09 Arcadia Stezzano/Uci Orio e Curno)

«Blonde» di Andrew Dominik

Il film copertina della Mostra è anche uno dei più interessanti (e meglio riusciti) di un concorso piuttosto sottotono. A sessant’anni dalla morte di Marilyn Monroe e dopo una gestazione di oltre dieci anni Andrew Dominik riesce nell’impresa di adattare il romanzo fiume «Blonde» della scrittrice e accademica americana Joyce Carol Oates, una biografia sui generis dell’attrice. E come il libro anche il film è un torrente in piena, che racconta la vita della più grande diva del Novecento e della storia del cinema quasi solo per immagini, lasciando da parte i raccordi narrativi e l’incedere da biopic più consueto in favore di un movimento impressionistico, che privilegia completamente l’aspetto visivo.

Le immagini dunque: quelle più pop e conosciute della Marilyn divenuta icona del divisimo e dello star system hollywoodiano in contrasto con quelle (spesso in bianco e nero) di Norma Jeane (vero nome dell’attrice), donna irrisolta, piena di traumi, abbandonata dal padre, con una madre malata di mente e madre mancata lei stessa; per tutta la vita incapace di gestire i rapporti con gli uomini (e il mondo maschile e maschilista del cinema) e con il mondo. Quasi tre ore che stordiscono e probabilmente non aggiungono nulla a quanto sappiamo di Marilyn, eppure creano un corto circuito sensoriale straniante. Per via della superficie liscia delle immagini che non dicono nulla più di quanto rappresentano e alla prova mimetica di una stupefacente Ana de Armas, tutto appare come un lungo sogno (o un’allucinazione sensoriale) dove ogni cosa si mischia all’altra e, come dice la protagonista all’inizio del film, si finisce per «non capire mai cosa è reale e cosa è dentro di te». Provare per credere.
(dal 28/09 su Netflix)

«Siccità» di Paolo Virzì

Anno 2022, una siccità senza precedenti attanaglia la città di Roma e tutto il Lazio. La gente, costretta alle file per l’acqua, mostra segni di insofferenza, mentre chi possiede fonti d’acqua privata (centri termali e spa) rifiuta di condividere il bene con la cittadinanza ed è oggetto di pesanti contestazioni. Gli idrologi, in quanto esperti, vengono chiamati in tv a dare il loro parere e diventano delle celebrità, anche se c’è chi non crede alle loro previsioni e sulla rete rilancia teorie alternative. Nel frattempo un virus mortale causato dalla mancanza d’acqua inizia a provocare una strage fra la popolazione. Ci ricorda qualcosa tutto questo? Paolo Virzì rilegge attraverso il filtro della commedia grottesca gli eventi tragici (e tragicomici) che il Covid ha portato con sé.

Molto similmente ad Adam McKay con «Don’t Look Up» usa la metafora della siccità (in McKay era una cometa destinata a distruggere la Terra) per riflettere su quello che siamo diventati e sulla nostra inevitabile tendenza all’autodistruzione. «Siccità» è un’opera corale, piena di personaggi, situazioni e storie, con una sfilza di attori celebri (Valerio Mastandrea, Monica Bellucci, Silvio Orlando, Max Tortora, Tommaso Ragno, Claudia Pandolfi…) e ricca di humor. Un film pieno di spunti e idee, anche brillanti, che però si perde un po’ nel tono caciarone e sguaiato della commedia italiana più elementare. Con battute trite ritrite (persino una sui bergamaschi “stranieri” come ne «La grande guerra» di Monicelli) e alcune imperdonabili cadute di stile (una scena biblica nel mezzo del Tevere in secca). Arriverà in sala appena dopo le elezioni e, anche per questo, sarà un successo.
(dal 29/09)

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