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A volte, per cambiare la vita di qualcuno, basta montare una mensola

Articolo. Ci sono storie che diventano importanti quando capisci che si stanno ripetendo in tanti luoghi diversi, a Bergamo, in provincia, in Lombardia, in Italia. Sono storie di solidarietà che da sole sarebbero la più classica goccia nell’oceano, ma insieme a tante altre formano un fiume. Un fiume d’amore, d’accoglienza. Per le persone che fuggono dall’Ucraina colpita dalla guerra

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Un fiume che può diventare «una valanga d’amore contro un bicchiere d’aceto», come cantava Ivano Fossati in una sua canzone di qualche anno fa. La storia che vi racconto io si svolge a Bagnatica, il mio paese, e rappresenta storie più o meno simili in altri luoghi, durante queste settimane difficili per tutti. Le persone ucraine in primis, e poi noi, sommersi da una quantità enorme di informazioni che ci arrivano dalla tv, dai giornali, da internet. Dal chiacchiericcio stupido dei social, quando invece ci vorrebbe un po’ di silenzio, e di studio. Che non siamo tutti esperti di geopolitica, come non eravamo prima tutti epidemiologi. Ma siamo solo impotenti e esausti davanti alle immagini, alle notizie, ai numeri. Rimaniamo impietriti con il nostro cosa fare?, come un fardello.

Il parroco di Bagnatica si chiama don Matteo. Ha una cinquantina d’anni, ha visto la Bolivia e Cuba come missionario, conosce la povertà e la fame. È un sacerdote simpatico, che ama le battute, le belle tavolate imbandite di ciò che il Dio in cui crede gli ha donato – un Dio a cui queste settimane si fa un po’ fatica a credere e ci si chiede dove sia tra le macerie, i morti, i bambini rimasti senza genitori, la bellezza violata in ogni sua forma: ma è normale, la vera fede non è mai una questione pacificata.

Don Matteo è un prete che si commuove di fronte ai bambini ucraini in Seminario, che vuole aiutare chi è in difficoltà e sembra che il suo compito, da sacerdote su questo pianeta disgraziato, sia proprio quello: aiutare. E aiutare gli altri ad aiutare, coordinando le persone, dando loro una motivazione, tanto che se non avesse fatto il sacerdote forse sarebbe un buon imprenditore, o un imprenditore buono, fate voi. Con quella capacità di dare un compito a chi vuole fare qualcosa. E di trasmettere alla gente un vitale sentimento di utilità, ma senza troppe parole, con semplicità, secondo ciò che ognuno sa fare. Magari con un bicchiere di vino e un salame tagliato a fette in una pausa dal lavoro, a metà mattina. La banalità del bene, verrebbe da dire. Quella che ogni tanto, anzi spesso, accade.

Accade com’è accaduta a Bagnatica, a cui la Caritas della nostra provincia (a questo link la raccolta fondi “Un aiuto per l’Ucraina”) ha chiesto qualche giorno fa di ospitare una famiglia di otto persone. Non si sa chi siano, da quale parte dell’Ucraina vengano, come stiano. Don Matteo vive in una casa molto grande, che un sacerdote prima di lui molti anni fa fece costruire, forse lasciandosi prendere un po’ la mano, o forse per quella storia dei mercanti del tempio che ogni tanto ritorna e non c’è Gesù che li scacci. Sta di fatto che questa casa grande ha all’interno un appartamento, con la cucina, il soggiorno, addirittura tre bagni e diverse camere da letto. Ma è quasi del tutto vuota: mancano i mobili della cucina, delle camere, il soggiorno e le pareti vanno ritinteggiate. Poi mancano anche i materassi, i divani (due, se le persone sono otto), il tavolo, le sedie, una tv, le posate, i piatti, le lenzuola, le coperte, i cuscini. Tutte le cose che servono per fare di una casa un luogo bello, dignitoso e accogliente. Quanto lavoro, quante persone per fare tutto.

Don Matteo non ci pensa neanche un momento a darsi per vinto, ma chiama la sua squadra: sono tutti uomini e donne in pensione, che però faticano ad essere veramente pensionati. Insomma hanno voglia di fare, non si tirano indietro, sembrano dire c’è qualcuno da aiutare, facciamolo. Non sono degli eroi e non si sentono tali. Sono solo delle persone che sanno fare delle cose, e le fanno. A volte volontariato vuol dire semplicemente questo.

Pietro, detto lo Straserì (si scriverà così?), che faceva il pittore, insieme a Mario (che invece faceva il fabbro, ma si adatta) tinteggiano le pareti: le camerette colorate, la cucina e il soggiorno di un bel bianco che mette serenità. Doriano, chèl di Barachech – che è mio padre e mi fa un po’ impressione chiamarlo per nome, perché lo chiamo sempre papà – ha lavorato per oltre quarant’anni come falegname nella stessa azienda, ha maniere spicce ma efficaci, e non riesce a stare fermo: ci si mette subito, capisce però che serve qualcun altro di esperto. E allora chiama Girolamo, ol Barsalì, un ex collega e un amico: anche lui ha lavorato per oltre quarant’anni nella stessa azienda e viene da Brusaporto, come sempre sorridente, a dare una mano – lui che un pezzo di mano l’ha lasciata sotto una macchina per tagliare il legno (poi gliel’hanno ricostruita), mentre mio papà ci ha lasciato un pezzo di pollice, e ancora oggi ha nove dita e mezza, il pollice a forma di Barbapapà. Li aiutano Maurizio, che con Girolamo monta la cucina (arrivata gratis da un mobilificio di Villa di Serio), e Angelo, o l’Angel, un muratore esperto qui prestato al legno, che con Doriano monta le camerette. Il soggiorno lo montano ancora loro. Ma la casa è al primo piano e Tarcisio, un robusto ex operaio della Barcella, porta su ante, ripiani, mensole, etc.: tutti fanno un sacco di lavoro. Daniele, un ragazzo di diciotto anni che in Parrocchia fa tutte le cose tecnologiche, cabla la connessione internet e programma la tv. Idraulico ed elettricista fanno il resto, ciascuno per ciò che gli compete: controllano le prese, i tubi. In cinque giorni la casa è pronta, ma va riempita.

Ci pensano tante persone di Bagnatica e la Caritas (provinciale e quella del paese) a fornire tutto. Qualcosa arriva insieme ai mobili, mancano anche le tende, che vengono ricavate dalle stoffe avanzate delle tende di casa mia: ci pensa mia mamma, Bibiana, e una sua amica, Chicca, a portarle a Lucia, la moglie di Maurizio che le cuce, dopo aver dato una bella pulita generale alla casa.

Poi, mercoledì scorso, alcune delle persone che ho citato in questo racconto sono andate con le loro macchine a prendere queste otto persone profughe dall’Ucraina, una durante il viaggio ha chiesto se a Bergamo ci fosse il mare (non c’è, ma vi meritereste che ci fosse). Arrivati a Bagnatica hanno trovato la loro nuova casa e una nuova esistenza, nata anche dal lavoro di un gruppo di persone che ha messo a disposizione le proprie capacità e il proprio tempo per migliorare la vita di qualcun altro. Questo è successo a Bagnatica, come altrove, e succede di frequente a Bergamo quando c’è qualcuno da aiutare. In un tempo così individualista non è una cosa da poco. Anzi, tutte queste storie di solidarietà messe insieme sono un enorme gesto politico nel senso più nobile del termine, una bella concrezione di storie che – oltre i cannoni e le bombe – muovono la Storia, quella con la s maiuscola. Che lor signori lo vogliano o no.

Oksana ha circa 40 anni, ed è l’unica madre del gruppo. Due figli sono i suoi, gli altri quattro sono cugini fuggiti insieme. Si chiamano Sofiia (11 anni), Ira (11 anni), Uliana (19 anni), Kateryna (14 anni), Pavlo (17 anni) e Veronika (17 anni). E poi c’è nonno Oleh, che di anni ne ha 69, poco di più di mio padre, sua moglie da tempo fa la badante a Bergamo. Vengono da Ternopil, vicino a Chernobyl. Sono felici, sorridono e si guardano intorno. Fremono di gioia nel vedere le loro nuove camerette colorate. Non parlano italiano, lo impareranno, ma non parlano neanche inglese. Solo ucraino. E quando li incontro riusciamo a fatica a scambiarci qualche parola attraverso l’app che Oksana ha sul suo smartphone e che traduce velocemente dall’ucraino all’italiano e viceversa. Le chiedo come stanno, mi risponde «Siamo molto felici di aver trovato un posto così carino che non ci aspettavamo un incontro del genere e persone così brave». A cena pizza per tutti («quella in Ucraina non era tanto buona», riesce a dirmi), poi spesa con i soldi raccolti in chiesa e dalla vendita libri del gruppo di lettura Parole Rotonde (un banchetto tre domeniche fa che ha avuto un ottimo successo). E da domani un tempo nuovo: carico di incertezze, certo, e magari di voglia di tornare a casa. Ma intanto con un tetto sopra la testa, una tavola con un cesto di frutta, e nessun boato di granate. Intanto che l’accoglienza continuerà, sarà un lavoro di donazione e cura. A volte, per cambiare la vita di qualcuno, basta montare una mensola o ridipingere una parete. Così è successo nei giorni scorsi a Bagnatica. Il bene, a volte, si trova nei dettagli.

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