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Elio Franzini, toglierci la cultura è come toglierci il pane

Intervista. Ospite del corso di filosofia Noesis il 16 marzo, il Rettore della Statale di Milano e docente di estetica parlerà del rapporto tra libertà e necessità. E poi tra le due, inaspettato arriva il caso, che a lui ha cambiato la vita

Lettura 5 min.
Un’opera di Michelangelo (Aurelio Amendola per la mostra ’Il potere dello sguardo’, alle cappelle medicee a Firenze nel 2014)

La filosofia per Elio Franzini offre la possibilità di navigare l’incertezza di questi giorni, è strumento per superare la crisi, non è una religione, non dà conforto, ma può essere utile per trovare una via nel buio. La filosofia è la passione che si è trasformata in professione e l’ha portato, dopo un avvio di carriera all’Università di Udine, all’Università Statale di Milano negli anni Novanta, dove è arrivato come docente di Estetica ed è diventato prima Preside della Facoltà di Lettere e Filosofia, poi Rettore, proprio pochi mesi prima dello scoppio della pandemia.

In veste di filosofo Elio Franzini tornerà ad essere ospite di Noesis, il corso di filosofia che ogni anno porta a Bergamo grandi nomi del pensiero. “Libertà e necessità nel pensiero moderno” è il tema della serata del 16 marzo che dalle 20 alle 22 ospiterà il Rettore della Statale in diretta streaming (partecipazione su prenotazione attraverso il sito www.noesis-bg.it).

“Libertà e necessità sono termini chiave della tradizione filosofica di sempre. Due concetti che nei secoli si sono evoluti e continuano a evolversi anche nel contemporaneo – spiega il professore – Cartesio, Spinoza, Leibniz e Hobbes e Kant sono alcuni dei filosofi che più si sono interrogati su questo tema e di cui parleremo anche durante l’appuntamento di Noesis”.

SV: Quale ruolo può avere oggi la filosofia anche nella vita di persone che non hanno scelto di studiarla, ma che potrebbero essere incuriositi da essa e quindi volersi avvicinare?

EF: Noesis in questo senso rappresenta un ottimo esempio: durante gli incontri negli anni ho sempre trovato un pubblico spesso privo di competenze specialistiche ma molto attento e curioso, con domande sempre appropriate e intelligenti, è un’ottima porta d’accesso per la conoscenza della filosofia. Anche per chi non se ne occupa direttamente, questa disciplina può aiutarci a comprendere meglio le dinamiche di ciò che accade e mostrarci con più chiarezza le interrelazioni legate al divenire storico in cui siamo immersi.

SV: Quindi può aiutarci a navigare in periodi di incertezza come quello che stiamo vivendo a livello collettivo?

EF: Bisogna riconoscere prima di tutto che la filosofia non è una fede, non rappresenta una forma di consolazione e non offre un aiuto specifico, non è il suo scopo. Nonostante questo, la filosofia senza dubbio aiuta ad avere maggiore consapevolezza dei percorsi e delle incertezze davanti a cui ci siamo trovati come esseri umani. Questa disciplina nasce attorno al concetto di crisi, un termine che deriva dal greco e che significa giudicare: ecco quindi che la filosofia ci aiuta nella valutazione di ciò che ci accade e ci può supportare nell’individuare le strade che ci possono permettere di uscire anche da questo tunnel, ovviamente non inteso a livello sanitario, ma come crisi che ci riguarda tutti.

SV: La sua materia di insegnamento è una specifica branca della filosofia, l’estetica. Come ci si è avvicinato?

EF: Ah, i casi della vita! Quando ero all’università non c’erano corsi specifici dedicati a questa disciplina, io mi sono laureato in filosofia teoretica, ma il mio relatore mi diede un argomento di tesi legato all’estetica francese. Lo stesso novembre della mia laurea Dino Formaggio (filosofo e insegnante di filosofia, ndr) cominciava a insegnare questa materia: era il mio correlatore e mi prese sotto la sua ala. Come spesso accade nella vita ci troviamo a doverci misurare con la necessità e la libertà, ma non consideriamo il caso, che poi è un grande oggetto di interrogazione filosofica.

SV: Quali sono gli insegnamenti che questa disciplina porta con sé e che lei sente più urgenti?

EF: Restando sul tema della serata di Noesis, anche questa materia, che si occupa dei problemi del bello, dell’arte e della percezione estetica, riflette sul rapporto tra libertà e necessità, che ritorna anche nella produzione di opere d’arte. Pensiamo a Michelangelo: è libero di fare ciò che vuole davanti al blocco di marmo, ma è costretto a costruire una cosa e non un’altra in base al materiale e al tipo di blocco che ha scelto. Anche nella sua profonda autonomia, una disciplina come l’arte deve misurarsi con la necessità.

SV: Oltre all’insegnamento, lei è Rettore dell’Università Statale di Milano e lo è stato nel periodo della pandemia, durissimo per tutti, compresi gli enti di formazione. Come ha vissuto questa esperienza?

EF: Dalla prima percezione di ciò che stava accadendo, al primo lockdown duro, sono passate circa due settimane. Un lasso di tempo in cui tutte le università lombarde guidate proprio da Remo Morzenti Pellegrini, Rettore dell’Università di Bergamo, hanno agito con freddezza, lungimiranza e una certa capacità di adattarsi alla situazione in modo quasi immediato. Nel giro di poco gli atenei hanno organizzato la didattica a distanza e sono sempre andate avanti cercando di governare l’emergenza, per poi cercare di adattarsi ai vari e improvvisi mutamenti di rotta a cui siamo tutti stati costretti in questi ultimi mesi. Ora abbiamo cominciato il secondo semestre in modalità mista e adesso abbiamo ripreso la didattica a distanza, ma non sapremo come finiremo. Ci ha aiutato tutti tantissimo lo spirito di organizzazione e di adattamento, oltre alla forza di coesione di Remo Morzenti Pellegrini.

SV: Dalla ricerca sul SARS-CoV-2, alla formazione dei professionisti della salute, la Statale è stata in prima linea. Come avete vissuto questo anno?

EF: La pandemia è stata ed è uno dei momenti peggiori e migliori che abbiamo attraversato. Peggiori perché la situazione era gravissima, gli ospedali ci chiedevano personale medico e infermieristico e abbiamo risposto anticipando le lauree anche di due mesi, modificando tutte le procedure burocratiche connesse alle lauree in discipline sanitarie e facendo lo stesso con i giovani medici, riuscendo a immetterli indipendentemente dall’Esame di Stato. Comunque vadano le cose mi sento di ringraziare tutti i giovani infermieri, i medici e gli specializzandi che si sono comportati in modo commovente anche lo scorso fine settimana.

SV: Cioè?

EF: I nostri giovani del terzo anno di infermieristica sabato e domenica non hanno passato la giornata sui Navigli per un aperitivo come molti loro coetanei, ma hanno fatto turni molto impegnativi a titolo gratuito per fare le vaccinazioni al Pio Albergo Trivulzio di Milano.

SV: La pandemia ha reso evidente quanto sia essenziale investire in ricerca, formazione e sviluppo delle competenze. Come ne usciranno secondo lei Università e ricerca da questo periodo? Avranno maggiore riconoscimento?

EF: Mai come in questo periodo si è capito quando la ricerca fosse un elemento essenziale per uscire dalla crisi e salvare un paese. La scienza non è astratta, la ricerca aiuta a vivere. Investire in scienza, conoscenza e formazione è ciò che più fa guadagnare un paese e non mi riferisco solo al livello economico, come abbiamo visto in questi mesi. Nello specifico la Statale di Milano è stata la prima in Europa e la quarta al mondo negli studi sul Covid, il lavoro scientifico che noi e le altre università abbiamo fatto in questo anno rimarrà e ci aiuterà anche in quelli a venire, sarà fondamentale riconoscerlo e tenerlo presente anche più avanti.

SV: Come vede il futuro dell’Università in questo periodo?

EF: Abbiamo acquisito e imparato nuove modalità didattiche, che non possiamo del tutto dimenticare e che resteranno. L’abbiamo fatto in pochissimo tempo e vedo la capacità di riorganizzazione come molto positiva. In ogni caso continuo a pensare alla didattica a distanza come un ausilio. L’università è presenza e condivisione. La pandemia non potrà, né dovrà trasformare le università serie e vere in università telematiche. Nonostante i crediti siano uguali e quindi non ci sia perdita cognitiva, c’è una profonda perdita emotiva: si sacrifica l’educazione al contatto con l’altro, che è essenziale e che andrà restaurata con calma e con pazienza.

SV: Le università sono luoghi di cultura, come lo sono cinema, teatri e spazi dove si fa musica, arte e si sperimenta la creatività. Spazi che ad oggi sono chiusi. Che opinione ha in merito e che soluzioni immagina?

EF: Toglierci la cultura è come toglierci il pane. Sì alla chiusura dei musei se sono chiusi anche i negozi. Se sono aperti i negozi devono essere aperti anche i musei. Inoltre, nello specifico quella dei musei non è una dimensione di massa, ma una dimensione di nicchia. Abbiamo visto tutti cosa accade nelle piazze e in riva ai Navigli e sappiamo cosa non sarebbe mai accaduto in un luogo della cultura. Ecco, forse lasciare che certe cose succedano e non lasciare che ne succedano altre dovrebbe farci pensare e farci rivedere l’ordine delle priorità.

Guarda qui sotto l’intervento di Elio Franzini:

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