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Fabio Isman: per ogni «città ideale», una visione del mondo

Intervista. Giornalista e scrittore, Fabio Isman lo scorso 26 aprile per Le Primavere di Como ha raccontato le città ideali, più o meno note, e come queste siano da sempre espressione dello spirito del tempo in cui sono state concepite. L’incontro andrà in onda su Bergamo TV domenica 26 giugno alle 15

Lettura 7 min.
Fabio Isman (Butti)

La tradizione del concetto di «città ideale» è lunga quanto la capacità dell’uomo di riflettere su sé stesso in relazione a uno spazio e alla vita in una comunità di simili. In virtù di questo, la «città ideale» non può essere certo un modello unico e immutabile ma qualcosa che si adatta alle contingenze culturali, economiche, politiche del contesto in cui viene concepita. E di quel contesto si fa in qualche modo emblema, sia che resti un progetto ideale – «che esiste soltanto nello spirito, nel pensiero» secondo l’enciclopedia Treccani – sia che trovi un’effettiva (materiale) realizzazione.

Un’idea di vivere comune, un interesse esclusivo, un gruppo di riferimento: si potrebbero dire costanti di ogni progetto urbano che si fregi di questo titolo. Quale idea? Quale interesse? Ideale per chi? Sono le domande che, di conseguenza, sorgono spontanee. E le cui risposte contribuiscono a raccontare scorci d’Italia attraverso il farsi e il disfarsi di alcune delle sue utopie – o distopie talvolta, a seconda della sensibilità – politiche e architettoniche. “Visioni del mondo” le cui tracce resistono ancora, così come ha raccontato Fabio Isman, già autore del libro «Andare per le città ideali» edito da Il Mulino nel 2016.

L’intervista

MR: Isman, qual è la tradizione del concetto di città ideale?

FI: La città ideale è un’aspirazione antichissima, forse la più antica è la torre di Babele: facciamoci una città, parliamo la lingua. L’altissimo però non sarà d’accordo, e allora la torre cade, si parlano lingue diverse, di ideale non c’è più nulla. Dopodiché abbiamo città ideali che sono state pensate, pianificate, costruite già nell’antichità. All’epoca dei Trattati si sono industriati più o meno tutti i più grandi teorici dell’architettura del Rinascimento. Già all’epoca le case dei signori erano separate da quelle dei poveracci, gli uni in alto e gli altri in basso. Ci sono esercizi grandiosi, come Sforzinda – una città pensata per gli Sforza da Filarete – che era un’isola di trecento chilometri di diametro dove tutto era già progettato, costruito, indicato. C’era perfino una casa del vizio e della virtù – penso più al vizio che alla virtù – che era di dieci piani. Nel Cinquecento Papa Sisto V voleva rendere abitabile il Colosseo, per togliergli l’aura di simbolo pagano evidentemente: faceva trentasei filande e ciascuna aveva un mini appartamento con salone e due camere. C’è poi «La città di Dio» di Sant’Agostino, «La Città del sole» di Tommaso Campanella, c’è Platone che parla di Callipolispolis, “città”, e kalos, “bello”. Poi arriviamo alle tre straordinarie tavole di città ideali di cui non conosciamo l’autore, stanno una a Urbino, una a Baltimora e l’altra a Berlino.

MR: Nel suo libro ne racconta una quindicina: Aquileia, Pienza, Sabbioneta, Palmanova tra le altre.

FI: Tutte esistenti. Le prime sono colonie greche e romane. Ho scelto Aquileia, la prima colonia romana a nord del Po del 186 avanti Cristo, lì i romani distribuiscono terre come mai prima. Mosaici magnifici. Aquileia ha avuto una vita anche successiva alla fondazione, era la seconda città dell’impero quando Milano era capitale, e ha avuto una storia successiva: la sua basilica è stato il posto dove Maria Bergamas ha identificato il milite ignoto nel 1921. Pienza, invece, per Boccaccio si chiamava ancora «Corsignan de’ ladri», non certo un luogo commendevole, ma era la città di nascita di papa Pio II che ne cambia tutta la parte centrale – quella non centrale è rimasta medievale – e aggiunge una curiosissima scomunica papale per chi tocchi la Chiesa. Ci sono posti poi quasi sconosciuti, come Acaya nel Salento, una rocca fortificata del 1521.

MR: C’è un filo che lega tutte queste realtà?

FI: Quasi tutte oggi hanno bisogno di manutenzione, chiedono aiuto, anche perché oggi sono sparite tutte le vocazioni. C’erano le città ideali per la guerra: non c’è più la guerra. Le città ideali dei signori – penso a Sabbioneta: non ci sono più i signori. Le città ideali della propulsione, Crespi d’Adda o Rosignano Solvay: la propulsione è andata in crisi. Le città di fondazione e per le bonifiche, Arborea e Latina: le bonifiche non ci sono più. La costante è che sono tutti luoghi che chiedono aiuto.

MR: C’è altro?

FI: Sono tutti luoghi che godevano di leggi particolari, spesso illuminate: penso a San Leucio con il suo codice di leggi avanzatissimo. Chi lavorava a Rosignano Solvay ha avuto per molti anni il miglior stipendio di tutta la Toscana. C’erano condizioni migliori. Poi si arriva a una follia assoluta come la Scarzuola, che è il sogno del grandissimo architetto Tomaso Buzzi, personaggio straordinario: nel 1956 ha comprato un convento francescano e ha cominciato a costruire la sua città ideale – senza finire, ancora oggi se ne occupa il nipote: una città fatta per pensare, e non per vivere. Ci sono anche città del pensiero da considerare, oltre quelle della vita.

MR: Sembra che le città ideali siano sempre conchiuse, esclusive: per pochi. È così?

FI: Sono città chiuse sicuramente, una volta erano chiuse da mura, successivamente sono state chiuse perché erano spazio di lavoro – come Crespi d’Adda – e chi non ci lavorava non ci andava di certo. Sono tutte isole evidentemente, isole architettoniche pianificate in una certa maniera, su questo non c’è dubbio.

MR: A che tipo di ideale dovrebbe protendere, oggi, una «città ideale» a misura di uomo e di ambiente, che sia aperta e non più emblema di un modello delimitato ed esclusivo?

FI: Oggi immaginare una «città ideale» è molto difficile, non ci sono le condizioni. Un architetto di origine italiana ha pensato per decenni alla sua città ideale in California. È un borgo assolutamente unico e singolare che non ha storia. Da noi oggi non si potrebbe, non ha senso immaginare una fondazione di questo tipo. Ci sono dei luoghi dove si può pensare di fare circolazioni separate, per chi va a piedi e per chi con i mezzi, l’aumentare delle piste ciclabili corrisponde in parte a un’etica di vita, un modo di vivere diverso. Gli esempi di città ideali degni di nota arrivano soprattutto dall’antichità: direi sia tutto tramontato con le città di fondazione, che sono state le ultime pensate e costruite apposta. Probabilmente il valore fondiario impedirebbe di fare una città ideale, perché da un certo spazio devi ricavare un certo valore. Le città operaie avevano dieci tipi di casa a seconda della gerarchia, oggi non è più ripetibile.

L’incontro

Le Primavere 2022 ieri hanno ripreso un discorso che era stato interrotto a causa della pandemia. Un discorso caro ai comaschi se è vero che entrambi gli appuntamenti di ieri sono stati gremitissimi di pubblico.

Il grazie da Bergamo

A salutare questi spettatori e, idealmente, tutta Como il presidente del Gruppo bergamasco Sesaab, editore de La Provincia, Massimo Cincera. «Ringrazio il consiglio del nostro giornale perché Le Primavere sono sempre una nostra priorità. Quest’anno il tema è molto importante e, per questo, ringrazio la curatrice Daniela Taiocchi. Volevamo un tema per Como e ci sembrava una bella scommessa parlare di città, città come le nostre, Bergamo come Como, che devono diventare sempre più attrattive per i nostri figli, perché altrimenti se ne andranno. Infine, volevo ricordare la data del 2 maggio 2020, quando è finito il primo lockdown. Con L’Eco di Bergamo abbiamo regalato 100mila bandiere che abbiamo donato alle famiglie bergamasche, così duramente colpite. Vi ringraziamo tantissimo, non lo dimenticheremo mai».

Il notaio Massimo Caspani, presidente de La Provincia, non ha mezze misure: «Como è tutto fuorché una Smart city, ma quando scavi trovi almeno la generosità». «Sapete tutti che siamo in campagna elettorale – ha precisato il direttore Diego Minonzio – e cosa poteva fare un giornale che ha appena compiuto 130 anni? Creare una manifestazione come questa che oltre a essere un regalo per la città vuole anche essere uno spunto per chi aspira alla poltrona di primo cittadino. Un progetto lungo, per programmare il lavoro per i prossimi 20, 30 anni. Pochi anni fa con una scelta scellerata abbiamo perso il campus universitario, e così abbiamo poi perso il Politecnico. Questa è una ferita non più rimediabile, ma deve fare riflettere: bisogna ragionare guardando molto avanti». Daniela Taiocchi ha ringraziato «tutti i partner che hanno permesso la realizzazione di questa edizione e anche quei ragazzi che caratterizzeranno questa edizione con le loro telecamere e le loro domande. Sono giovani del liceo Volta di Como, di alcune scuole bergamasche e di altre città».

Anche se il lockdown del 2020 è, ormai, un ricordo del passato, è certo che la pandemia ha, per lungo tempo, impedito a molti di viaggiare se non per lavoro. Per tutti è stata, quindi, anche una bella boccata d’ossigeno l’incontro di ieri sera in Sala Bianca con Fabio Isman, giornalista culturale, esperto d’arte che sa scovare ovunque in Italia, anche al di fuori degli itinerari più consueti. Ha scritto numerosi libri sul tema: quello che maggiormente si riallaccia al racconto fatto al direttore de La Provincia Minonzio in questo appuntamento del festival Le Primavere è, indubbiamente, «Andare per le città ideali», che ha ispirato il titolo dell’evento salutato da un pubblico numeroso e attento a questo «Invito al viaggio nell’utopia». «La più antica – racconta – si trova nella Bibbia: la torre di Babele, una città ideale che però non piace al Signore. L’ultima è la Scarzuola, in provincia di Terni. Sogno folle di uno dei più grandi architetti italiani e di cui non si sapeva niente».

Dal passato all’attualità

E passano in rassegna il trattato di Filarete, il creatore della torre del Castello Sforzesco, che ipotizza l’isola di Sforzinda, dove prevede tutto, «tutto normato alla virgola, ordinato e progettato». Ed è anche una città nella città perché nasconde un libro d’oro che parla di Plusiapolis, che deve essere modello di Sforzinda. Tra i visionari non manca Leonardo, con uno schizzo di un nuovo quartiere, tondo, verso Porta Romana, sempre a Milano. A Roma, Papa Sisto V vuole trasformare il Colosseo in una filanda con 36 miniappartamenti. E ancora nell’antichità, nella Grecia, nell’Egitto dei faraoni, nelle colonie romane, «l’aspirazione verso la città ideale coinvolge Platone, Sant’Agostino, Campanella e parecchi altri autori. Assai feconda è l’età dei primi trattati di architettura, dove si trovano le prime immagini» e si arriva all’isola di Utopia di Tommaso Moro. Secondo Oscar Wilde «un mappamondo che non comprende Utopia non merita nemmeno di essere guardato». «A un certo punto si arriva alle famose tre città ideali: Urbino, Berlino e Baltimora, in tre immagini ideali e continuamente riprodotte».

Dopo le teorie il viaggio. Si parte da Aquileia, seconda colonia romana sopra il Po. Poi Pienza, piena di segreti, il palazzo di Pio II e la cattedrale, rimasta com’era perché sotto minaccia di scomunica. Acaya «non la conosce quasi nessuno, è una fortezza del Quattrocento nel Salento, sorta per timore delle invasioni turche. E purtroppo è finita proprio quando sono arrivati davvero i turchi. Infine Palmanova, anzi, Palma, come si chiamava prima che arrivasse Napoleone, esagonale con una piazza esagonale in centro». Fino alle città contemporanee, visitabili ancora oggi. Un percorso affascinante che suggella la prima serata.

(Alessio Brunialti, da La Provincia di Como, 27 aprile 2022)

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