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#bergamaschidalmondo: Buck Curran, Bergamo come casa base per suonare ovunque

Racconto. Con la chitarra sempre pronta per (ri)partire in tour, il musicista americano racconta la sua città d’adozione. Tra improvvisazioni, collaborazioni inaspettate e performance acustiche nel bosco

Lettura 4 min.
Buck Curran

Un posto vivibile, perfetto per essere girato a piedi, con una bella scena musicale e paesaggi naturali splendidi. Da cinque anni questa è Bergamo per Buck Curran, ma è soprattutto casa. Musicista, produttore e fondatore dell’etichetta indipendente Obsolete Recordings, il songwriter americano si è stabilito qui per amore, dopo aver vissuto tra Stati Uniti, Irlanda e Svizzera ed esser diventato uno dei riferimenti della scena psych-folk internazionale sia come solista, sia come metà del duo Arborea (chiuso qualche anno). Da ottobre partirà il suo tour europeo, che toccherà anche Dublino, Londra, Bruxelles e Berna, dove presenterà l’ultimo lavoro “No love is sorrow”.

La prima volta che sono arrivato qui è stato di sera, ero con quella che sarebbe poi diventata mia moglie, ho visto Bergamo dall’alto delle mura, prima di arrivare al Maite dove mi aveva organizzato un concerto. Lei l’avevo incontrata a Milano la sera prima a un altro show in cui suonavo, ma in realtà ho scoperto solo dopo che già conoscevo la sua voce: un amico mi aveva mostrato un video di Adele H, era lei, ma non l’avevo collegato subito. Così poi le ho chiesto di improvvisare su un paio di mie canzoni: è andata così bene che è rimasta sul palco con me tutta la sera”.

Era il 2015 e nel giro di poco Buck Curran lasciò la Svizzera dove si era stabilito e si trasferì a Bergamo, “in cui ho parlato con tantissime persone che hanno vissuto qui tutta la loro vita, mentre io invece non ho fatto altro che muovermi tutto il tempo: mia sorella è nata a Memphis, io in Florida. Abbiamo vissuto a San Diego, a Detroit e poi ci siamo spostati in Ohio dove ho fatto le superiori, poi mi sono arruolato nella marina per avere soldi per il college e ho viaggiato per mesi. Avevamo una band a bordo e mentre viaggiavamo sull’Atlantico suonavamo molto. Il mio obiettivo era frequentare una scuola di musica, ma amavo il blues e quello lo devi sentire addosso più che studiare, così la mia formazione è nata nei blues club della Virginia, dove ho lavorato anche in un negozio di dischi per un po’ di tempo”.

Buck è una di quelle persone per cui la parola musica è sinonimo di vita: “L’amore per la musica è nato in casa, complice la collezione di dischi dei miei genitori, che ascoltavano di tutto, dalla classica, all’r’n’b, al rock’n’roll e io amavo cantare sulla musica che sentivo, sono entrato in un coro alle elementari, poi la mia voce è cambiata e anche il mio focus si è spostato sulla chitarra. Mio padre prendeva lezioni a casa e la musica era ovunque, ma c’è stato un momento che mi ha folgorato: stavamo guardando un documentario su Jimi Hendrix a casa e lui stava rifacendo ‘Johnny B. Goode’ di Chuck Berry. Avevamo la versione originale in vinile, ma quella era un altro mondo. Volevo farlo anche io. Avrò avuto undici o dodici anni quando ho cominciato con la chitarra classica che avevamo a casa e un piccolo amplificatore. Da lì non ho mai più smesso”.

Anche la passione per il canto però è rimasta sempre con lui. “Se penso alla tecnica che ho sviluppato, vedo due orientamenti principali: mi piace l’idea di usare la chitarra come fosse una voce, come faceva BB King che la suonava facendola cantare, poi c’è la via più tradizionale e vicina alla forma canzone lavora sul dialogo tra la chitarra e il cantato, in questo secondo caso mi trovo bene come solista, ma anche molto con le collaborazioni. A questo proposito a Bergamo ho incontrato uno dei miei più importanti partner artistici, il tastierista Jodi Pedrali: abbiamo suonato fuori dall’Italia insieme e creato improvvisazioni molto interessanti, io alla chitarra elettrica e lui al Fender Rhodes. Non l’avrei mai conosciuto se non fossi arrivato qui”.

Giunto in città Buck Curran ha assorbito gli stimoli della realtà musicale bergamasca: “A Bergamo c’è una scena molto vivace, anche se io non suono molto spesso qui, se non alcuni concerti all’anno, ma conosco musicisti locali molto validi che fanno tante date”. Unico neo secondo Curran è la tolleranza nei confronti della musica dal vivo, che ha rilevato essere minore rispetto ad altri paesi: “ci sono alcuni spazi che a causa della prossimità con le abitazioni hanno restrizioni sugli orari in cui far musica e sui volumi. Non è un problema se fai musica acustica, ma non appena si aggiungono batteria e chitarra elettrica allora le cose si complicano”.

Quest’estate poi per la musica dal vivo, come per gli eventi e la cultura è stata molto complessa, ma si sono create comunque delle occasioni per seguire qualche live: “ho tre concerti fantastici, uno all’Ink Club e uno a Cascina Yuva di Seriate, in entrambi suonava Jonathan Locatelli. Ho visto anche Claudia Buzzetti in un house concert a Gaverina”.

Anche Curran stesso ha suonato quest’estate, in un contesto davvero insolito, nel bosco a Sotto il Monte alla fine di luglio. “Mi sono esibito vicino a un sentiero accanto a un’enorme scultura in pietra, ho fatto tre mini concerti per tre differenti gruppi di persone: i primi due al tramonto e l’ultimo al chiaro di luna. È stato splendido e interessante suonare nella natura, non c’era alcuna elettricità e i concerti sono stati pure performance acustiche”.

Un secondo concerto per il musicista è stato ieri (sabato 5 settembre, ndr) al Pacì Paciana, prima di ripartire per un tour europeo in cui presenterà il suo ultimo lavoro “No love is sorrow”. “Trovo stimolante stare in un posto, ma continuare a muovermi: ho conosciuto molti musicisti locali, magari anche molto popolari in città, ma che non hanno mai suonato altrove, accade qui come in Maine. Può essere una scelta, ma a volte è anche una condizione, è molto difficile essere scoperti oggi, anche se si ha talento, c’è così tanta musica. Detto ciò oggi è comunque meglio di ieri, anni fa dovevi esser fortunato ad avere un contratto con una major o un’etichetta indipendente, ora invece puoi farti una carriera sostenibile anche da solo. Magari non sarai mai Beyoncé, però si può fare, richiede un sacco di lavoro, ma è una grande soddisfazione. Puoi collaborare con gente di tutto il mondo facilmente e questo ti permette di crescere e imparare e maturare artisticamente”.

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