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#bestof2023: I 10 dischi che hanno conquistato mio figlio di quattro mesi

Articolo. Dischi per addormentarlo, dischi per calmarlo, dischi semplicemente da ascoltare insieme. Perché non è mai troppo presto per condividere l’amore per la musica – che è cultura e intuizione pura insieme – con il proprio bambino

Lettura 6 min.

Quattro mesi fa, il 30 aprile, è ufficialmente iniziata l’avventura più grande, impegnativa ed entusiasmante della mia vita: sono diventato il papà di Elia, un terremoto che ha da subito sconvolto e riempito di meraviglia la mia esistenza e quella di mia moglie. In queste prime settimane siamo stati equamente divisi tra la volontà di non far mancare nulla al piccolo e, allo stesso tempo, l’esigenza di non perdere noi stessi all’interno della marea di cambiamenti che ci ha travolto.

La musica, soprattutto, ha sempre permeato le nostre vite: ci siamo parlati la prima volta grazie alla musica; attraverso di lei abbiamo imparato a conoscerci e amarci, e con dischi e canzoni abbiamo scandito ogni nostro momento importante. Vivendo in una casa sommersa di dischi e strumenti musicali, fin dai primissimi mesi della gravidanza il nostro piccolo è cresciuto immerso in una musica costante: dagli innumerevoli dischi riprodotti a qualsiasi ora del giorno e della notte al violino suonato dalla sua mamma e alle ninnenanne strimpellate alla chitarra da me, oltre ai due zii pianisti, i due nonni batteristi, una nonna bassista e una chitarrista. Insomma, abbiamo cercato di non fargli mai mancare un contrappunto musicale che potesse da subito accoglierlo in questo mondo, arricchendolo.

Non si tratta solamente e banalmente di inseguire fascinazioni new-age o nostre ambizioni over-performative: il punto è piuttosto trasmettergli una passione sin dal primissimo momento; non perché debba necessariamente appassionarsi di musica a sua volta, ma perché possa, con il tempo, capire cosa significa amare qualcosa al contempo esterno e interno a sé stesso; qualcosa che è contemporaneamente cultura (intesa nel senso di coltivazione che richiede tempo, cura e attenzione) e intuizione pura.

Sarà per questa attenzione durante la gestazione, oppure per pura e semplice nostra fortuna: sta di fatto che una volta venuto al mondo il nostro Elia ha da subito mostrato a sua volta un amore tutto suo per la musica. Nel modo in cui può mostrarlo un bimbo di pochi giorni allora e di pochi mesi ora, ovvio. Eppure è ormai un rituale consolidato: per prepararci alla nanna, o anche solo per ritagliarci un momento di rilassamento e attenzione sensoriale, ho perso ormai il conto di quanti dischi abbiamo già sentito insieme, cullandolo a tempo, in questi suoi primi mesi di vita.

Elia mi ha insegnato che, a modo suo, anche un bimbo di poche settimane può avere gusti e preferenze: ho provato con «Homework», «Discovery», «Human After All», «Random Access Memory», ma nulla. Elia sembra incapace di addormentarsi con un qualsiasi disco dei Daft Punk, a qualsiasi ora e in qualsiasi modo. Pare invece che la sola voce di Robert Smith basti per rilassarlo e indurlo in un placido torpore. È capitato che si addormentasse con «Ride the Lightning» dei Metallica, e che si mettesse a piangere ogni volta che partiva «In Every Dream Home (A Nightmare)» di Joe Jackson.

Quella che segue è una sorta di playlist. Assolutamente soggettiva, nel senso che non si tratta di titoli dalla pretesa di costituire un canone di ascolti indicati per neonati. È semmai una raccolta di dischi tra i più disparati per anno e genere con cui il mio Elia si sia addormentato più e più volte, cullato da un papà forse un po’ matto, ma sicuramente appassionato. Spero che questa cosa, in qualche modo, gli possa arrivare e rimanere.

Elliott Smith, «Roman Candle», 1994

Vuoi perché a settembre 2022 ho presentato l’omonimo e bellissimo graphic novel di Holdenaccio all’Ink Club di Bergamo e quindi in quel periodo l’ho ascoltato tantissimo; fatto sta che Elliott Smith è stato il mio santino nei giorni successivi a quando io e mia moglie abbiamo scoperto che di lì a nove mesi sarebbe arrivato Elia.

«Roman Candle» è il suo disco d’esordio, un capolavoro di cantautorato acustico scheletrico e fragilissimo, che anche Elia ha mostrato più e più volte di apprezzare. Come il suo papà quando cominciava a immaginarsi come sarebbe stato averlo qui.

Mark Kozalek & Jimmy Lavalle, «Perils from the Sea», 2013

Elia ha ascoltato per la prima volta questo disco che ancora era nella pancia della mamma: lo misi su mentre io e mia sorella Alice dipingevamo insieme la sua futura cameretta. La raffinata elettronica di Jimmy Lav alle (recuperatevi il suo progetto The Album Leaf) incontra la voce senza tempo del mitico Mark Kozalek (Sun Kil Moon) firmando un piccolo scrigno di perle senza tempo.

Per settimane il pezzo di apertura «What Happened to My Brother» è stato capace di calmare Elia in qualsiasi momento di difficoltà.

The Durutti Column, «LC», 1981

Il miglior chitarrista del mondo, secondo John Frusciante. Parliamo di Vini Reilly, un personaggio tanto meraviglioso quanto sfuggente e inclassificabile, capace di uscire dal punk per abbracciare e amare il jazz, senza che tra le due cose fosse percepibile la benché minima frattura.

Dalla bellissima melodia del capolavoro «Sketch for Summer» a tutto il bellissimo «LC»: quanti pisolini si è fatto Elia cullato da quella chitarra unica.

Camel Power Club, «Sputnik II», 2019

Il disco che mi ha accompagnato durante ogni viaggio in auto per raggiungere l’ospedale di Bergamo, nei giorni subito dopo il parto. Progetto del polistrumentista francese Leonard Bremond, ci troviamo a metà strada tra un’indietronica casereccia e un house-pop pettinato ma croccante.

Le melodie spesso infantili poggiano su produzioni levigate ma ricche di Groove: ballabile, cantabile, spensierato e godibile. Anche Elia sembra pensarla così.

John Frusciante, «The Empyrean», 2009

Ha provato l’autunnale cantautorato di «Curtains», il garage di «inside of Emptiness», il rock di «The Will to Death», il pop di ispirazione beatlesiana di «Shadows Collide With People», l’elettro-acustica di «To Record Only Water for Ten Days», perfino il capolavoro assoluto e drogatello «Niandra La Des», ma niente da fare: il suo disco preferito di Johnny è «The Empyrean», con il suo esoterico prog tra un cosplaying di David Gilmour Before the Beginning»), un omaggio a Tim BuckleySong to the Siren») e addirittura incursioni gospel (la dispersiva e bellissima «Dark/Light»).

Ogni volta Elia si concentra così tanto da addormentarsi entro il terzo pezzo.

The Cure, qualsiasi disco, 1979-2000

Se canta Robert Smith va bene tutto: l’inquietudine punk dell’esordio, i grigi capolavori «Seventeen Seconds» e «Faith», la svolta pop di «The Top», il muro di suono di «Disintegration»; perfino tardi mezzi-capolavori crepuscolari come «Bloodflowers» si sono rivelati irresistibili per conciliare un buon pisolino.

Per «Pornography» però, aspettiamo che sia un pochino più grande.

Peaking Lights, «The Fifth State of Consciousness», 2017

Marito e moglie, lei canta e lui produce: i Peaking Lights sono due adorabili freakettoni che partono dalle assolate spiagge della California da cartolina e le inzuppano in trip psichedelici, mantra dub, pulsazioni dance e stendono su tutto un’aura chill che rende ogni loro disco un’esperienza d’ascolto allegramente lisergica.

Questo disco del 2017 è il loro lavoro più virato su ritmiche alt-disco, e il buon Elia non è ancora riuscito una volta ad arrivare alla fine dell’irresistibile «Everytime I See the Light» con gli occhi ancora aperti.

Alice Merton, «Mint», 2019

Pop di qualità, senza rinunciare a un appeal radiofonico importante: non solo «Lace Out» e il tormentone «No Roots» (ottimi entrambi), ma tanti pezzi ben scritti, arrangiati e prodotti nel disco di esordio di Alice Merton.

La preferita di Elia è l’inno da outsider «Homesick», con ritornello contagioso e coretti fruscianteschi a palate.

Augustus Pablo, «East of the River Nile», 1977

Tra gli ascolti più psichedelici di Elia svetta sicuramente questo capolavoro del mitico Augustus Pablo, guru del dub giamaicano autore di una discografia sterminata e ricchissima (tra le varie cose, la pietra miliare «King Tubby Meets Rockers Uptown» in tandem con un’altra leggenda come King Tubby).

Questo album è un trattato quasi interamente strumentale di misticismo tanto ingenuo quando suggestivo, realizzato con una povertà di mezzi commovente: su tutto spicca la melodica, tastierina a soffio usata spessissimo anche da gruppi più mainstream – Gorillaz su tutti – qui restituita alla sua veste migliore.

The Shadows, «The Sound of the Shadows», 1965

I Red Hot Chili Peppers sembrano essere una passione comune tra me e Elia. Lui in particolare apprezza la loro svolta più pop altezza «By the Way», praticamente l’omaggio di John Frusciante a Beatles, Beach Boys, Byrds eccetera. Scavando nelle radici di quel disco ecco che affiora tutta una pletora di gruppi rock anni Sessanta il cui minimalismo chitarristico Frusciante ha studiato ossessivamente per costruire gli assoli del periodo tra «Californication» e, appunto «By the Way».

Gli Shadows sono uno di questi, e dimentichiamoci della loro super-hit «Apache»: la ciccia è ben altra, come nel caso della soffusa psichedelia di pezzi da svacco in spiaggia come «Brazil». La prima vacanza al mare di Elia, quest’estate, è stata a Lerici: vista sul porto, ulivi accarezzati dal vento e Shadows nell’aria: grandissimi pisolini.

Bonus track #1: Teleman, «Trees Grow High», 2023

Questo degli inglesi Teleman è un altro pezzo che, insieme al disco di Camel Power Club, mi accompagnava nei viaggi per raggiungere mia moglie e Elia in ospedale nei suoi primissimi giorni di vita.

Pop tanto innocuo quanto contagioso: ad averne.

Bonus track #2: Bruce Springsteen, «I Wanna Marry You», 1980

Altrimenti qua sembra che tutta l’educazione musicale di Elia stia passando per le mie mani: invece, con una mamma springsteeniana fino al midollo (ma anche la nonna, la zia e la maggior parte della mia famiglia acquisita), non poteva mancare un’enorme fetta di boss nel suo diario musicale.

«Waitin’ on a Sunny Day» è il pezzo con cui l’abbiamo accolto a casa ed è stata la prima canzone che Elia, a cinque giorni di vita, abbia mai sentito. E poi «I Wanna Marry You»: un incredibile antidoto al pianto che ci ha salvato parecchi viaggi in auto. Quindi, una volta di più, grazie Bruce.

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