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Gli anni d’oro del Motion (a Madone e Zingonia)

Racconto. Quando hai vent’anni tutto ti sembra bellissimo e definitivo. Ma qualcosa è rimasto, soprattutto nello spirito, di un locale che creò una piccola grande mitologia

Lettura 2 min.
Roberta Sammarelli dei Verdena al Motion nel 2004

La nostalgia è una brutta bestia e non è raro trovarsi fra (poco meno che) quarantenni appassionati di musica a parlare del Motion di Zingonia e di Madone. Il Motion è stato fra la fine dei Novanta e i primi anni Zero il posto dove passavano tutti gli artisti italiani più quotati. Poi c’è stato lo Zero Music Club – altro luogo mitologico e ancora più alternativo, che portò a Bergamo gli Okkervil River, i Delgados, Langhorne Slim, giusto per citarne alcuni – ma prima il Motion.

Quando dico che in quel periodo passavano tutti, intendo proprio tutti. A memoria mi ricordo Morgan non ancora dursizzato, Vinicio Capossela, Max Gazzé, gli Afterhours, i Verdena (che dal Motion iniziarono il tour de “Il suicidio del samurai”), i Modena City Ramblers, i Punkreas, la Bandabardò ma anche cose più di culto come i Soerba (appena transitati come alieni a Sanremo) e gli Yuppie Flu. Una sera anche Eugenio Finardi con il tour di “Accadueo”. Personalmente, per questioni di età, ho vissuto soprattutto il Motion del periodo Zingonia: un prefabbricato in zona industriale con degli interni tutti neri, freddi, non esattamente comodi. Ma c’era la musica del momento – almeno se ti trovavi ad essere un “alternativo” in quegli anni, convinto che fosse quella la musica giusta – e poco importava se la birra era annacquata (mentre oggi non avere una birra di alta qualità significa darsi una bella spinta verso il fallimento).

Al Motion ho visto Bugo, quello di “Io mi rompo i coglioni” e “Dal lofai al cisei”, molto meno pettinato di oggi e più intento a mettere su una performance situazionista che un concerto vero e proprio – ricordo questa gag del farsi girare la chitarra intorno al corpo per poi prenderla in faccia. Ma ho visto pure Francesco Renga con un pubblico al novanta per cento di ragazze vocianti, chiedendomi perché ci fossi andato al termine di ogni canzone accolta da urla collettive dai decibel inarrivabili.

Non dimentico neanche un epico concerto di Vinicio Capossela, alcolico quanto basta e travolgente (chi lo conosceva allora Tom Waits?), e neppure Morgan, sfilacciato come al solito ma con una super band che teneva in piedi la baracca (malumori e nasi arricciati quando iniziò a suonare e spiegare Bach). Forse chi li ha conosciuti negli ultimi anni non sa cosa erano i Tiromancino de “La descrizione di un attimo” e “In continuo movimento”, quindi con e senza Riccardo Sinigallia: una band cantautorale e trip-hop con tutte le carte in regola, capace di un concerto bellissimo, immersivo e ipnotico, una delle poche cose italiane in quel momento che non sapevano di musica italiana.

Ricordo che da Bagnatica al Motion andavo in macchina, una Panda rossa senza troppe pretese, evitando la superstrada (non sono mai stato un grande guidatore, poi ho imparato) e facendo quindi Bagnatica-Bergamo e Bergamo-Zingonia, più di quaranta minuti di itinerario trepidante e carico di curiosità per il nome in calendario quel sabato sera (o domenica mattina? I concerti cominciavano tardissimo e a volte tiravano fino alle 3, ma questo non è cambiato).

Era un tempo senza Spotify e Youtube, in cui le persone compravano i dischi e andavano ai concerti, a Bergamo iniziava la magnifica stagione dei festival estivi (Filagosto, Rockisland etc.). Frequentavo l’Università a Milano e la Fnac di via Torino, che aveva un intero comparto dedicato all’indie italico, era una tappa obbligatoria, tanti soldi spesi e dischi acquistati alla cieca. C’era MTV che influenzava i gusti degli ascoltatori, tuttavia la musica italiana passava soprattutto da TMC2 e in particolare da una trasmissione chiamata Arrivano i nostri. Veniva fatto tutto con più improvvisazione ma anche più romanticismo, in fondo non sapevamo cosa voleva dire essere cinici.

Forse ciò che sto raccontando è solo uno scherzo della memoria, la mitologia dell’avere vent’anni quando ormai sono passati quasi vent’anni. O semplicemente tutto era meno liquido, precario, oppure entrambe le cose, chissà. I tempi sono cambiati, a metà anni Zero il Motion iniziò a fare afro e reggae, e noi ci spostammo altrove (il Live Club, poi il castello di Solza, l’Edoné e via dicendo). Rimpiangerli non serve a nulla, ma una cosa è certa: senza il Motion, senza quella passione e quel movimento di musica proveniente da fuori, oggi non ci sarebbe a Bergamo una scena musicale fervida che non si arrende neanche in queste settimane e si reinventa con quello spirito del fare tipicamente bergamasco. Un’onda sotterranea di vitalità e passione, che dal Motion arriva al presente.

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