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La caccia uccide due volte. E una mostra al Museo Caffi lo dimostra

Articolo. Fino al 15 ottobre al Museo di Scienze Naturali di Bergamo, in piazza Cittadella, sarà possibile visitare l’esposizione «Il veleno dopo lo sparo», un percorso di immagini, parole e dati per illustrare gli effetti tossici del piombo utilizzato nella caccia. Un progetto che dimostra come i musei possono avere un ruolo attivo nel promuovere conoscenza

Lettura 4 min.
Avvoltoio monaco (Foto di Massimo-Piacentino)

«15 gennaio 2015: Lasa, località Tanaser Berg (BZ). In un gelido pomeriggio invernale una signora rincasando dopo un’escursione scorge un grosso ammasso di penne ripiegato su stesso, quasi del tutto incapace di muoversi e di reagire. La donna e l’aquila reale, a un metro di distanza, si guardano negli occhi.
16 gennaio 2015
: la donna riferisce al Corpo Forestale che il mattino seguente giunge sul luogo e accerta il decesso dell’aquila sopraggiunto nella notte.
12 febbraio 2015
: la radiografia e la necropsia effettuate dall’Istituto Zooprofilattico di Bolzano mettono in risalto la presenza di 12 pallini di caccia nello stomaco dell’aquila, insieme a pelo di lepre. Le analisi dei tessuti rilevano concentrazioni di piombo 9 volte sopra la soglia di letalità nel rene e valori di intossicazione cronica nelle ossa.
Troppo piombo, troppo tardi!»

Dalla mostra «Il Veleno dopo lo sparo»

Bergamo e Brescia sono Capitali della Cultura, anche venatoria, accomunate come sono da una lunga tradizione in questo campo (Brescia poi, com’è noto, è anche uno dei “distretti” più importanti al mondo per la produzione di armi leggere). E questo è il primo dato. Il secondo, fornitoci dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), è scientifico: non esiste un livello di esposizione al piombo noto per essere privo di effetti nocivi.

Il terzo dato è statistico: nell’Unione Europea, ogni anno vengono disperse nell’ambiente circa 14mila tonnellate di piombo attraverso l’attività di caccia; ogni anno, secondo l’European Chemical Agency (ECHA) in Europa almeno 1.3 milioni di uccelli muoiono per intossicazione e ogni anno, nella sola Unione Europea, almeno 1 milione di uccelli acquatici, la maggior parte dei quali anatre, oche e cigni, muore a causa del piombo disperso nell’ambiente. Infine, i dati raccolti da ERSAF-Direzione Parco Nazionale dello Stelvio e dalla Provincia di Sondrio dimostrano che il 60% dei grandi rapaci trovati morti in Italia negli ultimi 15 anni presentano valori di piombo indicativi di intossicazione.

Dunque è un fatto non contestabile: la caccia uccide due volte. La prima per effetto diretto, la seconda per effetto indiretto, ossia per avvelenamento da piombo. Dalle anatre che finiscono per ingerire i pallini di piombo sparati dai cacciatori insieme al nutrimento presente sul fondo di stagni e laghetti, ai rapaci che si intossicano ingerendo schegge di proiettili o pallini insieme alla carne delle prede colpite e non recuperate dai cacciatori o assieme ai visceri degli ungulati che si usa abbandonare sul luogo di caccia.

Un problema che riguarda soltanto il mondo animale? Per nulla, sia perché il piombo finisce sul suolo e i suoi frammenti restano per decenni nello strato superficiale del terreno prima di alterarsi – l’ennesimo “regalo” indesiderato per le generazioni future – sia perché spesso la cacciagione, con le sue carni contaminate, è destinata alle nostre tavole e così anche noi ingeriamo piombo, con tutti i rischi che questo comporta per la nostra salute (l’OMS parla chiaro: non c’è una quantità di piombo, neanche minima, che non abbia effetti nocivi).

La mostra

«Il Veleno dopo lo sparo», allestita fino al 15 ottobre al Museo di Scienze Naturali E. Caffi in Piazza Cittadella, non è una mostra qualunque all’interno della programmazione della Capitale della Cultura. È la dimostrazione che i musei, se ne hanno la volontà, possono avere concretamente un ruolo attivo e cruciale nel promuovere conoscenza, consapevolezza e azioni. Un percorso di immagini, parole e dati scientifici illustra così gli effetti tossici del piombo utilizzato nella caccia, rende conto delle principali ricerche effettuate in Italia e in Europa, racconta gli effetti che il metallo provoca su alcune specie, come il gipeto, l’aquila reale, il grifone e altre ancora.

Una selezione di reperti documentali raccolti in natura e filmati mostrano, infine, in maniera inequivocabile gli effetti dell’intossicazione. «La mostra mette in risalto le risultanze di studi ambientali che testimoniano l’effetto deleterio dell’uso di piombo a scopi venatori e come questa pratica comporti, seppur inconsapevolmente, conseguenze drammatiche per le specie di rapaci più rare e minacciate anche di estinzione (come gli avvoltoi) per le quali sono in atto progetti internazionali di tutela – spiega il direttore del Museo Marco Valle È una mostra contro la caccia? No. Il tema è quello del danno da piombo, le soluzioni tecniche per abolire questo metallo così nocivo all’ambiente ci sono, alcuni Stati si sono già adeguati e speriamo che questo avvenga al più presto anche in Italia».

«L’obiettivo – aggiunge il co-curatore dell’esposizione Paolo Pantini è portare a conoscenza dei non addetti ai lavori questo effetto collaterale legato all’uso del piombo nelle munizioni da caccia. Le ricerche e gli studi lo hanno ormai chiaramente stabilito e la soluzione di per sé è molto semplice e a portata di mano: sostituire le munizioni al piombo con munizioni atossiche ormai ampiamente in commercio. La mostra, poi, affronta il tema solo per quanto riguarda gli uccelli selvatici, ma l’introduzione nell’ambiente di migliaia di tonnellate di piombo ci induce a pensare e le ricerche anche in questo caso lo confermano, che il tema non sia limitato al solo mondo ornitologico».

Manca una legge specifica

Parliamo di una nuova, sconosciuta patologia che ci coglie impreparati? Per nulla, visto che il saturnismo, ossia l’avvelenamento da piombo, è noto e studiato da secoli ed è stato fatale, oltre che per milioni di animali, per schiere di minatori, imbianchini, tipografi e pittori, che erano costantemente esposti a questo metallo. Eppure, i conti con questo problema non li abbiamo ancora fatti. Forse perché ad oggi trovare una soluzione è troppo complicato. Nemmeno per sogno, visto che la soluzione c’è già: utilizzare munizioni senza piombo, costituite da materiali diversi come rame, acciaio, tungsteno, stagno e zinco. Oltretutto, i test sul campo effettuati nei Paesi dove sono già state adottate restrizioni mostrano che le munizioni senza piombo sono altamente efficaci e dunque non impongono alcuna limitazione alla caccia.

In Danimarca, ad esempio, l’uso di cartucce contenenti pallini di piombo è vietato dal 1996. Nello svizzero Canton Grigioni, nella stagione venatoria 2021-22 sono stati abbattuti circa 14mila – 17mila ungulati con palle senza piombo per la tutela dell’aquila reale e del gipeto. Qualche buon esempio non manca nemmeno in Italia, come il divieto per la caccia con il piombo introdotto nel 2007 per la caccia nelle zone umide all’interno della Rete Natura 2000, mentre in alcune realtà – quali la Riserva Naturale Statale Tenuta di Castelporziano (RM), il Parco Naturale Regionale Naturale Gola della Rossa e di Frasassi (AN), il Parco Naturale La Mandria (TO) e il Parco Nazionale dello Stelvio (SO e BZ) – vengono utilizzate da anni munizioni senza piombo per le attività di controllo numerico degli ungulati selvatici.

Ma se la soluzione è già a portata di mano, perché proprio in una “terra di cacciatori” come la Lombardia non si parla ancora di divieto alla caccia con il piombo? Si può continuare a tergiversare solo in nome della proverbiale resistenza al cambiamento del mondo venatorio, oltre che di quello politico? Pare proprio che l’unica via di uscita sia ancora una volta informare e sensibilizzare l’opinione pubblica, cosa che la mostra allestita al Museo di Scienze riesce a fare in modo impeccabile. Quindi non perdiamocela. E poi, attiviamoci.

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