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«Gli anni» personali e delle immense compagnie al «Festival Danza Estate»

Articolo. La 35esima edizione di «FDE» prosegue fino al 16 giugno con un fitto cartellone di appuntamenti, tra grandi nomi della danza contemporanea italiana e straniera e nuovi talenti, prime nazionali e debutti, linguaggi innovativi e sperimentazione. Il 30 maggio, alle 21 presso il Cineteatro Colognola, andrà in scena «Gli anni», racconto biografico generazionale scritto e diretto da Marco D’Agostin con l’interpretazione di Marta Ciappina

Lettura 3 min.
(© Michelle Davis)

«La sua vita potrebbe essere raffigurata da due assi perpendicolari, su quello orizzontale tutto ciò che le è accaduto, ha visto, ascoltato in ogni istante, sul verticale soltanto qualche immagine, a sprofondare nella notte». (Gli anni, A. Ernaux)

«Cosa vuoi? Il tempo passa per tutti lo sai / Nessuno indietro lo riporterà, neppure noi». (Gli anni, 883)

Iniziamo così, con due citazioni apparentemente lontanissime. Diciamo apparentemente perché un nesso c’è e la performance di cui stiamo parlando ne fa il punto di forza. Cosa hanno in comune un romanzo Premio Strega Europeo 2016 della scrittrice Premio Nobel Annie Ernaux e una canzone pop degli 883, uscita nel 1996? Non solo il titolo. Nel suo romanzo Ernaux snocciola un’autobiografia interpersonale, che intreccia la narrazione privata familiare a quella storico-collettiva per riportare spaccati generazionali. E cosa meglio del pop può raccontare un periodo in modo schietto e spontaneo? I versi degli 883, negli anni ’90, erano specchio dei sentimenti di un’intera generazione che faceva i conti con la transizione verso l’età adulta. Da un lato, quindi, il soggetto è immerso nella storia, negli avvenimenti familiari, nella politica di un Paese; dall’altro, l’individuo – walkmen alla mano e cuffie sulle orecchie – segue uno schema narrativo vitale dettato dalle emozioni. In entrambi i casi il tempo lascia traccia di sé.

Il progetto

«Il libro di Ernaux è stato una delle tante fonti con cui Marco D’Agostin ha “flirtato”. Il titolo si rifà a quell’opera, ma anche alla famosa canzone degli 883. Due cassetti drammaturgici completamente diversi: la letteratura contemporanea e il pop. La genesi di questo lavoro risale a molti anni fa. Nell’invito da parte mia nei confronti di Marco a scrivere uno spettacolo per me. Invito inizialmente declinato, che ha però portato a una gestazione graduale dovuta all’estrema onestà intellettuale di D’Agostin». Così la danzatrice Marta Ciappina racconta i primi passi del progetto, svelando la sintonia artistica che la lega all’autore.

Marco D’Agostin è artista danzatore e coreografo Premio UBU come Miglior Performer Under 35. I suoi lavori si interrogano sul funzionamento della memoria, dando vita a dispositivi coreografici che, a partire da archivi personali o collettivi, cercano di innescare con il pubblico pratiche di partecipazione e immedesimazione. La coreografia de «Gli anni» si basa sull’articolata e intrecciata storia di un singolo – Marta Ciappina, brillante interprete riconosciuta nel panorama della danza italiana – che invita gli spettatori ad interagire con la propria memoria, attraverso il gesto tecnico e la sensibilità emotiva dirompente.

«Marco è un autore che entra in sala solo a seguito di un’intuizione primigenia sulla quale lavorare – spiega la danzatrice – Abbiamo collaborato in un progetto di gruppo e quasi impercettibilmente abbiamo gettato i semi per questa coreografia. Senza troppo rendercene contro, dico, perché anche quel lavoro precedente aveva uno sguardo autobiografico e così abbiamo iniziato a seminare. È stato un traghettamento naturale, passare dal gruppo al solo, un po’ come se questa su di me fosse una zoomata».

La performance

Il corpo di Marta e gli occhi di chi la guarda intraprendono un viaggio che fa la spola tra il presente – il momento della performance, irripetibile incontro romantico – e il passato di ognuno, in una trama di andate e ritorni che intreccia storie, playlist e ricordi. «Memoria, famiglia, storia personale che si interseca con la collettiva, sono le tematiche che Ernaux approfondisce nel suo romanzo e che noi abbiamo estrapolato come principi di scrittura», spiega Ciappina. Per arrivare alla prospettiva di Marta, la coreografia si è costruita su un piano drammaturgico insolito. Per un lavoro coreografico, infatti, si parte quasi sempre da spazi vuoti, mentre l’interprete mi spiega come in questa occasione abbiano iniziato a lavorare dalle informazioni degli elementi attorno a lei: «La prima tappa è stata dedicata agli oggetti. Siamo partiti da due tipi di ricerche differenti: da un lato materiali famigliari come foto, filmini, diari; dall’altro oggetti che io ho scelto e che avrei voluto avere in scena accanto a me».

Il corpo e la presenza empatica di Marta Ciappina accompagnano i presenti a giocare con la propria memoria. «Questo lavoro, e qui si svela tutta l’intelligenza emotiva di Marco D’Agostin, ha permesso anche a me di sciogliere nodi personali. Marco lavora da sempre sul piano della memoria e per quanto io non fossi mossa dal desiderio di parlare della mia famiglia, ho lasciato che l’argomento emergesse». La scrittura si sviluppa così in una parentesi narrativa di anni. Non un percorso che segue una linea cronologica, ma un continuo viaggio di andata e ritorno, in uno stile che si rifà pienamente al romanzo della Ernaux. «I due principi che da lei abbiamo ereditato sono questa continua spola tra presente e passato e l’intersecazione del piano collettivo con quello personale», specifica l’interprete. «Abbiamo organizzato l’indagine per periodi di vita. “Gli anni” degli 883 è, ad esempio, una canzone che fa parte della mia adolescenza».

La coreografia tenta di ricucire uno strappo, ripercorrendo un episodio passato e rielaborandolo, attraverso avvenimenti della storia collettiva italiana. Come racconta Ciappina: «L’omicidio di mio padre non è il punto di partenza della scrittura di Marco D’Agostin, ma più semplicemente uno degli anni della mia vita. Non volevo che questo avvenimento diventasse il cuore della scrittura, volevo che fosse uno dei tanti fatti della mia vita e della vita della mia famiglia. Mio padre era tesserato nel partito comunista, quindi sul piano storico c’è anche un affondo nella parabola di Berlinguer».

Sul palco e sulla platea si stende lenta l’ombra di un romanzo: l’invito è a scriverlo insieme. Il pubblico è chiamato a raccolta in alcuni momenti, conclude la danzatrice: «Una delle grandi ambizioni di questo spettacolo è che fosse scritto a “cento mani”. Mi sono talmente affezionata a questo slogan da chiedere a Marco D’Agostin che non restasse solo una metafora. Volevo davvero che il pubblico fosse parte della scrittura in tempo reale e ci sono tre diversi momenti in cui questo accade».

Informazioni e biglietti sul sito del «Festival Danza Estate».

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