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«Quelli che commentano»: un’indagine teatrale di Kepler-452

Intervista. Prosegue «A Levar l’Ombra da Terra», il festival diffuso che porta in numerosi paesi della provincia un ricco calendario di eventi. Sabato 15 luglio alle 21.30 a Orio al Serio, presso il parco comunale Collodi, sarà ospite la compagnia Kepler-452 con «GLI ALTRI indagine sui nuovissimi mostri». Uno spettacolo con Nicola Borghesi che si interroga su chi siano davvero quelli che lasciano commenti feroci e brutali sui social, cercando di mettere insieme i pezzi dell’identità di uno di questi “altri”

Lettura 5 min.
Nicola Borghesi in «GLI ALTRI indagine sui nuovissimi mostri»

La maggior parte di noi ha almeno un profilo sui social e, ancora, la maggior parte di noi vi accede ameno una volta al giorno. Dietro a questi schermi ci siamo noi – sì, noi, io – che apriamo le bacheche facendo scorrere, con lieve sentimento di noia, sempre lo stesso schema ripetuto all’esasperazione. Foto delle vacanze di zio Antonio con l’orizzonte storto e mezza faccia tagliata, i figli della tua compagna di classe delle medie, qualche ricetta che non farai mai, i meme del tuo amico fissato, tre video di concerti che scrolli in muto, due foto autocelebrative di quel tizio che non ricordi bene chi sia, e poi arrivi lì: le notizie di cronaca. E qui mi fermo. Perché davanti (o forse dovrei dire dietro) all’attualità, il mondo degli utenti social si divide in due: noi – sì, di nuovo, noi, io – che dopo aver letto e riletto le notizie facciamo le nostre considerazioni, lasciandole in quella meravigliosa scatola complessa che è il nostro cervello. Tuttalpiù ne parliamo con chi la pensa più o meno come noi, magari ci spingiamo un po’ più in là cliccando un inutile cuoricino di supporto. Poi ci sono gli altri - o quelli che io, noi, definiamo tali – quelli pervasi dall’istinto di lasciare un commento sotto ogni notizia del giorno.

Il punto è che, troppo spesso, chi fa parte di questa seconda categoria usa i social come valvola di sfogo per le proprie più remote frustrazioni. Aprendo la sezione commenti, soprattutto sotto alle notizie più delicate, di quelle che prima di parlarne ci vorrebbe una certa preparazione e pure una buona dose di empatia, non è raro leggere una sfilza di messaggi pregni di livore, odio, rabbia cieca, razzismo, xenofobia, sessismo, e qualsiasi altra discriminazione venga in mente. A volte anche un mix tossico di tutto questo che, a chiunque abbia dentro di sé un minimo sentimento umano base – bastano le due nozioni sul rispetto che ti insegnano già nei primi anni di vita – verrà naturale chiedersi cosa spinga la “persona x” ad esprimersi in quel modo. Non solo, viene naturale anche domandarsi se la “persona x” queste cose orribili che scrive le pensi davvero.

Ora, congeliamo tutto quello che abbiamo letto fino ad ora e facciamo un passo indietro: “noi” e “gli altri”. Torniamo al lavoro della compagnia Kepler-452 e alla sinossi dello spettacolo «Gli altri»: «Sono quelli che scrivono quei commenti mostruosi sui social, che noi condividiamo a nostra volta per mostrare alla nostra cerchia che gente gira, per affermare che noi non siamo come loro, per raccontare la deriva della società, e lo sconforto e l’incredulità che ci attanagliano. Cerchiamo insomma di rassicurarci tra noi, noi che ancora non siamo pervasi da quell’odio cieco, dalla volontà purificatrice di bruciare tutto. Cerchiamo di fare quadrato. E questo alimenta il risentimento degli Altri verso di noi: noi siamo i privilegiati, coloro che parlano standosene al sicuro, lontani dai conflitti, dai problemi reali». «GLI ALTRI indagine sui nuovissimi mostri» è uno spettacolo (un’indagine teatrale) di Kepler-452, di e con Nicola Borghesi. La drammaturgia è di Riccardo Tabilio, l’ideazione tecnica di Andrea Bovaia e il coordinamento è curato da Roberta Gabriele.

Ho parlato al telefono con Nicola Borghesi e ho provato a farmi raccontare quali intenzioni abbiano mosso, lui e la compagnia, ad addentrarsi e a scavare in quella melma tossica che sono i commenti sui social.

CD: Da cosa siete partiti? Dove avete trovato la voglia di affrontare questo tema?

NB: È uno spettacolo che nasce, come spesso succede, da un’ossessione. Quando ti trovi a fare una stessa cosa per molte volte, ti domandi perché stai investendo tutto quel tempo in qualcosa di così strano. In questo caso leggere i commenti sotto certi articoli, di certe testate online, soprattutto che riguardano tematiche legate all’immigrazione o alla violenza di genere. Ma anche con articoli sul traffico locale, ci sono persone che usano questa circostanza per dire cose direttissime, irripetibili, perturbanti a degli sconosciuti.

CD: È davvero difficile comprendere le motivazioni dietro a un comportamento di questo tipo. Perché non ci sia, almeno, un atavico sentimento di vergogna a trattenerli. Perché?

NB: È ovvio che riguardo al comportamento chiunque sarà scettico: ha senso andare nella bacheca Facebook o sotto un post Instagram di uno sconosciuto e scrivergli le peggio cose? Naturalmente chiunque ti dirà che non è una buona idea, che non ha senso. Eppure accade frequentemente e in maniera diffusa. Allora io mi sono chiesto perché mi interessasse tanto capire, ho iniziato a farmi domande: cosa mi attrae? Chi sono queste persone? Da dove viene tutta la rabbia che esprimono? E poi abbiamo fatto una cosa abbastanza semplice: abbiamo cercato di contattarne uno e di conoscerlo.

CD: Fammi capire: avete scelto un commento pieno di odio e avete cercato di scoprire quale persona si celasse dietro alle parole? E com’è andata?

NB: Esatto. Una grande lezione sul fatto che quando cogli una persona in un momento della sua vita, ma non conosci quella persona, tendi ad immaginare che il resto della sua vita assomigli a quello che hai visto. Mentre invece, come tutti sappiamo, siamo fatti di tanti momenti, tanti pezzi, tante cose che non c’entrano niente tra loro. Io immaginavo che dietro quei commenti ci fosse qualcuno di malvagissimo, il principe del male, invece ho trovato una persona il cui ritratto principale era di sconcertante normalità, anche banalità.

CD: E su cosa si concentra questa “indagine”?

NB: Sulla storia, il percorso. Al di là dell’aspetto di struttura logico del processo di conoscenza di base con una persona che prima non conoscevamo (che è chiedersi come viva questa persona e che orizzonti abbia), ci siamo chiesti quali percorsi abbiano fatto certi pensieri, tra il nascere e l’essere tanto mostruosi. Quale sia la strada, se esiste, che li rende qualcosa di concretamente violento. È difficilissimo capire come questa sorta di fiume carsico si muova dentro le persone, fino ad esprimersi in un fiotto di odio.

CD: Dunque, arrivando al punto, questi “altri” chi sono? E noi? Dove è il confine?

NB: Per definizione, gli altri sono quelli che non siamo noi. Ma questo spettacolo mi ha ricordato quanto spesso sia possibile diventare gli altri senza accorgersene. È un grosso lavoro non esserlo, lavoro che si perde di vista proprio quando lo stai diventando. E diventarlo non è solo una paura, è anche un rischio e una certezza. Ma è importante saperlo, la consapevolezza è forse l’unico strumento che abbiamo perché non accada.

CD: Cosa ti aspetti che succeda al pubblico dopo aver visto questo spettacolo? Che cosa vorresti smuovere?

NB: Poco prima di debuttare l’ho mostrato, in forma privata, ad una persona cara e il suo commento finale è stato «poveri noi». Questo è ciò che vorrei pensasse anche il pubblico. Non tanto per il «poveri», quanto per il pronome. Insistiamo molto nello spettacolo su quanto sia difficile dire «noi». Sarebbe importante imparare a farci caso alle cose, a riconoscersi nei moti d’animo, ad accorgersi di chi siamo e cosa diciamo.

CD: Sei sia regista che interprete e hai lavorato alla drammaturgia con Riccardo Tabilio: è difficile conciliare diversi ruoli?

NB: Per me è abbastanza normale, pensando alla regia come a un progetto in cui le cose pian piano trovano il proprio posto all’interno di un ragionamento complessivo. Il teatro è sempre un lavoro di squadra, un lavoro artigianale che si forma sulle energie che stanno dentro una sala, sulle conversazioni che vi accadono, dai tentativi ai fallimenti, ai dolori che inevitabilmente si attraversano. Farei molta fatica, arrivato a questo punto, a non essere anche regista, perché il nostro resta un processo collettivo che include me, Riccardo, Roberta e anche Andrea, il nostro tecnico e sguardo fondamentale.

Realizzato dall’omonima associazione con la direzione di Marta Ceresoli, Davide Pansera e Alberto Salvi, «A Levar l’Ombra da Terra» è un festival diffuso e di prossimità. Tutti gli eventi sono gratuiti: ciò è reso possibile da un approccio mutualistico: sostenuto da fondazioni bancarie, enti territoriali e dai contributi delle amministrazioni che ospitano gli eventi (oltre ai Comuni coinvolti, Fondazione Cariplo, Sistema Bibliotecario della Valseriana, Sistema Bibliotecario Nord - Ovest, Fondazione Comunità Bergamasca e Provincia di Bergamo) mira a una copertura orizzontale dei costi. Grazie a questa visione, realtà con possibilità economiche più limitate non devono vedersi escluse dalla proposta culturale, ma possano comunque partecipare e offrire ai cittadini appuntamenti di spettacoli.

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