Samuel Akounis, regista teatrale protagonista del bellissimo romanzo di Sorj Chalandon «La quarta parete» (Keller editore, 2016) ha un sogno. Quello di rappresentare la tragedia «Antigone» nella Beirut di fine Novecento, dilaniata dalla guerra civile. Negoziare qualche momento di tregua tra le parti per opporre il teatro e la cultura al conflitto. Il tutto impiegando attori del posto, appartenenti alle diverse fazioni politiche, religiose e identitarie che si contrappongono sul campo.
Creare connessioni. Fare comunità. E ricordarci che al di là di tutto siamo umani. Potrebbe essere riassunta così la missione del teatro, una missione che anche quest’anno la direzione artistica di «deSidera Bergamo Festival» esprime con forza. «Sentiamo che la solitudine è una condizione innaturale, indotta. Forse per molti è diventata un’abitudine, un modus vivendi. Ma il teatro non può allinearsi. Il teatro per sua natura non può stare in una dimensione individualistica» scrivono Gabriele Allevi, Giacomo Poretti e Luca Doninelli. «È proprio in questo clima di spappolamento delle relazioni che il teatro può giocare la sua partita, può diventare un fatto ricostruttivo, un tentativo umano, vero, incontrovertibile pur nella sua dimensione microscopica. Creare momenti di vita sincera, cellule di relazioni semplici, esperienze comunitarie di partecipazione attiva in cui l’arte agisce da enzima».
Per la sua ventunesima edizione, «deSidera» si propone di «ritrovare la sua spinta propulsiva di cambiamento verso una vita fatta di poesia, di azione quindi, come suggerisce la sua etimologia, di ribellione all’astrattezza in cui ci sentiamo immersi». Lo fa proponendo al pubblico un programma ricchissimo, che fino al 23 settembre porterà sul territorio bergamasco nomi noti e nuove scoperte, debutti, prime nazionali e progetti speciali. Qualche esempio? «Walk in Shakespeare», la passeggiata shakespeariana ideata da Maurizio Donadoni che il 15 e il 16 luglio attraverserà i luoghi più “teatrali” di Città Alta, oppure «Cuntempla. Avevo soltanto sete d’amore», uno spettacolo itinerante (in programma l’11 agosto a Colzate e il 16 settembre a Osio Sopra) che unirà due opere di Alda Merini ai potenti canti della tradizione polivocale sarda.
Il programma completo degli eventi – a cui si aggiungono alcuni spinoff come «Sguardi all’insù», la rassegna di teatro ragazzi nata sotto l’ala del Sistema Bibliotecario Area Nord-Ovest Provincia di Bergamo, «Le vie della Commedia», il festival di Commedia dell’Arte promosso dal Polo Culturale Mercatorum e Priula e «Natura & Cultura», rassegna “green” promossa da Pianura da Scoprire – è disponibile a questo link.
Ma cominciamo dall’inizio.
«Caravaggio. Di chiaro e di oscuro»
«deSidera Bergamo Festival» quest’anno partirà da Caravaggio. L’artista, nel suo luogo di nascita. Giovedì 6 luglio alle 21.15, nella suggestiva cornice del Chiostro di San Bernardino, l’attore, autore e scenografo pugliese Luigi D’Elia presenterà «Caravaggio. Di chiaro e di oscuro», un evento speciale dedicato al “nostro” Michelangelo Merisi. A raccontarne la genesi è lo stesso D’Elia, che raggiungo al telefono per una breve chiacchierata. «Da tempo collaboro con Francesco Niccolini, drammaturgo dello spettacolo. Entrambi avevamo espresso l’uno all’altro il desiderio di lavorare con Caravaggio. Da parte sua, Francesco è un grande appassionato del Seicento: l’ha studiato in lungo e in largo per Galileo, per Shakespeare, per Molière, Don Chisciotte. Io, invece, oltre al teatro nutro una grande passione, che è la pittura».
Non una semplice passione. È proprio attraverso la pittura che D’Elia si avvicina al teatro. «In tutti i miei primi lavori non riuscivo a scindere la narrazione dal costruirmi gli oggetti scenici dello spettacolo. La costruzione degli oggetti, la scenografia, la pittura, veniva di pari passo con il racconto orale. Tutti i miei primi lavori hanno avuto delle scenografie che avevo fatto io, dipinto io, curato io e poi in mezzo ci raccontavo anche. Quindi per me la parola e la pittura sono comparse nello stesso momento. Poi c’è mio padre, che è un pittore di professione: sono cresciuto tra le tele e il profumo dei colori ad olio».
«Quanti dettagli servono per raccontare la storia di Michelangelo da Caravaggio?» è la domanda con cui si apre la scheda artistica di «Caravaggio. Di chiaro e di oscuro». Rivolgo la stessa domanda a D’Elia: cosa si può dire di un uomo la cui vita è stata talmente sconvolgente che non sia ancora stato detto?
«Questa volta la narrazione è al servizio dei dipinti di Caravaggio – mi risponde – Francesco Niccolini ha scritto un copione che per la maggior parte è un attraversamento delle opere di Caravaggio. Enzo Vetrano e Stefano Randisi, i due registi, hanno fatto poi un gran lavoro nel cercare di attraversare queste opere come se fossero ogni volta vive. L’indicazione che mi hanno dato fin dall’inizio è stata quella di raccontare Caravaggio come se fosse la mia prima volta davanti a un suo quadro, come se quel quadro stesse nascendo davanti i miei occhi. Mi hanno detto di dimenticare il mostro del ramarro, Bacco, Giuditta e Oloferne, e vederli come se stessero prendendo vita davanti ai miei occhi».
L’attualità e l’umanità di Michelangelo Merisi
Quando parliamo di Caravaggio, è difficile separare l’uomo dall’artista. Quando parliamo di luce e di ombra, la mente corre al chiaroscuro delle tele, ma anche agli arresti, alle fughe, alle sentenze di morte che hanno colorato la vita del pittore delle stesse luci e delle stesse ombre. «Vita e opere sono per me inscindibili – spiega D’Elia – anche l’evoluzione del suo modo di dipingere racconta la fase della vita in cui si trovava. È come se le opere lasciassero una traccia emotiva di quello che intanto succedeva. E quindi abbiamo i primi lavori, il periodo di Roma dello splendore e poi a poco a poco le cose cambiano. Aumentano le campiture nere fino ad arrivare alle ultime opere. Lì è molto evidente il fatto che il tratto è sfocato perché Caravaggio aveva quasi perso la vista, per gli scontri fisici e le risse. E non dimentichiamo come le figure dipinte da Caravaggio, le figure religiose come Gesù o Maria Maddalena, portassero i volti di Cecco, Lena, Fillide, delle prostitute che posavano per lui».
Mi soffermo un poco su quei volti, che probabilmente hanno avuto il merito di rendere Caravaggio, al di là della distanza storica, una figura ancora attuale. «Sono tantissimi gli studi che hanno avvicinato Caravaggio a Pasolini. Un pittore che dice che è giusto che per dipingere la Madonna si usi come modella una prostituta perché è una donna bella, madre, piegata dalla vita, ma comunque sensuale e piena di vita… è di una potenza pazzesca. Oggi probabilmente Caravaggio avrebbe usato come modella una profuga: oggi siamo abituati, soprattutto a Natale, a fare fotomontaggi sui social con la Natività sui barconi. Ma lui li aveva fatti 400 anni fa, mentre bruciavano le streghe nelle piazze».
Che a Luigi D’Elia interessi l’uomo, oltre l’artista, è chiaro fin dalle prime parole, che sembrano tremare di commozione. «Man mano che lo spettacolo procede – racconta – emerge una grande tenerezza nei confronti di questo “Michele”… Abbiamo fatto delle prove a Bolzano, dove abbiamo allestito lo spettacolo, e una signora uscendo ha detto “sono in lutto per aver perso Michele oggi”. Che uno dica di essere in lutto per una figura del Seicento vuol dire che l’ha vista davvero sul palco, l’ha vista morire!».
Caravaggio e Pavese
Dopo «Caravaggio. Di chiaro e di oscuro», Luigi D’Elia regalerà al pubblico di «deSidera» un altro spettacolo. Sabato 8 luglio a Ponteranica e martedì 22 agosto a Treviglio, l’attore si cimenterà infatti con «La luna e i falò», primo lavoro interamente suo, su testo ispirato all’amatissimo romanzo omonimo di Cesare Pavese. Chiedo se c’è qualcosa che lega «La luna e i falò» a «Caravaggio». «Al momento non è ancora arrivato il punto di incontro – risponde il mio interlocutore – Ieri ho portato in scena “La luna e i falò” e ho provato a fare il riscaldamento che faccio per “Caravaggio”, perché poi convivo con così tante storie che mi diverto a vedere se le storie vogliono incontrarsi o meno. Sicuramente è un bel lavoro perché ho avuto a che fare con registi diversi, testi diversi, una scrittura mia nel caso de “La luna e i falò”, di Francesco nel caso di “Caravaggio”. Sono due spettacoli che stanno nascendo insieme, per cui sono in ascolto per vedere se si troverà mai un punto in comune».
Concludo la nostra chiacchierata chiedendo a Luigi D’Elia qual è l’aneddoto più bello che lo lega a «deSidera», di cui è ospite ormai da diversi anni. «Ricordo con grande emozione “Zanna bianca”. Era la prima edizione dopo il Covid, eravamo a Romano di Lombardia. Rivivo ancora perfettamente quella serata, la luce, le persone sedute con le mascherine… e l’esplosione alla fine. Ricordo che dissi proprio: “quanto bisogno c’è di emozionarsi insieme”?».