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Cosa c’è di più inclusivo di un autobus? Sali a bordo e ogni volta si apre un mondo nuovo

Articolo. Per Lorenza Larese, Diversity manager di Arriva, la sfida è doppia: promuovere il cambiamento culturale, interno ed esterno, con la formazione e mettere in campo azioni concrete per risolvere le criticità e valorizzare i talenti. Abbiamo fatto due chiacchiere con lei in occasione di «Inedite», lo spettacolo che Eppen proporrà l’8 marzo alle 21 al Teatro Serassi di Villa d’Almè. L’evento è sostenuto da Arriva Italia e vedrà intervenire sul palco anche due autiste

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Lorenza Larese lavora da sette anni nel gruppo Arriva Italia che gestisce, nella nostra provincia, gli autobus delle tratte extraurbane. A Bergamo chiamiamo ancora l’azienda «la SAB», ma giova sapere che appartiene ad uno tra i maggiori operatori nel settore della mobilità in Europa, con circa 40mila dipendenti e 1,2 miliardi di passeggeri trasportati ogni anno in dodici paesi europei e nel Regno Unito.

Con una laurea in Relazioni Pubbliche, Lorenza ha frequentato, per conto dell’azienda, il master biennale «Inclusione delle diversità» al dipartimento di Scienze Giuridiche all’Università di Udine, per poi diventare la Diversity & Inclusion manager di Arriva Italia. «Arriva tutela le diversità in tutti gli aspetti – ci spiega – sia all’interno dell’azienda (dipendenti) che all’esterno (clienti). Il trasporto pubblico locale si rivolge a un pubblico indifferenziato, che è la rappresentazione massima delle diversità. Un valore da tutelare ma anche da gestire, perché le differenze generano sempre frutti straordinari, ma anche conflitti».

Cosa faccia concretamente, è la prima domanda che le abbiamo rivolto: «Ho sviluppato un piano d’azione in linea con la strategia D&I del Gruppo che prevede diverse attività, a partire dalla formazione orientata al cambio della cultura, all’ascolto, al monitoraggio attraverso i sondaggi per i dipendenti fino ad arrivare alle iniziative locali».

EP: Quale è la parte che la appassiona di più?

LL: L’aspetto più interessante del lavoro avviene, nel mio caso, nel passaggio dai numeri alle persone, ovvero quando raccolgo testimonianze dirette, che aiutano a comprendere meglio le persone, a decostruire i pregiudizi e a individuare le strade da percorrere. Come quando ho indagato su base locale i motivi che hanno condotto le nostre autiste ad approdare a questo mestiere “non convenzionale” per una donna. Una di loro era impiegata in un salone di parrucchiera e, quando si è stancata della routine, ha deciso di togliere dalla polvere la patente per autobus che i nonni le avevano regalato anni prima, come “assicurazione sul futuro”. Ora, al volante dei bus, ha trovato una dimensione che le appartiene. Un’altra autista ha lasciato il lavoro di taxista per approdare ai mezzi più grandi. Ora si sente più sicura e tutelata, senza rinunciare al piacere di domare la strada. Un’altra ancora si è affacciata a questo settore dopo che il figlio le ha raccontato con entusiasmo e compiacimento di aver visto un’autista donna sull’autobus che lo portava a casa.

EP: Promuovere il mestiere di autista di autobus in Italia è più difficile che in altri paesi?

LL: Si, lo è, ma non è impossibile. Le vere barriere all’accesso sono di matrice culturale. Ma l’autista non è un mestiere da uomini, non necessita di forza fisica. Anzi, nelle mie indagini ho scoperto che le autiste donne sono particolarmente apprezzate per il loro stile di guida e per l’approccio relazionale con il cliente. Questo settore è tradizionalmente maschile: le bambine e le ragazze non vengono incoraggiate a fare esperienze e percorsi “non convenzionali”. Anche nella formazione, ad esempio: in Italia, le laureate in materie STEM (scienze, tecnologie, ingegneria e matematica) sono ancora troppo poche.

EP: La diversity non riguarda solo il genere, corretto?

LL: Esatto, infatti la nostra strategia si muove su diversi fronti e si rivolge anche alle comunità. A livello locale, abbiamo stretto delle partnership con i centri di prima accoglienza per extracomunitari, dove periodicamente teniamo degli incontri di formazione per spiegare le regole d’uso del trasporto pubblico. Per chi arriva in Italia e si vuole integrare, è utile imparare a leggere la tabella degli orari, sapere cosa si può e cosa non si deve fare a bordo di un mezzo di trasporto pubblico e soprattutto che è obbligatorio comprare e obliterare il biglietto. Contiamo di poter esportare questa esperienza pilota in altre città d’Italia.

EP: Perché tutta questa attenzione oggi a questi aspetti di inclusione?

LL: Do per scontata la dimensione etica della tutela della diversity, ma voglio specificare che l’inclusione delle diversità è un tema strettamente legato al business. È dimostrato che le compagnie inclusive hanno performance migliori e sono più attrattive. Al loro interno, i dipendenti si sentono accolti e liberi di portare pienamente sé stessi e quindi lavorano con maggiore soddisfazione e profitto. A beneficiarne è anche l’azienda, perché si innesca un circolo virtuoso che porta vantaggi per tutti. Per questo, offriamo politiche di welfare molto concrete come l’assistenza medica telefonica h24 per tutti i dipendenti e le loro famiglie, il supporto psicologico e la massima attenzione alla sicurezza personale sui luoghi di lavoro. Inoltre, stiamo lavorando alla «Certificazione sulla parità di genere» (UNI PdR 125:2022), focalizzata sui temi della parità salariale, dell’occupazione femminile, la conciliazione vita-lavoro e il contrasto alla violenza. È importante sottolineare che migliorare le condizioni di lavoro per alcune categorie quasi sempre significa migliorare le condizioni di tutti i lavoratori.

EP: Altre curiosità?

LL: Sarebbero mille. Ad esempio «Chiavi rosa», un piccolo progetto locale che ha suscitato un incredibile apprezzamento tra le autiste. È la risposta ad un problema di tipo igienico emerso attraverso i nostri sondaggi periodici: siamo intervenuti identificando i locali adatti e assegnandoli esclusivamente alle donne, consegnandone le chiavi a ciascuna con un simbolico portachiavi rosa. Un piccolo cambiamento che ha avuto un ritorno altissimo. E poi c’è la «Driver academy», il progetto di formazione di Arriva in collaborazione con agenzie per il lavoro, dove i candidati selezionati vengono accompagnati nel percorso di conseguimento della patente di guida per bus finalizzato all’inserimento in azienda. In particolare, a Bergamo abbiamo accolto sia ragazzi italiani che stranieri di diverse etnie, e questo è fantastico nell’ottica di avere una base dipendenti che sia maggiormente corrispondente ai nostri clienti: ci permette di conoscerli meglio per servirli meglio.

EP: Grandi progetti e piccole azioni?

LL: Sono dell’idea che sia indispensabile lavorare su più fronti: da un lato è necessario promuovere il cambiamento culturale, interno ed esterno, anche attraverso le attività di formazione a tutti i livelli, e dall’altro è importante mettere in campo azioni concrete per risolvere le criticità e valorizzare i talenti.

EP: Quali sono le doti che deve possedere chi fa la Diversity manager?

LL: La pazienza. La società italiana è resistente al cambiamento. I comportamenti consolidati, gli stili di comunicazione e i pregiudizi sono piuttosto forti. Per fortuna con le nuove generazioni il contagio diventa più facile ed è anzi molto generativo. Se pensiamo alla strada percorsa da quando Giulia Solomita, originaria di Potenza, ha conseguito, tra le prime donne in Italia, la licenza di guida per gli autobus negli anni Sessanta, bisogna essere orgogliose, ma bisogna anche essere coscienti che c’è ancora tanto lavoro da fare su di noi e sul contesto culturale. Questa donna, grazie alla sua grande determinazione, ha ottenuto la patente D vincendo le resistenze della cultura maschilista dell’epoca e alla fine ha svolto la professione di autista per l’azienda di famiglia. Oggi, a 60 anni di distanza, nonostante le donne costituiscano una categoria fondamentale nel trasporto pubblico, sia in qualità di clienti che lavoratrici, il settore rimane un ambito a prevalenza maschile. E le donne sono storicamente e continuano ad essere una categoria ampiamente sottorappresentata.

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