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Essere multitasking non è una caratteristica esclusivamente femminile (ma da donna posso svelarvi qualche trucco)

Articolo. A un certo punto della mia vita mi sono dovuta confrontare con una terribile verità: noi esseri umani siamo abitudinari e prevedibili e abbiamo bisogno di schemi e routine per funzionare. Ma è solo grazie a questo che possiamo costruire grandi cose

Lettura 4 min.
(Illustrazione di Ankondr)

Quasi due anni fa, all’inizio del mio secondo anno di laurea magistrale, per una sfortunata coincidenza, mi sono ritrovata senza lavoro, senza lezioni da seguire e senza esami da preparare. Non sapevo cosa fare: fino a quel momento lo studio aveva assorbito la quasi totalità delle mie giornate. Avevo tantissimo tempo libero, ma non sapevo come impiegarlo. Zero idee. Vuoto totale. Ho trascorso due mesi in una sorta di nebbia confusa, cercando di studiare per gli esami a venire giusto per far finta di essere impegnata in qualcosa, perdendomi per ore a guardare video su YouTube, per lo più annoiandomi a morte. Ero come paralizzata.

Fast forward di un paio di anni. Mi sono laureata, sto cercando di farmi strada nel settore per cui ho studiato e porto avanti una decina di altri progetti: studio per un concorso pubblico, tengo esercitate tre lingue straniere, gestisco un canale YouTube di cucina, mi occupo della mia piccola giungla da interno e di una cagnolina adorabile di nome Annie, sto pian piano esaurendo le mie liste di libri da leggere e di film e serie tv da guardare, mi interesso di fotografia e post-produzione digitale, sto ricostruendo l’albero genealogico di famiglia e imparando le basi della meditazione.

Ero e resto la persona più pigra e incostante del mondo, ma ho imparato ad aggirare l’ostacolo enorme della mia indolenza; anzi, a rigirarlo a mio favore. Ho vagliato le più svariate soluzioni preconfezionate, elaborate da persone molto più produttive e competenti di me, raffinandole e modificandole su misura della mia situazione. Ecco cosa ho capito.

È stato un Ted Talk a mettere in moto tutto il mio cambiamento: quello di Tim Harford sullo slow motion multitasking (qui sottotitolato in italiano). L’idea è questa: se è vero, com’è vero, che la creatività, alla radice, consiste nel prendere qualcosa e inserirla in un contesto diverso da quello originario, allora non abbiamo che da guadagnarci se ci occupiamo di diversi progetti contemporaneamente. E non parlo solo di progetti lavorativi, ma anche di progetti personali, dai più semplici, come organizzare una cena tra amici, ai più complessi, come arrivare a correre una maratona. Tim Harford parla di “slow motion multitasking” proprio perché, occupandosi di più progetti allo stesso tempo, i progressi sono lenti, ma significativi nel lungo termine.

Il nostro errore è spesso buttarci a capofitto su una singola occupazione, magari perché la scadenza si avvicina e ci prende il panico: per me è stata la tesi magistrale, a cui mi sembrava di dover dedicare ogni minuto libero della mia giornata, quando invece avrei probabilmente finito in meno tempo se non mi fossi lasciata ossessionare. Mi sentivo spesso bloccata; non mi rendevo conto che avrei dovuto applicare la stessa strategia che utilizzo quando sto risolvendo un cruciverba e c’è una definizione che so di sapere ma che, mannaggia a lei, non mi viene proprio in mente: la lascio lì dov’è e cerco di dimenticarmene mentre provo a risolvere le altre definizioni, finché nella mia testa non si fa sufficiente spazio per ricordarmi la definizione che inizialmente mi sfuggiva.

Una volta capito che per portare a termine un progetto avrei dovuto iniziarne altri in contemporanea, mi si è presentato un grosso problema: come gestirli, tutti insieme? La soluzione, per me è stato il block schedule system, elaborato da Jordan Page (per chi non la conoscesse, il suo canale YouTube è una miniera inesauribile di suggerimenti per essere più produttivi). Si tratta di un sistema per organizzare le giornate, non ora per ora ma a blocchi, anche disomogenei, di ore. In questo modo la giornata si compone di tronconi isolati, ognuno dedicato a un tipo di attività (lavoro, studio, sport, relazioni, hobby e così via), che favoriscono la concentrazione proprio perché si sa di avere quell’esatto tempo a disposizione e nient’altro. Ciò porta a un doppio vantaggio: si lavora meglio, perché si sente la pressione di una scadenza in avvicinamento, ma, allo stesso tempo, se si fa fatica a mantenere un alto rendimento, si sa che a breve ci si potrà occupare di qualcos’altro. L’attenzione e la concentrazione si rinnovano a ogni cambio di blocco.

Tuttavia, come i migliori procrastinatori seriali sanno, non basta avere un’idea per metterla in pratica. Non basta nemmeno sapere come metterla in pratica. Per esperienza personale, sapevo che mi sarebbe bastato un nonnulla per sentirmi sopraffatta e mollare tutto. Ho cercato per molto tempo di coltivare interessi e aspirazioni diversi dalla mia occupazione principale del momento, ma non sono mai durati. Per tutti e cinque gli anni di università, qualunque buon proposito mi fossi imposta (che fosse andare a correre tre volte a settimana o leggere “Guerra e pace”), come si avvicinava la data di un esame buttavo tutto all’aria e mi davo allo “studio matto e disperatissimo”.

Mi sembrava di non avere mai abbastanza tempo per fare niente. Grazie a un altro Ted Talk, stavolta di David Allen, ho capito però una cosa tanto semplice quanto geniale: non avevo bisogno di più tempo, ma di più spazio mentale. Gli esami erano per me come l’occamy di “Animali Fantastici”: si espandevano fino ad occupare tutto lo spazio disponibile. Se fossi stata più realistica e avessi dedicato a ciascuno la metà del tempo che finivano per rubarmi, avrei probabilmente avuto gli stessi voti, ma una vita più varia e stimolante.

Ma come si ottiene più spazio mentale? Di nuovo, strutturando e organizzando. Più una cosa è prevedibile e incastonata nell’abitudine, più ci viene semplice portarla a termine – e più tempo ci rimane da dedicare a tutto il resto. Allora per ogni singola idea, per ogni singola ispirazione del momento – dai libri da leggere alle mail da mandare – metto tutto per iscritto su una semplicissima app di note. Quello è il primo filtro, che libera il mio cervello dal compito gravoso di ricordare tutto e mi dà modo di concentrarmi su quello che sto facendo in quel momento e non su quello che dovrei fare in un futuro non definito.

Si parla, in questo senso, di brain dumping. Compleanni? Tutti segnati sul calendario, con promemoria in anticipo per avere il tempo di cercare un regalo. Incarichi da portare a termine? Elenchi a spunte con i vari passaggi intermedi. Scadenze e appuntamenti? Di nuovo eventi sul calendario, inclusi i dettagli su luogo, ora, contatti e promemoria plurimi. Mi segno anche tutti i ponti e le festività, con promemoria di qualche giorno o settimana in anticipo, per avere la possibilità di organizzare viaggi o brevi gite. Ma non si riduce tutto a creare note su note: ogni settimana scorro l’elenco dei progetti in sospeso e cerco di organizzarli, immaginandomi quale vorrei che fosse il risultato finale e riducendo macrocompiti in microattività. È solo così che riesco a portarne avanti molteplici in contemporanea: per ognuno posso fare, ogni giorno, un microscopico progresso, che, accumulandosi nel lungo termine, mi fa fare passi da gigante.

Quello che faccio, in buona sostanza, è lasciare che siano computer, tablet e telefono a fare le macchine, cioè ad archiviare dati, mentre io resto un comune essere umano e mi godo la parte più creativa della mia esistenza. Ho più tempo per le relazioni e per i sogni nel cassetto. Ho smesso di sentirmi in colpa perché non riuscivo a ricordarmi date importanti, perché mancavo sistematicamente ogni scadenza e perché soffocavo sotto il peso delle cose che mi sarebbe piaciuto fare se avessi avuto più tempo. Vivo serena, in pace con me stessa. Vivo da essere umano.

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