93FE310D-CB37-4670-9E7A-E60EDBE81DAD Created with sketchtool.
< Home

Astino racconta la sua storia con una nuova mostra permanente

Articolo. Giovedì 18 maggio alle ore 18 la Fondazione MIA inaugurerà la nuova esposizione curata da Stefano Marziali e dedicata ai lavori di restauro e di rifunzionalizzazione del complesso monastico. In contemporanea verrà presentato anche il nuovo volume della storica dell’arte Alessandra Civai «Il monastero restituito. Astino: progressi di una rinascita (2016-2023).

Lettura 5 min.
(Stefano Marziali)

La voce del passato riecheggia più forte che mai nel nostro presente e permette di mettere in luce le bellezze di uno dei più grandi gioielli della nostra città. Stiamo parlando del monastero di Astino che, grazie ai lavori di restauro voluti e condotti dalla Fondazione MIA, ha trovato negli ultimi anni una nuova fase di splendore, incantando con il suo fascino, la sua storia e la sua bellezza migliaia di visitatori provenienti da tutto il mondo. Dopo oltre un secolo di degrado e abbandono, grazie proprio a questo progetto di recupero – un piano del valore complessivo di quasi 12 milioni di euro iniziato oltre 10 anni fa e che proseguirà anche nei prossimi anni – il complesso è tornato a dialogare con il territorio bergamasco, ospitando eventi, appuntamenti culturale e aprendosi 365 giorni l’anno al cuore dei tanti bergamaschi che, in Astino, vedono proprio uno dei simboli della città.

Di questa evoluzione parlerà una nuova mostra permanente, che verrà inaugurata ufficialmente giovedì 18 maggio alle ore 18 al monastero di Astino, in contemporanea alla presentazione del volume «Il monastero restituito. Astino: progressi di una rinascita (2016 -2023)». Ma prima di presentarvi questi appuntamenti, ripercorriamo insieme la storia di questo luogo.

La storia di Astino

La storia del complesso monastico affonda le proprie radici nel XII secolo, precisamente nell’anno 1107, anni in cui è documentato l’acquisto di terra da parte di alcuni notabili bergamaschi con la volontà precisa di edificare il monastero di Astino. Con queste acquisizioni, si intendeva favorire l’insediamento dei Vallombrosani a Bergamo, ferita in quel tempo per le continue e spietate lotte per le investiture e per la presenza del vescovo Arnolfo, scomunicato perché simoniaco.

«Fin dalla sua istituzione – Alessandra Civai, consulente per la ricerca storico artistica relativa al progetto di restauro – la Congregazione Vallombrosana aveva lottato con forza contro la simonia, il mercimonio delle cariche ecclesiastiche, e per il ritorno della Chiesa alla purezza evangelica. In breve tempo il monastero si radicò nel territorio bergamasco, ampliando notevolmente le sue proprietà fondiarie con l’insediamento di molteplici attività agricole e minerarie. Il rigore morale dei monaci di Astino trovò affinità, nella prima metà del Duecento, con il nascente Ordine domenicano. Un importante esponente dell’Ordine, Guala de’ Roniis, scelse Astino come luogo di preghiera e di sepoltura: fu accolto in un “palatium” edificato appositamente all’interno del monastero, tuttora esistente».

Il monastero, entrato ufficialmente a far parte della Congregazione dell’Osservanza Vallombrosana nel 1493, fu oggetto di una prima completa ricostruzione a partire dal 1515. Completato all’incirca nel 1611, esso mantenne sostanzialmente la sua struttura fino alla soppressione nel 1797. «Il restauro complessivo del vasto edificio, promosso della Fondazione MIA e ancora in corso, ha evidenziato – continua la dottoressa Civai - la bellezza di molte sale conventuali e ha recuperato affreschi finora celati sotto uno spesso strato di bianco, steso tra Otto e Novecento, quando il monastero era stato adibito prima a manicomio e poi ad abitazione di agricoltori e a cascina».

È doveroso soffermarsi un attimo sulla storia legata al trasferimento dei malati psichiatrici dalla Casa de’ Pazzi della Maddalena ad Astino per volontà dell’allora governo della Lombardia. Dopo alcuni decenni di inutilizzo e dopo un delicato intervento, la struttura tornò infatti a dialogare con la vita della città il 7 novembre del 1832, accogliendo i primi 195 malati. Di quel periodo – dal 1832 al 1892 – restano ancora testimonianze vive: disegni dei pazienti, scritte e ganci sui musi. Segni tangibili di speranza, ma anche di sofferenza che hanno coinvolto numerose famiglie bergamasche, le quali hanno fatto davvero la storia del primo ospedale psichiatrico di Bergamo. Dopo la chiusura del manicomio, il vuoto. Un silenzio assordante che è stato percepito dalla Fondazione MIA che, dal 2009, ha avviato il progetto di recupero.

La mostra

Le fasi del restauro, i lavori che sono stati effettuati e gli obiettivi che la Fondazione MIA ha voluto percorrere sono al centro di una nuova mostra permanente, che verrà ufficialmente aperta al pubblico giovedì 18 alle ore 18 presso il complesso di Astino. L’esposizione è distribuita su due sale a pianta quadrata, con 15 pannelli descrittivi e una grande timeline con i passaggi più importanti della storia dell’edificio.

«Abbiamo aggiornato un precedente allestimento, arricchendolo di nuove informazioni – assicura il curatore della mostra Stefano Marziali – La prima sala racconta la storia del monastero con i dati emersi dalle campagne di restauro, secondo due macro argomenti: l’evoluzione architettonica della struttura dall’XI secolo ad oggi e la storia “sociale” del monastero che accolse nell’Ottocento l’ospedale psichiatrico della città». «Nella seconda sala – continua il curatore – troviamo i nuovi contenuti, che raccontano invece la storia conservativa del complesso e tutto ciò che la Fondazione MIA ha fatto per il recupero del sito, acquistato quando era un rudere. A livello tecnico, abbiamo attualizzato il precedente allestimento, con un nuovo stile grafico basato su illustrazioni originali e, in particolare, cambiando il tipo di narrazione: non più un approccio esclusivamente didascalico al racconto, ma didattico. Le operazioni ora vengono raggruppate per temi e vengono motivate le ragioni che hanno portato a questi precisi lavori di recupero».

Per quale ragione sono state preferite delle soluzioni ad altre? Qual è il loro valore? Che funzione hanno nell’ecologia del territorio? Ecco, l’esposizione permetterà ai visitatori di entrare nell’anima del restauro, approfondendo le tecniche utilizzate, i materiali e scoprendo così il grande rispetto dei progetti per questo luogo che ha fatto la storia della città. «Gli interventi di recupero e restauro sono stati fatti a regola d’arte – assicura Marziali -. I progettisti, ad esempio, hanno risanato le orditure delle coperture originali, affiancando alle vecchie capriate nuove strutture di sostegno e costruendo su di esse un nuovo tetto che si adattasse perfettamente al contesto. In più, i professionisti: hanno rispettato l’edificio dando un valore estetico al degrado, non nascondendolo, così da trasmettere la storia e l’identità di questo spazio».

Il curatore della mostra Stefano Marziali è docente all’Accademia di Belle Arti di Verona. Nella realizzazione dell’esposizione sono stati coinvolti alcuni suoi allievi, che si sono impegnati a realizzare i pannelli sotto il profilo grafico e compositivo. Le illustrazioni sono invece state realizzare da un giovanissimo artista – Alexandru Vlad Hristodor – che ha interpretato in un’ottica tutta nuova il materiale documentale prodotto in più di 10 anni di restauri.

Il volume

Oltre all’inaugurazione della mostra, giovedì 18 maggio verrà anche presentato ufficialmente il volume «Il monastero restituito. Astino: progressi di una rinascita (2016 – 2023)» della storica dell’arte Alessandra Civai. La pubblicazione narra tutte le fasi di restauro, di recupero architettonico, di riqualificazione dell’immobile e di rifunzionalizzazione del complesso, un’operazione che ha permesso di coniugare funzionalità e sostenibilità per il futuro di Astino.

«Siamo alla seconda fase del restauro – spiega la storica – e ciò ha comportato una seria riflessione sul concetto di rifunzionalizzazione del complesso. Nel 2015, gli ambienti al piano terra erano stati solo messi in sicurezza, mentre in questa fase, si è completato il loro recupero, con il restauro degli affreschi e degli Intonaci, la climatizzazione e la pavimentazione dei vari spazi. Inoltre si è ricollocata l’ “Ultima Cena” dell’Allori, garantendo anche in questo caso un particolare sistema di climatizzazione della sala che ospita il capolavoro artistico». «Gli ambienti – prosegue Alessandra Civai – sono ora fruibili tutto l’anno e le cantine predisposte per nuove attività, con tutti gli impianti adeguati ad ospitare il progetto della scuola di alta formazione per la ristorazione e l’ospitalità».

Il volume permette così di scoprire ancora con più attenzione il passato di Astino, con un occhio però al suo futuro, pronto a nuove sfide e sinergie con il territorio. «Con questi lavori – dichiara ancora la dottoressa Civai – abbiamo una visione più precisa e approfondita sull’origine del monastero: possiamo ricostruire così con più attenzione i primi anni di realizzazione di Astino, dall’antico Palazzo degli Abati alle ultime costruzioni. Una storia ininterrotta che continuerà a parlare ancora: a ottobre verrà presentato un terzo volume dedicato al patrimonio artistico di questo luogo, sempre a mia cura con contributi di specialisti e studiosi, oltre a studi miei, frutto di vari anni di ricerca sulle fonti documentali e sull’analisi scrupolosa dei manufatti e dei risultati di restauro».

Informazioni generali

Maggiori informazioni sulla mostra e sulla storia del monastero di Astino sono disponibili sul sito della Fondazione MIA. L’ingresso è libero, senza obbligo di prenotazione. Nel mese di maggio il percorso espositivo sarà aperto il sabato e la domenica dalle 9.30 alle 12.30 e dalle 14.30 alle 17.30. A giugno, luglio, agosto e settembre la mostra sarà visitabile dal martedì al venerdì dalle 18 alle 21, il sabato dalle 15 alle 21 e la domenica dalle 10 alle 13 e dalle 14 alle 21.

Approfondimenti