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Maddalena Bonelli, perché chi scrive sui social dovrebbe studiare Aristotele

Intervista. Il filosofo greco può essere un alleato nella comunicazione su Facebook e un’associazione di docenti di filosofia può mostrare le discriminazioni di genere nell’Accademia. La filosofa dell’Università di Bergamo ospite a Noesis si racconta, tra questioni di genere, comunicazione online e libertà di espressione.

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(Andrew Stripes)

Hate speech: incapacità di condurre un dialogo serenamente e di confrontarsi con le altre persone sostenendo le proprie opinioni con argomentazioni e non con insulti. Sui social purtroppo è un comportamento molto diffuso ed è diventato oggetto di interesse e di studio di Maddalena Bonelli, filosofa e professoressa aggregata di Storia della Filosofia all’Università di Bergamo. E proprio la filosofia è la sua risposta ai leoni da tastiera di Facebook: “questa disciplina – spiega la docente - ci insegna che davanti a qualsiasi argomento di discussione, non c’è solo un modo aggressivo e soverchiatore di procedere e c’è sempre la possibilità di ricercare una verità comune anche nel contraddittorio più acceso, rispettando la libertà di espressione dell’altra persona”.

Libertà è anche il tema guida di quest’anno per il corso di filosofia di Noesis, dove Maddalena Bonelli sarà ospite il prossimo 20 aprile con l’intervento “Si può parlare di libertà nell’etica aristotelica?” (Appuntamento dalle 20 alle 22 in diretta streaming. Partecipazione su prenotazione attraverso il sito www.noesis-bg.it)

SV: Può anticiparci qualcosa sul suo intervento per Noesis?

MB: La filosofia antica di cui mi occupo contiene molti spunti di riflessione sul tema della libertà, a partire da Aristotele, protagonista dell’incontro che terrò a Noesis. Nel suo pensiero questo grande filosofo teorizza che come uomini siamo liberi di agire contro il nostro destino, non siamo obbligati a vivere in un certo modo per natura. Abbiamo la possibilità di scegliere come comportarci. Essendo esseri razionali abbiamo la facoltà di scegliere e quindi agire, ma questa libertà è strettamente legata alla responsabilità di ciò che facciamo.

SV: Libertà è anche libertà di espressione. Un tema che le sta molto a cuore, soprattutto se legato al mondo dei social media…

MB: Assolutamente. Mi interessano molto i problemi relativi all’espressione sui social. Libertà non significa dire tutto quello che ci passa per la testa. Ci sono molti problemi su Facebook legati all’aggressività e all’insulto delle persone che non la pensano come noi e in particolare di alcune categorie discriminate. Sono membro di un direttivo di una società SWIP Italia, un acronimo per Society of Women in Philosophy che si occupa da molti anni di discriminazione delle donne nell’accademia per quanto riguarda la filosofia. Lavoriamo molto anche sui pregiudizi di genere e molte delle socie più giovani che hanno molta dimestichezza sui social sono impegnate nell’analizzare cosa accade a molte persone che appartengono a categorie discriminate, come le persone di colore e gli omosessuali. Sicuramente quello che succede online è esattamente il contrario di quello che auspicherei, ossia un dialogo più controllato.

SV: Che riflessioni avete fatto all’interno della vostra organizzazione su questo tema?

MB: Purtroppo, abbiamo dovuto prendere atto di come nel nostro paese, nonostante i discorsi di inclusività e rispetto che vengono fatti, siamo ancora molto indietro su tante cose. Ci sono persone che ricevono insulti spaventosi, come la Boldrini o Michela Murgia, che subisce aggressioni verbali violentissime per le sue idee e tutto questo accade senza alcun tipo di controllo. Donne e uomini, nascosti dietro gli schermi dei loro computer, sono capaci di dire delle mostruosità terribili.

SV: Veniamo a SWIP Italia, di cosa vi occupate nello specifico?

MB: La SWIP Italia (Società italiana per le donne in filosofia) nasce sul modello di altre SWIP in Europa e nel mondo con lo scopo di promuovere il lavoro delle donne filosofe, sostenerle nella professione, denunciare e contrastare la discriminazione di genere in ambito universitario e nella ricerca. Portiamo avanti studi sulla sotto rappresentazione delle donne nell’Accademia e rileviamo e denunciamo tutti i comportamenti discriminanti. Ci sono ancora tantissimi convegni in cui non vengono invitate donne, ma solo professori di sesso maschile, inoltre nei comitati scientifici delle riviste ci sono quasi sempre solo uomini. Noi segnaliamo casi di questo genere in maniera interlocutoria, non ci sostituiamo alle commissioni dei concorsi, ma mostriamo situazioni evidenti di scarsa rappresentanza. Ancora oggi quando parliamo di discriminazione molti nostri colleghi si offendono. In Italia questo è un problema molto più grave che all’estero, l’ho sperimentato di persona.

SV: Cioè, cosa le è accaduto?

MB: Non è un caso che io abbia fatto gran parte della mia carriera accademica in università estere, da Ginevra dove ho fatto il dottorato, a Parigi. Sono riuscita a rientrare in Italia solo nel 2007 e arrivare a Bergamo per insegnare è stato quasi un miracolo. Non accade solo a me, ma a tutte e non solo in ambito filosofico, è un problema con cui ci dobbiamo misurare quotidianamente ed è importante farci sentire.

Oggi secondo i dati di una ricerca condotta da SWIP Italia, nei dipartimenti di filosofia degli atenei del nostro paese solo il 23,6% delle donne sono professoresse ordinarie, contro il 76,4% degli uomini, mentre i professori associati sono il 65,2% del totale, contro il 34,8% delle associate. Anche tra i ricercatori a tempo determinato il 65% sono uomini e solo il 35% sono donne. La strada è ancora lunga.

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