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L’insostenibile leggerezza della plastica (e come farne a meno)

Articolo. Nel mondo oggi ci sono più di sei miliardi di tonnellate di rifiuti di plastica. E sono qui per restare. Almeno per qualche altro centinaio di anni. Senza scadere nel fatalismo, cosa possiamo fare, nella vita di tutti i giorni, per assumere un ruolo attivo nella risoluzione di questo problema?

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(foto Roman Striga)

La chiamano la «Great Pacific Garbage Patch», in italiano a volte «Grande Macchia del Pacifico». Nell’immaginario comune è un’enorme isola di rifiuti, bloccata da una altrettanto enorme corrente a forma di vortice nella parte settentrionale dell’Oceano Pacifico, fra la costa occidentale degli Stati Uniti e il Giappone. In realtà assomiglia più a una sorta di zuppa viscosa di plastica, tonnellate e tonnellate di rifiuti non biodegradabili, dalle reti da pesca alle scarpe, che l’azione erosiva dell’oceano rompe via via in pezzetti sempre più piccoli. I satelliti scattano immagini della «Great Pacific Garbage Patch» da anni: se ne parla, sappiamo che esiste, ma spesso ci dimentichiamo cosa rappresenta.

La «Great Pacific Garbage» Patch è solo un simbolo di quello che è l’enorme problema a livello globale del corretto smaltimento della plastica. Solo nel 2019, abbiamo riversato 6,1 milioni di tonnellate di rifiuti di plastica negli ambienti acquatici, dei quali 1,7 milioni di tonnellate è finito negli oceani. Si stima che oggi ci siano 30 milioni di tonnellate di rifiuti plastici nei mari e negli oceani, mentre altri 109 milioni si trovano nei fiumi. Entro il 2030 circa 53 milioni di tonnellate di plastica potrebbero inquinare i nostri mari, fiumi e laghi. Sempre che si mantengano gli attuali sforzi globali per ridurre i rifiuti di plastica.

La produzione globale di rifiuti di plastica è più che raddoppiata dal 2000 al 2019, raggiungendo quota 353 milioni di tonnellate. Quasi due terzi dei rifiuti di plastica provengono da plastiche con una durata di vita inferiore ai cinque anni: il 40% da imballaggi, il 12% da beni di consumo e l’11% da abbigliamento e tessuti.

A voler distribuire questi dati a livello geografico, in cima alla classifica mondiale troviamo gli Stati Uniti, con 221 kg di rifiuti di plastica pro capite prodotti ogni anno. Più contenuta, ma comunque rilevante, l’Europa, con 114 kg. Ancora più in basso Paesi come il Giappone e la Corea, dove la massa dei rifiuti pro capite scende a 69 kg. Una distribuzione ineguale, ma con dinamiche comuni alla base.

Il problema dei rifiuti di plastica può essere suddiviso in due macroaree: macroplastiche e microplastiche (ne abbiamo parlato anche qui). Le prime sono i rifiuti di plastica così come li conosciamo, che diventano un grosso problema nel momento in cui non sono raccolti e smaltiti correttamente. Le seconde sono polimeri sintetici del diametro sotto i 5 millimetri, che derivano dall’erosione di prodotti come tessuti sintetici, segnaletica stradale e usura dei pneumatici. I danni alla salute di flora e fauna marina causati dalle microplastiche sono noti e si riflettono anche su di noi.

Alla base di entrambe queste dinamiche, il problema maggiore da affrontare è il consumo di plastica. Il consumo di plastica è quadruplicato negli ultimi 30 anni, mentre la produzione globale di plastica è raddoppiata dal 2000 al 2019, raggiungendo oggi i 460 milioni di tonnellate. A livello globale, ad oggi, ci sono circa 8,3 miliardi di tonnellate di plastica nel mondo, delle quali circa 6,3 miliardi di tonnellate sono rifiuti. Nel 1950 ne creavamo 2 milioni di tonnellate all’anno: nel 2015 la cifra è si è moltiplicata 200 volte. Considerato che la plastica impiega 400 anni a decomporsi, ci siamo ingabbiati da soli in una prigione dalla quale non sappiamo ancora bene come uscire.

A livello singolo, ci sono molte persone che hanno scelto di fare della lotta alla plastica uno stile di vita. La plastica è trattata quasi come una tossicodipendenza da cui guarire. Vivere “plastic free” può a volte sembrare come l’attacco di Don Chisciotte ai mulini a vento: inutile, fuorviante e anche un po’ folle. Ma è innegabile che sia un segnale. Il segnale di una coscienza collettiva in trasformazione, il voler partire dal piccolo per influenzare il grande, il voler fare la propria parte. E allora, da dove si comincia?

Fare (bene) la raccolta differenziata

Il primo passo è studiare coscienziosamente i propri rifiuti e assicurarsi che vadano a finire nel giusto contenitore e nelle giuste condizioni. Per esempio, sapevi che le bottiglie di plastica non vanno accartocciate? Meglio appiattirle e basta, altrimenti la macchina selezionatrice potrebbe non riconoscerli e quindi non smaltirli correttamente. Sul sito del tuo Comune o dei gestori del servizio di raccolta sono elencate tutte le classificazioni della raccolta differenziata, che aiutano a sapere dove buttare cosa.

Le statistiche globali sono, ancora una volta, spaventose. Solo il 9% dei rifiuti di plastica viene riciclato. Un altro 19% viene incenerito, il 50% finisce in discarica e il 22% sfugge ai sistemi di gestione dei rifiuti e finisce in discariche incontrollate, bruciato in fosse aperte o sotterrato in ambienti terrestri o acquatici. L’Italia, fortunatamente, presenta dati più rincuoranti: recupera l’80,6% dei rifiuti da imballaggio e avvia a riciclo quasi il 70% dei rifiuti di plastica. Aiutiamo il sistema già funzionante e facciamo la nostra parte.

Azzerare ogni traccia di plastica monouso

I divieti e le tasse sulla plastica monouso esistono in oltre 120 Paesi nel mondo, ma non sono sufficienti. La maggior parte delle normative si limita ad articoli come i sacchetti di plastica, che costituiscono una minima parte dei rifiuti. Le tasse sulle discariche e sugli inceneritori che incentivano il riciclaggio esistono solo in una minoranza di Paesi. Ma intanto che si aspetta l’intervento normativo, si può iniziare dalle piccole abitudini quotidiane.

No borse della spesa monouso, sì alle borse riutilizzabili di stoffa da portare con sé ovunque si va. Addio alle bottiglie di plastica per acqua e bibite, e se pensavi che ormai chiunque possieda una borraccia termica considera che l’Italia è il Paese europeo con il più alto consumo pro capite di acqua in bottiglia. Niente capsule per il caffé non riciclabili, da sostituire con capsule riutilizzabili che si riempiono con il caffè e poi si lavano. E rinunciamo una volta per tutte a piatti, posate e bicchieri monouso, tra i principali rifiuti che inquinano le nostre spiagge.

Riparare e riciclare prima di sostituire

Non tutta la plastica può essere eliminata, ma il miglior rifiuto di plastica è quello non prodotto. Dai tappi di plastica possono essere creati dei timbri per bambini o magneti per frigoriferi, le cassette di plastica possono trasformarsi in scaffali o organizer per dispense, le bottiglie di plastica diventano ottimi vasi per propagare le piante, e chi più ne ha più ne metta.

Dare nuova vita a oggetti che altrimenti finirebbero tra i rifiuti: una scelta particolarmente rilevante se si considera che la maggior parte delle plastiche in uso oggi sono vergini, o primarie, ricavate dal petrolio grezzo o dal gas. La produzione globale di plastiche riciclate (o secondarie) è più che quadruplicata, passando da 6,8 milioni di tonnellate nel 2000 a 29,1 milioni di tonnellate nel 2019, ma rappresenta ancora solo il 6% della produzione totale di plastiche.

Sostituire i prodotti di maggiore uso con alternative plastic-free

Cibo sfuso, come cereali, frutta secca, pasta e riso, è ormai disponibile in molti negozi, come «Negozio Leggero», di cui vi abbiamo parlato tempo fa, e lo si può mettere in contenitori portati d casa. Anche i detersivi possono essere acquistati sfusi, o, per i più temerari, prodotti in casa con aceto, limone e bicarbonato. Frutta e verdura da produttori locali o al mercato, con il vantaggio non solo di ridurre gli imballaggi ma anche di trovare prodotti di stagione e a km 0. Prodotti per la cura e il benessere della persona in forma solida, senza imballaggio in plastica: shampoo, balsamo, bagnodoccia e perfino dentifricio. Per non parlare dello spazzolino in bambù (ma attenzione che non abbia componenti in plastica!) e del filo interdentale biodegradabile.

Per conservare il cibo le alternative sono tantissime, dai contenitori in vetro ai teli cerati al posto della pellicola. Mestoli, taglieri, ciotole, coperchi e scolapasta sono tutti oggetti d’uso comune che esistono anche non di plastica (ma è sempre meglio tenere ciò che si possiede piuttosto che sostituirlo creando rifiuti). Nell’abbigliamento, attenzione alle microplastiche: i tessuti sintetici rilasciano microfibre di plastica durante il lavaggio.

E dove il plastic-free non è disponibile al 100%, subentrano alternative a ridotto impatto ambientale: prodotti concentrati, con meno del 90% di acqua; imballaggi limitati, riciclati e riciclabili; prodotti multi pack con numero ridotto di imballaggi; vuoti a rendere e ricariche.

Insomma, le vie del plastic-free sono infinite. Ce n’è per tutti i gusti. Ed è meglio fare tanti piccoli passi nella giusta direzione che non muoversi per niente.

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