93FE310D-CB37-4670-9E7A-E60EDBE81DAD Created with sketchtool.
< Home

Gita fuori porta nella Lodi di Paolo Gorini

Articolo. Un breve itinerario in città sulle orme dello scienziato che ha fermato il tempo, alla scoperta della sua «Collezione Anatomica»

Lettura 5 min.

Un sole opaco e invernale illumina gli edifici colorati che delimitano piazza Vittoria. Le campane del Duomo rintoccano mentre i fedeli si disperdono, infreddoliti, diretti verso il pranzo della domenica. Per gli abitanti di Lodi è forse una domenica come tante ma per me, che la visito oggi per la prima volta, tutto ha quella vaga atmosfera di vacanza che accompagna l’arrivo in una nuova città.

Oggi sono a Lodi per un motivo ben preciso: voglio visitare la «Collezione Anatomica» di Paolo Gorini, matematico e scienziato italiano, morto proprio a Lodi nel 1881, noto soprattutto come preparatore di cadaveri e parti anatomiche secondo un procedimento segreto da lui stesso inventato e sperimentato. La sua è una collezione che mi incuriosisce fin da quando l’ho scoperta in un libro.

Qualche tempo fa ho conosciuto delle persone originarie di Lodi e a detta loro il centro cittadino non era «nulla di speciale». Il percorso che mi porta fin lì, però, mi sta mostrando una città davvero sorprendente. Questo conferma una consapevolezza che mi porto dentro già da un po’: per vedere la bellezza a volte serve togliersi gli occhiali dell’abitudine e posare uno sguardo più libero e pulito su ciò che vediamo ogni giorno.

Attraversando le vie di Lodi sbircio nelle chiese di San Lorenzo e San Rocco, che custodiscono ricche opere d’arte tutte da scoprire, ma mi emoziono davvero all’ingresso del Tempio dell’Incoronata. Scommetto che anche Paolo Gorini almeno una volta nella vita è entrato a curiosare ed è rimasto come me senza parole, con lo sguardo rivolto a lungo verso l’alto per scrutare ogni dettaglio fino ad avere male al collo. In un tripudio di blu e oro, tra affreschi in movimento e busti che guardano severi verso il basso, questo luogo edificato nel Cinquecento dove in origine sorgeva una casa chiusa riesce a procurarmi quel senso di meraviglia e smarrimento che deriva dal mix potentissimo tra misticismo e arte.

Per visitare la «Collezione Anatomica Gorini» devo dirigermi verso gli edifici dell’Ospedale Vecchio e mentre lo raggiungo mi chiedo come fosse la città che attraversava il giovane scienziato, giunto a Lodi nel 1834 per insegnare Scienze Naturali e Fisica al Liceo Comunale. Mi dispiaccio un po’ del fatto che si sia perso tutte le meravigliose facciate liberty dei primi del Novecento che io posso ammirare passeggiando per il centro storico, come quella davvero esagerata della Casa degli Angeli. E mi chiedo anche come fosse il Broletto quando Gorini passava di qui, con la loggia neoclassica già nelle forme attuali ma senza la fonte battesimale del Duomo trasformata in vasca dei pesci rossi, che dagli anni Cinquanta campeggia proprio nel mezzo del cortile.

In piazza Ospitale mi fermo ad osservare l’edificio dell’Ospedale Vecchio che, insieme alla facciata di mattoni rossi e alle bifore affacciate sul cielo della chiesa di San Francesco, chiude l’angolo della piazza. Forse anche Gorini si è fermato qui nel mezzo qualche volta, a guardare l’ampio spazio di cielo che si apre sopra la piazza colorarsi al tramonto, dopo aver lavorato tutto il giorno nel piccolo laboratorio che aveva allestito nella chiesa sconsacrata di San Nicolò, che ora non esiste più.

E se invece Paolo Gorini andava di fretta, ora la sua statua ha tutto il tempo del mondo. Con le braccia conserte e la schiena un po’ curva in avanti, sembra scrutare la facciata giallo pallido dell’Ospedale Vecchio.

La «Collezione Anatomica», meta finale della mia gita a Lodi, si trova poco più avanti, e per raggiungerla costeggio l’edificio fino all’elegante e austero ingresso del Museo, che si affaccia sul Chiostro della Farmacia: è qui, nella Sala Capitolare dell’Ospedale Vecchio di Lodi, che faccio finalmente conoscenza con il misterioso e controverso personaggio che è Paolo Gorini. E che scopro essere molto più umano di quanto immaginassi.

Da una manciata di immagini viste in rete sulla «Collezione Anatomica», creata nel 1981 e poi riallestita in veste più moderna nel 2010, l’idea molto superficiale che mi ero fatta di Gorini era quella di una sorta di “scienziato pazzo” con un gusto vagamente inquietante per il macabro.

Mi sbagliavo di grosso e me ne rendo conto ben presto. Scopro infatti che il giovane Paolo, nato nel 1813, si trova a soli 12 anni a gestire il lutto per la morte del padre, e che ciò lo rende particolarmente sensibile al tema della morte. Scopro che i primi grandi interessi di Gorini sono stati i misteri della geologia e della vulcanologia, e che era un fervente patriota negli anni del Risorgimento, vicino agli ambienti della Massoneria nel periodo del tumultuoso 1848.

Mi rendo anche conto di non avere fatto i conti con il contesto culturale della sua epoca e con le correnti positiviste, che contemplavano con interesse i lati più materialisti della scienza medica e biologica. Quel filone scientifico insomma che si dedicava alla ricerca quasi febbrile di una spiegazione a tutti i fenomeni della natura, soprattutto a quelli invisibili come i misteri della vita e della morte, e addirittura cercava di riprodurli, come nel caso lampante del nostro studioso.

C’è da dire che tutti questi aspetti passano facilmente in secondo piano quando si inizia ad affrontare l’argomento della pietrificazione dei corpi, ovvero ciò che ha reso Gorini un personaggio fuori dagli schemi, quasi stregonesco, allontanandolo dalla semplice figura di studioso e uomo di scienza che cerca una risposta ai suoi numerosi interrogativi in un’epoca dove gli interrogativi non sono certo insignificanti.

I suoi concittadini lo avevano soprannominato «il mago di Lodi» ed è questo il motivo per cui conosciamo Gorini principalmente per la sua «Collezione Anatomica» e per essere l’autore della conservazione della salma di Mazzini, tralasciando altri aspetti della sua vita professionale.

Con questi pensieri accedo al museo che oggi ospita la «Collezione», composto da un piccolo ingresso e da un’unica sala con un soffitto riccamente affrescato da Giulio Ferrari a fine Cinquecento, che però credo si faccia fatica a notare, visto il contenuto ipnotico delle teche sottostanti.

Devo ammettere che l’impatto è forte ed è difficile soffermarsi sui dettagli senza il distacco “scientifico” che personalmente non sono riuscita a mantenere, al contrario di altri visitatori professionalmente più affini a questo genere di argomenti. Gorini infatti aveva perfezionato la tecnica della pietrificazione dei corpi, che consisteva nella sostituzione dei liquidi organici responsabili della decomposizione delle salme con delle preparazioni saline, a lungo rimaste segrete, che permettono di mineralizzare i tessuti e mantenerli nel tempo. La Collezione comprende oggi alcuni piccoli animali, arti e organi umani, parti di corpi spesso deformi o interessati da patologie e addirittura corpi umani interi conservati molto bene con questa tecnica.

Non bisogna però cadere nell’errore di considerare la «Collezione Anatomica» un luogo sostanzialmente macabro, e nell’andare oltre a questa percezione la curatrice del museo mi è stata davvero preziosa. Sicuramente appassionata alla questione, racconta di Gorini quasi come fosse un parente lontano, con una sorta di tenerezza malinconica. Scopro così che il perché di questi esperimenti è tutto da ricondurre all’entusiasta ricerca scientifica dello studioso, in particolare legata a deformità e malattie.

Gorini inoltre ebbe sempre un rapporto con la morte molto particolare, intimo e profondamente rispettoso. I corpi su cui lo scienziato conduceva le sue ricerche erano quelli che tristemente in ospedale nessun parente reclamava. Si trattava di persone che si spegnevano in solitudine, spesso malate, a volte anche bambini orfani con gravi patologie: a ciascuno di loro Gorini conferiva una nuova dignità anche dopo la morte, componendoli con tutta la cura e la delicatezza possibile, con quell’affetto che altrimenti non avrebbero potuto ricevere. Mi piace pensare che persone che probabilmente durante la vita terrena hanno vissuto il proprio corpo come un limite per via di patologie o deformità abbiano potuto trovare in qualche modo un conforto e si siano potute riscattare dopo la morte grazie alla cura di Paolo Gorini nei confronti della loro salma.

Sulla «Collezione Anatomica» e sul suo creatore c’è ancora molto da raccontare, ma l’invito è quello di andare a scoprire questa storia di persona. Se osservare dei preparati anatomici non è il vostro modo preferito di passare una domenica pomeriggio, sappiate che per approfondire la storia di Gorini e dei suoi studi è sufficiente soffermarsi sui pannelli esplicativi dell’ingresso del museo e fare qualche domanda alla preparatissima curatrice, senza affacciarsi necessariamente sulle teche della Sala Capitolare.

Esco dal museo che è già buio, e riesco ben presto a sostituire le immagini delle preparazioni di Gorini che mi sfilano davanti agli occhi con quelle degli affreschi medievali che ammiro all’interno della Chiesa di San Francesco. Ora che è calato il sole, le strade del centro storico si fanno via via più silenziose, pronte a immergersi nella quiete della domenica sera.

Lascio Lodi contenta di aver scoperto un altro pezzettino di mondo così vicino eppure così sconosciuto fino a poco prima. Sono contenta anche di aver ascoltato la storia di Paolo Gorini, lo scienziato che ha saputo ingannare il tempo che scorre con la pietrificazione, e che dopo tanto parlarne mi sembra quasi una vecchia, lontana conoscenza. Lo immagino come un anziano e colto signore, con le sue fisse all’apparenza strambe, ma che nonostante il suo mestiere e la sua mente analitica continua a commuoversi di fronte alla morte.

(Tutte le foto sono di Lisa Egman)

Approfondimenti