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In Val Parina alla ricerca della «Goggia» perduta (parte 1)

Racconto. Un’escursione ad anello ci consente di scoprire il cuore della valle, una delle due aree wilderness della Lombardia in cui la presenza umana è limitata o addirittura assente

Lettura 7 min.

Da tempo immemorabile avevo il desiderio di andare alla scoperta della Val Parina, un’area selvaggia che, nel mio immaginario, ispirava un senso di avventura e mistero. Ricordo ancora i moniti di mio padre: «È impervia, insidiosa e piena di vipere!». Ancor oggi per molti rimane una valle brutta e inospitale, ma la maggior parte di chi lo dice in Val Parina non ci è mai stato…ecco un motivo in più per andarci! Pochi giorni orsono si è presentata l’opportunità grazie alla disponibilità dell’amico Giovanni che, in diverse occasioni, ha percorso la valle. La Val Parina, solcata dall’omonimo torrente, raccoglie le acque della conca di Oltre il Colle e delle sue montagne (Arera, Menna, Grem e Alben) per defluirle, attraverso un lungo e tortuoso percorso, nel fiume Brembo all’inizio dei Piani di Scalvino (Lenna). L’origine del nome Parina è piuttosto incerta e l’ipotesi più verosimile si rifà al termine di radice indoeuropea para, fiume, dove il diminutivo è da intendersi in contrapposizione alle copiose acque del Brembo.

La località in cui il torrente Parina tributa le acque al Brembo si chiama la «Goggia» (in bergamasco gogia, ago). Questo era un varco obbligato, stretto e reso insidioso dalle frequenti piene del Brembo, unico passaggio viario per raggiungere l’alta valle Brembana. La «Goggia» rappresentava quindi una sorta di confine fisico e culturale tra la Valle Brembana inferiore e quella superiore, al punto che già nel 1333 nei documenti ufficiali, compariva la dicitura «Oltre la Goggia» per identificare i territori dell’alta Valle Brembana che erano amministrati con statuti autonomi. Una bella cartina del territorio bergamasco dipinta dal cartografo veneto Cristoforo Sorte nel XVI secolo rappresenta, in modo inequivocabile, una guglia rocciosa sul lato orografico destro della valle Brembana in corrispondenza della confluenza del torrente Parina, con la dicitura «LA GUCHIA». Giovanni da Lezze, nel 1596, percorrendo la «strada nova», cioè la Via Priula, affermava: «Valle Brembana Oltre la Gucchia principia caminando in su oltra il colle comun dil Cornello del Vicariato di Serinalta nel loco ove è una corna detta la Gocchia e per spacio di XIII milia di lunghezza finisse al confin della Valle Averara…».

Incuriosito da tutto ciò ho iniziato a documentarmi e a chiedere a gente del luogo e ad appassionati di storia locale dove si trovasse effettivamente questa mitica guglia. Ho riscontrato pareri piuttosto discordanti: molti la identificano con una guglia che appare addentrandosi per quasi un chilometro in Val Parina, in alto sulla sponda orografica sinistra. Questa guglia ha la particolarità di avere, nella porzione alta, un foro naturale tale da farla assomigliare alla cruna di un ago. La suggestione è indubbiamente forte, ma fatico ad identificarla con la «Goggia» anche perché dal fondovalle brembano, punto in cui transitavano le vie di accesso all’alta valle, non è visibile.

C’è invece chi sostiene che sia una guglia che si nota in prossimità del bar Baracca (nel tratto compreso tra le due gallerie della statale prima dei Piani di Scalvino) alzando lo sguardo in direzione Nord verso le cave di marmo soprastanti. Questa ipotesi concorderebbe con la mappa disegnata da Cristoforo Sorte nel 1500. Mi sono appositamente recato in zona cercando di individuare tale guglia ed effettivamente ce n’è una ma, a mio modesto parere, pare poco significativa da renderla un punto di riferimento geografico e storico così importante, soprattutto quando la si osserva dal fondovalle. C’è anche chi sostiene che trattandosi di un territorio in cui sono presenti numerosi pinnacoli rocciosi la zona sia stata chiamata «Goggia» in modo generalizzato. Anche in questo caso giunge legittima una domanda: perché la zona non è stata chiamata al plurale «le Gogge»? Non soddisfatto mi sono incamminato a piedi da Orbrembo verso i Piani di Scalvino immedesimandomi nel viandante di un tempo e scrutando attentamente il territorio alla ricerca di qualche indizio. Ebbene, quando si giunge in prossimità della confluenza del torrente Parina nel Brembo si nota, sul lato opposto della valle, una guglia ergersi dal greto del fiume, il cui culmine è corrispondenza di quella che chiamano «Bocca di Parina». Tale pinnacolo è anche nella medesima posizione in cui è riportata sulle vecchie cartine «IGM 1:25000». Non potrebbe essere questa la «Goggia»? Vero è che se la si osserva provenendo dai Piani di Scalvino tale guglia risulta poco evidente…mi arrendo e lascio agli esperti la soluzione del dilemma!

Torniamo a noi e dedichiamoci all’escursione. La maggior parte degli appassionati preferisce percorrere in discesa i 14 chilometri del sentiero che solca la Val Parina, con partenza da Zorzone e arrivo ai Piani di Scalvino. Tale scelta comporta il disagio di prevedere due mezzi di trasporto, uno alla partenza e l’altro all’arrivo. Esploreremo invece la Val Parina con un’escursione ad anello, percorrendo circa metà vallata per poi salire al Passo Ortighera e scendere a Lenna. Per comodità narrativa ho pensato di dividere l’escursione in due parti, ciascuna con caratteristiche naturalistiche differenti. La prima segue il corso del torrente per un lungo tratto pianeggiante fino a quando il sentiero inizia a risalire con decisione il pendio. La seconda andrà ad esplorare la magnifica zona del Monte Ortighera, regno degli animali selvatici: aquila, orso e lupo oltre che da cervi, caprioli e camosci.

Il punto di partenza è il ponte delle Capre a Scalvino (480m), un elegante manufatto della fine del XVII secolo. La disastrosa alluvione del 1987 distrusse l’arcata più piccola lasciando fortunatamente intatta quella principale ma l’opera di restauro non ha mantenuto fede alla struttura originale e la parte divelta è stata sostituita con una passerella di cemento assai discutibile.

Valichiamo il ponte e ci immettiamo sulla ciclabile della Valle Brembana in direzione Sud. Oltrepassiamo l’agriturismo Ferdy di primo mattino mentre nell’aria regna ancora un meraviglioso silenzio, soavemente accompagnato dal lento fluire delle acque del Brembo. Imbocchiamo il sentiero CAI 259 che corre a ridosso del fiume appena più in alto. Si attraversa un boschetto in cui la presenza di pozze d’acqua affiorante regala riflessi e colori particolarmente suggestivi. Oltrepassato un campetto da motocross, il sentiero abbandona l’alveo del fiume e sale brevemente per guadagnare la «Bocca di Parina» (480m). (NB: non lasciarsi distrarre dalle piste delle moto ma prestare attenzione ai segnavia). Un cartello metallico ci dice che stiamo entrando in Val Parina, «area wilderness ».

Cos’è un’area wilderness? È un’area naturale protetta in cui la presenza umana è limitata o addirittura assente, permettendo alla natura di evolvere liberamente. Le aree wilderness sono importanti per la conservazione della biodiversità, la protezione degli ecosistemi e la promozione della conoscenza e dell’apprezzamento della natura. In Lombardia esistono solo due aree wilderness: la Val Parina e la Val Vesta, nell’entroterra del Garda bresciano.

Prima di addentrarci nella valle è opportuno fare una considerazione in merito alla storia di questa zona: fino alla fine degli anni ’60 l’opera dell’uomo ha avuto un forte impatto sulla vallata. Siamo in un territorio caratterizzato da un importante sfruttamento minerario: per secoli, e in qualche caso millenni, i pendii dei Monti Ortighera, Arera, Menna e Vaccareggio hanno visto l’estrazione di blenda e galena (da cui si ricavavano rispettivamente zinco e piombo). Anche la Val Parina non è stata da meno: dapprima le miniere e successivamente le cave di marmo (il magnifico arabescato orobico). Inoltre tra gli anni ’20 e ’60 del secolo scorso la valle ha subito uno sfrenato sfruttamento del patrimonio boschivo. Infatti, sul finire della Prima Guerra Mondiale, la grande richiesta di legna da ardere, connessa all’attività estrattiva e al fabbisogno di combustibile per i forni, aveva determinato un radicale impoverimento dei boschi della Valle Brembana. Rimanevano da sfruttare solo le aree più impervie e poco accessibili. Tra queste la grande foresta di faggio e carpino della Val Parina. Il problema consisteva nel trasportare la legna dalle pendici meridionali dei Monti Campo, Valbona e Ortighera fino alla strada del fondovalle brembano.

Con grande intraprendenza venne progettata e realizzata la strada della Val Parina, un percorso con i binari su cui far muovere i vagoncini per il trasporto del materiale. Inizialmente i piccoli convogli erano trainati da muli e successivamente da una locomotiva. Il sedime ferroviario andava dalla confluenza con il Brembo per circa tre chilometri all’interno della valle. Tutte le opere viarie vennero realizzate a mano con grande perizia: gallerie, ponti e muri di sostegno, indispensabili per mantenere costante la pendenza e garantire una discesa sicura e agevole ai vagoncini del treno. Giunta sul Brembo, la legna veniva sospesa a una fune per scavalcare il fiume (sostituita negli anni ’50 da un ponte sul fiume) e, arrivata sulla strada del fondovalle, veniva caricata sui carri trainati da cavalli alla volta di Milano e dei porti fluviali della pianura padana. A partire dagli anni ’50 iniziò pure lo sfruttamento delle cave di marmo così questo trenino venne utilizzato anche per il trasporto del materiale lapideo. La forza lavoro occupata stabilmente era composta da una ventina di boscaioli, ai quali si aggiungevano per lunghi periodi decine di stagionali. Intorno agli anni ‘40 lavoravano in Val Parina circa 300 operai. Nei primi anni Sessanta terminarono sia il commercio della legna che l’attività estrattiva. Da allora la presenza dell’uomo in Val Parina è andata via via scomparendo. Oggi solo qualche intraprendente escursionista si avventura nella valle.

È proprio lungo questa “ferrovia” che si sviluppa il primo tratto del sentiero CAI 259. La vegetazione tende a invadere il tracciato: fortunatamente il sentiero è oggetto della scrupolosa manutenzione della sezione CAI di Oltre il Colle. È molto suggestivo procedere lungo questo sentiero: si cammina a sbalzo sul torrente attraverso piccole gallerie, muretti a secco, binari e manufatti di carico del materiale estratto dalle cave. Sotto di noi l’acqua scorre copiosa, a volte irruenta, creando vortici e cascatelle, a volte placida, formando meravigliose e invitanti pozze d’acqua cristallina. In alcuni tratti l’alveo si muove sinuoso racchiuso tra rocce verticali creando dei piccoli canyon. D’inverno e nei periodi di secca è molto affascinante camminare lungo il greto del torrente per osservare da vicino i fenomeni di erosione creati dall’acqua in milioni di anni. Il sentiero corre piuttosto ampio ma presenta alcuni tratti leggermente esposti, quasi sempre attrezzati con catene.

I binari in molti punti risultano divelti o danneggiati: sono gli effetti della piena dell’agosto 1974, quando anche i ponti furono distrutti e successivamente ricostruiti di ferro. È rimasto intatto un ponte in muratura a doppio arco su cui è piacevole fermarsi a osservare il corso del torrente. Dopo circa venti minuti di cammino dalla «Bocca di Parina», volgendosi all’indietro, si può scorgere la famosa guglia con il buco, citata poc’anzi. D’estate si scorge a fatica tra le fronde degli alberi ma d’inverno si intravede totalmente regalando grande suggestione e curiosità. Il signor Mario di Lenna, profondo conoscitore e appassionato della Val Parina, fino a vent’anni fa si inerpicava per il pendio sino al buco per ripulire la cruna dagli arbusti e dalla vegetazione. Speriamo che qualche volontario continui l’opera di Mario altrimenti tra poco della cruna resterà solo il ricordo.

Dopo circa tre chilometri pianeggianti il tracciato della ferrovia si interrompe e il sentiero inizia a guadagnare quota sul lato orografico destro della valle. Il tratto più affascinante e intrigante della Val Parina finisce qui. Da ora in poi il torrente non si vede più e il bosco diventa protagonista assoluto. Mi sento di consigliare a chi non è molto allenato ma desideroso di conoscere la valle di fare dietrofront e tornare sui propri passi.

P.S. questo primo tratto di sola andata è lungo 7 chilometri con circa 200m di dislivello positivo: calcolare un paio d’ore (soste comprese).

Il racconto continua la prossima settimana.
Tutte le foto sono di Camillo Fumagalli, ad eccezione di dove diversamente indicato