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Oltre la strada Taverna, danzando sul confine tra val Brembilla e val Brembana

Articolo. Dal campetto da calcio con il panorama più bello della bergamasca fino alla vetta del pizzo Cerro, da cui nelle giornate terse si vedono pure gli Appennini. Un itinerario tra contrade storiche, roccoli e boschetti delle fate

Lettura 6 min.
Il rifugio Lupi di Brembilla

Mi piace mantenere le promesse. Circa un annetto fa camminammo lungo la strada Taverna, lasciandoci proprio con la promessa di un percorso ad anello nei dintorni di S. Antonio Abbandonato (987m). È così che oggi torniamo in questa località per seguire un itinerario ad ampio respiro che ruota intorno alla parte più alta della strada Taverna. Danzeremo sulla linea di confine tra val Brembilla e val Brembana, toccando le contrade che verso la fine del ‘300 furono teatro di cruenti scontri tra guelfi zognesi e ghibellini brembillesi.

Potremmo iniziare con la visita della chiesa parrocchiale per ammirare le interessanti opere artistiche tra cui la pregevole tela di Carlo Ceresa (1630), invece oggi preferisco guidare i compagni di avventura dietro la chiesa dove si trova il campetto da calcio con il panorama più bello della bergamasca: ho sempre sognato una partita con gli amici su questo terreno. Ogni traiettoria del pallone è collegata all’ambiente circostante: il corner proviene dal Canto Alto, la puntata si dirige dritta verso il pizzo Cerro, la rimessa laterale sbuca dalla Corna Marcia e per segnare il rigore bisogna mirare il Brembo che corre veloce verso la pianura. Il tutto prestando la massima attenzione ai rimpalli perché c’è il rischio che la sfera finisca giù fino ai ponti di Sedrina!

Imbocchiamo il sentiero che conduce al monte Zucco. Lo seguiamo per pochi minuti fino alla contrada Prisa bassa, un nucleo di case dal sapore antico. Appena superata l’ultima casa suggerisco una prima deviazione: abbandoniamo il trafficatissimo sentiero principale per seguire, sulla sinistra, la variante alta. Procediamo un paio di minuti e, poco prima di una evidente valletta, prendiamo un sentiero sulla sinistra che si alza con un breve zig zag fino a sbucare su una sella prativa. Alla nostra sinistra, poco più in alto, appare un bellissimo roccolo, curato con passione e ordine. Lo aggiriamo risalendo il prato per guadagnare la magnifica conca della Prisa Alta (11390m), una perfetta simbiosi di radure e boschetti di faggio.

Sul pendio opposto fa bella mostra di sé un altro roccolo. A custodia del luogo è un casolare sapientemente ristrutturato. Sull’ingresso una targa riporta l’estratto di un’istanza, datata 1° marzo 1479, del notaio Alessandrino Sonzogno fu Teutaldo di Zogno per la proprietà di 60 pertiche bergamasche in località Foppa Archudeni ad Cornum Archus (la Corna dell’Arco, il monte soprastante). Non saprei dire perché sulle cartine tale località sia riportata come Prisa Alta e non Foppa dell’Arco ma poco importa. Luca, Cristina e Giovanni, che queste zone hanno battuto parecchie volte, rimangono stupiti dall’amenità del luogo, così vicino ai sentieri più frequentati, ma così nascosto. Nel frattempo, scorgo Dani che con leggiadria si diletta in una dondolata sull’altalena penzolante dal ramo di un faggio secolare.

Torniamo sui nostri passi a riprendere il sentiero (la variante alta) che seguiamo in direzione del monte Zucco. Dopo aver costeggiato casolari e pascoli abbondantemente concimati ci ricongiungiamo con il sentiero principale. Il sottobosco è tutto un mosaico colorato dal bianco dei bucaneve, dal giallo delle primule e dal blu dell’erba trinità. Ci si addentra in un tratto di sentiero che richiama il mondo fantastico delle fate e degli gnomi: si serpeggia attraverso un fitto bosco di conifere con bizzarre formazioni di roccia ricoperte di muschio. È il luogo ideale per giocare a nascondino, peccato che il percorso sia blindato da un esplicito recinto.

Sbuchiamo nella conca che ospita il rifugio Zucco del G.E.S.P. (1150m), luogo ideale per abbandonarsi al relax estivo sdraiati nei prati all’ombra di magnifici faggi. Considerata la particolare limpidezza della giornata suggerisco una capatina alla cima del monte Zucco. Il sentiero prosegue, sempre con percorso blindato, attraverso pascoli e cascine vissute solo nei mesi estivi ed autunnali. In meno di mezzora siamo in vetta allo Zucco (1232m), montagna simbolo dei sanpellegrinesi. Dall’immensa croce si gode di un panorama mozzafiato sul paese e sulle Orobie brembane.

Torniamo indietro fino al rifugio e poco oltre, attraverso il boschetto delle fate, fino ad un bivio dove un cartello metallico indica la via per Catremerio e Sussia. Questa è la nostra nuova direzione. Procediamo immersi nel bosco, guidati dai numerosi bolli gialli. Dopo aver lambito alcune baite ormai abbandonate si costeggia il fianco settentrionale dello Zuccone dell’Arco e, successivamente, il bordo meridionale della Corna dell’Arco in un ambiente decisamente selvaggio. Non è raro incontrare qualche esemplare di camoscio pronto a fuggire per nascondersi negli scoscesi versanti brembani di questi monti. Il sentiero procede sempre docile e ben segnalato snodandosi lungo il crinale. Dopo aver toccato alcuni capanni di caccia ripiega nuovamente sul versante in ombra.

Superata la contrada brembana di Forcella si raggiunge il passo del Crosnello (1094m), storico valico attraverso cui la strada Taverna scollinava in valle Brembana per terminare il suo tragitto presso la località Sussia. Non passa inosservata la bella santella del Viandante, costruita per offrire un comodo riparo al viaggiatore d’altri tempi. Al suo interno ospita un interessante affresco mariano.

Il prato che degrada verso la sottostante frazione Crosnello evidenzia un’insolita conformazione a imbuto del pendio: le acque, così rare in questa zona, defluiscono verso il punto centrale per entrare nella montagna attraverso un buco e scomparire inesorabilmente, collegandosi al sistema di grotte della Laca del Roccolino.

Il nostro obiettivo diviene ora il pizzo Cerro. Al passo del Crosnello, anziché seguire le indicazioni sentieristiche per il pizzo, suggerisco di mantenersi sul crinale lungo il sentiero dei roccoli. Tale percorso non è indicato né bollato ma è abbastanza evidente poiché segue integralmente la dorsale. Ne sconsiglio la percorrenza durante la stagione venatoria. In rapida successione si raggiungono quattro roccoli (Ol Rocol de la Tribulina, Ol Ruculì, Ol Ruculù, Ol Rocol di Spadì) alcuni ancora attivi, uno più bello dell’altro. Attraversiamo un suggestivo viale di piante abilmente modellate per accogliere le reti per l’uccellagione. Il sentiero termina nei prati del Rocol di Spadì dove, dopo aver scavalcato una recinzione bassa, ci immettiamo sul sentiero CAI n° 595.

Una decina di minuti di ascesa e siamo nei pressi del rifugio Lupi di Brembilla, in posizione assolata poco sotto la vetta del Pizzo Cerro (1285 m) sulla quale sorge una cappelletta. Nei fine settimana ho sempre trovato il rifugio aperto e brulicante di gente. Dalla vetta si può ammirare un ampio panorama la cui interpretazione è facilitata da un pannello illustrativo e da alcuni “mirini” orientati verso le cime più note. In questa giornata particolarmente tersa, invece, sono gli Appennini ad attirare maggiormente la nostra attenzione.

La discesa verso Catremerio normalmente avviene a ritroso per il sentiero 595, ma quest’oggi mi sento ispirato dalle varianti. Così optiamo per la discesa lungo il crinale sud del pizzo Cerro, percorso decisamente più spettacolare ed assolato. Si imbocca poco sotto la cappelletta dirigendosi verso la dorsale che si percorre integralmente con lo sguardo sempre rivolto alla pianura. Non è un sentiero segnato ma risulta ben tracciato. Dopo aver costeggiato un paio di capanni di caccia si giunge ad un incrocio nei pressi di una piccola sella. Scendiamo a sinistra rientrando nel bosco. Il tracciato procede quasi in piano, attraversa una valletta e si ricongiunge al sentiero CAI n° 595, che seguiamo fino alla contrada Catremerio di qua.

Le luci del tramonto fanno risplendere le facciate delle abitazioni del borgo. Ci concediamo una passeggiata tra le vie. Si alternano antiche dimore, alcune pericolanti e altre ben ristrutturate e abitate. Nei pressi di una di queste incontriamo Domenico e Martino, fratelli cresciuti quassù e tuttora residenti. Ci intratteniamo in loro compagnia. È Domenico che racconta: «qui una volta erano tutti terreni coltivati. Si producevano mais, grano e patate in gran quantità, tanto che qui sotto esisteva un molino. Oggi nella valletta che alimentava il molino non scorre più l’acqua e il bosco, poco alla volta, sta invadendo i terreni che un tempo erano coltivati».

Dopo un iniziale atteggiamento timoroso, ora le parole corrono sempre più sciolte: «il roccolo sopra Crosnello era di mio nonno. Una volta la rete copriva l’intero percorso dal passo fino al Rocol di Spadì (oltre mezzo chilometro di reti!). Ogni mattina scendeva a Brembilla o a San Pellegrino a vendere gli uccelli appena catturati. Allora si viveva bene!». Ribatte Martino: «oggi per lavorare bisogna scendere a valle. Siamo rimasti solo in quaranta, non c’è una bottega e per ogni necessità dobbiamo prendere l’auto». Accanto a noi gioca con la sabbia e dei cucchiai il figlioletto. Prosegue Martino: «Siamo preoccupati perché il prossimo anno il comune probabilmente sospenderà il servizio di scuolabus. Tutto diventa complicato. Pensi che per spargere il letame sui prati bisogna rispettare certi giorni altrimenti rischi la multa!» Mentre parliamo, i cani, fino a quel momento assorti in un placido relax, improvvisamente si risvegliano e abbaiano rincorrendo un mulo carico di materiale e guidato dal padrone verso una cascina soprastante dove non arriva la strada. Una scena d’altri tempi!

All’atto di congedarci Domenico, con nostra grande sorpresa, si rivolge a noi: «voi che usate i libri, venite con me» e ci guida presso l’ingresso della dimora adiacente dove, seminascosto in un sottoscala, appare un affresco. Una parte del dipinto ritrae una scena sacra, l’altra metà sembra riprodurre lo stemma di una famiglia di nobili origini. Il dipinto è piuttosto malconcio ma Giovanni, dopo un attento esame, ipotizza una datazione: «molto facilmente è un affresco anteriore al 1550!». Il viso di Domenico si illumina di orgoglio e, a conferma della qualità dei manufatti edilizi di un tempo, ci mostra la sorprendente perpendicolarità degli spigoli dei muri di pietra delle antiche abitazioni: davvero perfetti!

Salutiamo Domenico e Martino e riprendiamo il cammino verso Catremerio di là. Nemmeno i residenti hanno saputo spiegarmi quale caratteristica porti a differenziare il «borgo di qua» da quello «di là». Azzardo un’ipotesi legata alla prossimità delle due frazioni rispetto al paese capoluogo (Brembilla), percorrendo la strada maestra di un tempo. Ciò confermerebbe anche la toponomastica delle due frazioni che ora ci apprestiamo a raggiungere seguendo l’antico tracciato della strada Taverna: Castignola di qua e Castignola di là. Le raggiungiamo in breve sequenza mentre le ombre della sera avvolgono la vallata. Alcune lanterne dall’aspetto antico illuminano la via rendendo molto suggestivo il cammino attraverso le contrade.

Da Castignola di là risaliamo alla chiesa di S. Antonio Abbandonato a recuperare l’auto. La pianura ci regala lo sfavillante luccichio delle luci serali.

P.S. l’itinerario proposto (comprese le varianti) è lungo circa 13 km con 700m di dislivello positivo. Calcolare quattro ore abbondanti di cammino.

(Tutte le foto sono di Camillo Fumagalli)

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