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All’Arcadia di Stezzano i videogiochi sono protagonisti con i soulslike

Articolo. Martedì 20 maggio, l’influencer Fra in the frame terrà una conferenza su «Elden Ring Nightreign» e sui videogiochi soulslike. Cosa sono e perché hanno così successo?

Lettura 6 min.

Ieri sera, finito il lavoro, avevo voglia di distrarmi un po’. Appena arrivato a casa, ho acceso il PC, collegato il controller, avviato un gioco e… ho iniziato a prendere schiaffi a destra e a manca dai nemici. Nel giro di dieci minuti, sono finito KO almeno una ventina di volte: trafitto da una spada, scaraventato giù da un dirupo, schiacciato da un martello, pugnalato alle spalle, colpito in testa da una freccia. E non dimentichiamo quella volta in cui un nemico mi ha sputato addosso dell’olio bollente e l’altro mi ha mandato a fuoco lanciandomi una bomba ai piedi! Se bazzicate un po’ per il mondo dei videogiochi lo avrete già capito: mi stavo misurando con un soulslike .

Genere (anzi: sotto-genere, visto che si tratta di una branca di giochi di ruolo d’azione) diventato popolarissimo negli ultimi anni, i soulslike fanno della difficoltà un vanto: il giocatore non è una macchina da guerra contro cui i nemici non hanno mai scampo, ma anzi deve misurare ogni attacco, ogni parata e ogni schivata per superare anche la battaglia più semplice. Nonostante la loro difficoltà, i soulslike sono tra i videogiochi più amati dalle nuove generazioni: a dimostrarlo è il successo di titoli come «Elden Ring», «Lies of P» e «Sekiro: Shadows Die Twice», tutti capaci di vendere milioni di copie nel giro di pochi mesi. Cosa li rende così speciali? L’ho chiesto a Francesco Castiglioni, alias Fra in the Frame, creatore di contenuti e divulgatore videoludico che martedì 20 maggio porterà al cinema Arcadia di Stezzano una conferenza su «Elden Ring Nightreign», soulslike in uscita il 30 maggio su PC e console.

Che cos’è un soulslike ?

Partiamo dalle basi. Si tratta di un sotto-genere con dei capisaldi ben precisi e una lunga storia (per gli standard del medium videoludico, almeno). Storia che parte dal nome: soulslike significa letteralmente «come i Souls». Cosa sono i Souls? Si tratta della saga videoludica iniziata nel 2009 con «Demon’s Souls» e poi continuata con la serie «Dark Souls», partita nel 2011 e ormai giunta al suo terzo capitolo. «Demon’s Souls» e tutti i «Dark Souls» hanno un impianto ludico simile (cioè si giocano più o meno allo stesso modo) e sono tutti sviluppati dallo studio giapponese From Software, la cui figura di maggior richiamo è il presidente Hidetaka Miyazaki, considerato più o meno da tutti il “papà” di questo sotto-genere.

«Ridotto ai minimi termini, un soulslike è un gioco che ha appreso la lezione di stile e di gameplay di From Software», mi spiega Castiglioni, che però precisa: «Ciò non significa che solo From Software sviluppi soulslike. All’inizio era così, tant’è che accanto alla serie di “Demon’s Souls” e “Dark Souls” hanno fatto tanti altri titoli simili, come “Bloodborne” per PlayStation, “Sekiro: Shadows Die Twice” e “Elden Ring”. Ma con il tempo altri studi di sviluppo hanno preso questa formula e l’hanno fatta propria: “Lies of P” è stato creato dagli studi Neowiz e Round8, mentre “Lords of the Fallen” è di Hexworks».

Come si gioca un soulslike ?

A definire un soulslike non è dunque lo studio che lo sviluppa, bensì la sua adesione a delle categorie stilistiche e a delle meccaniche di gioco ben precise. «Le principali sono tre. La prima è un combattimento d’azione e in tempo reale, ma lento e ragionato, in cui ogni colpo può essere letale e occorre pensare con attenzione a tutte le mosse, inanellando schivate, parate e contrattacchi. La seconda è una barra della “stamina” da gestire, che indica quanta energia possiede il giocatore per correre, saltare, schivare ed eseguire gli attacchi: una volta arrivata a zero, il suo alter ego nel gioco è troppo stanco per muoversi e deve recuperare fiato, esponendosi ai nemici. La terza, nonché quella per la quale sono diventati così famosi nel tempo, è una difficoltà medio-alta: finire un souls è un’impresa non da poco», ricorda il nostro intervistato.

Ha ragione: questo tipo di videogiochi si concentra su esperienze tutto sommato condensate, con mondi tutt’altro che immensi ma curati fin nel minimo dettaglio, in cui ogni passo può essere l’ultimo e l’unico modo per avanzare è tramite errori successivi, con un approccio sperimentale agli scontri con i boss che si parano davanti al giocatore. Per questo, spesso nel mondo anglosassone si parla di trial and error: la progressione non è lineare come in un film, ma è fatta di tante, tantissime battute d’arresto. Si finisce KO, si torna al punto di salvataggio più vicino (che spesso ha le sembianze di un falò) e si ripetono gli ultimi minuti di gioco.

Che cosa rappresenta «Elden Ring» per i soulslike ?

Pubblicato nel 2022 su PC e console, «Elden Ring» è uno dei soulslike più apprezzati di sempre, per una lunga serie di motivi. Il primo è che alle redini del gioco c’era proprio Hidetaka Miyazaki con la sua From Software. Il secondo è che la trama del gioco è stata scritta nientemeno che da George R.R. Martin, l’autore delle «Cronache del Ghiaccio e del Fuoco», i romanzi che hanno ispirato l’arcinoto show televisivo «Game of Thrones». «Elden Ring» è piaciuto perché continuava la saga di «Dark Souls» in modo fresco e innovativo, cambiando il mondo di gioco ma mantenendo più o meno intatte le atmosfere da fantasy gotico dei capitoli precedenti.

A garantire il successo dell’opera – una pietra miliare del genere e dell’industria videoludica tutta – è stata la sua trama, che fa proprie due trovate decisamente interessanti. La prima è il suo focus sulla narrazione ambientale e sulla lore, diminutivo di folklore, molto spesso utilizzato per raccontare la dettagliatissima (maniacale) costruzione del mondo tipica dei soulslike : la storia non viene raccontata tramite dialoghi o intermezzi video (cutscenes per gli amici) ma attraverso le architetture, le movenze dei personaggi, l’estetica degli ambienti e dei nemici e i collezionabili da raccogliere durante l’avventura.

La seconda è la scelta di mettere al centro una lunga serie di temi e di topoi della letteratura e del mito che tutti i giocatori conoscono: Castiglione mi ha infatti spiegato che «Ciascun semidio di Elden Ring ha un tema portante. La storia di Rykard è quella di un uomo che si ribella agli dèi, ma parla anche di avidità. Radahn è un po’ il contrario: generale ligio al dovere e onorevole, viene corrotto dalla sua stessa sete di sangue. Godrick è una figura che cerca il potere ma si riduce a essere l’ombra di sé stesso. È come se Miyazaki distorcesse il concetto stesso di eroe con queste figure, e sicuramente questo piace molto ai fan». Per rendere ancora più efficace la storia del gioco, From Software e George R.R. Martin hanno inoltre preso ispirazione dai miti nordici e dalle leggende scandinave.

Si tratta di un filone narrativo di comprovato successo nel mondo dei videogiochi e nella cultura pop in generale. Gli esempi si sprecano: si va dai fumetti della Marvel, dove Thor è un supereroe e Loki un super-cattivo (e in cui troviamo anche le Valchirie, Odino, Heimdall e via dicendo), fino alla serie videoludica di «God of War» di Sony, che negli ultimi dieci anni ha raccolto enorme consenso di critica e di pubblico grazie al suo cambio di ambientazione, con il passaggio dall’antica Grecia alla mitologia norrena. Questa narrativa così stratificata e ricca di influenze, unita a una formula ludica tradizionale ma solida, ha di fatto reso «Elden Ring» il metro di paragone insuperato per tutti i soulslike che ogni anno arrivano sul mercato… e non sono pochi!

Che cos’è «Elden Ring Nightreign»?

Tutto questo ci porta al presente e, soprattutto, alla conferenza che Castiglione terrà all’Arcadia di Stezzano. Promosso come parte di un progetto europeo per attirare le nuove generazioni in sala sfruttando i videogiochi, il talk ha come tema la «strana svolta di From Software» avvenuta con «Elden Ring Nightreign». Come spiega il titolo dell’opera, si tratta di un gioco del tutto nuovo (in uscita a fine maggio) ma ambientato nell’universo già ben noto di «Elden Ring»: nel lessico videoludico, potremmo chiamarlo uno spin-off del gioco arrivato nei negozi tre anni fa. Non possiamo invece fare riferimento a «Nightreign» come a un seguito vero e proprio, perché non è in linea con la formula del predecessore: qui si punta tutto sulla componente multigiocatore cooperativa online , relegando invece l’avventura per giocatore singolo ai margini dell’esperienza.

Questa scelta – assai controversa, duramente criticata da alcuni fan – è in controtendenza rispetto a tutti i Dark Souls, a «Elden Ring» e a gran parte dei soulslike in commercio, perciò stravolge l’equilibrio tra il gioco singolo e quello con altre persone spostandolo verso il secondo elemento dell’equazione. «Per questo parlo di una “strana svolta” – continua il divulgatore videoludico – perché “Nightreign” è qualcosa di diverso da tutto ciò che quel genere ha visto finora. In origine, era un’espansione multigiocatore di “Elden Ring”. Poi gli sviluppatori si sono resi conto che non era tematicamente affine al resto del gioco, quindi hanno deciso di farne un’esperienza a parte, venduta singolarmente a prezzo più basso di un titolo completo. La conferenza parlerà di ciò che sappiamo sul progetto, sulla sua genesi, sul suo posizionamento nel mercato e sul suo valore. Ciò che è certo è che “Nightreign” dimostra che il genere soulslike ha molto da dire e continua a cambiare: il successo degli ultimi anni non gli ha dato alla testa».

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