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Dan Peterson ci regala cento storie per capire la “sua” Olimpia Milano

Intervista. Il mitico coach statunitense presenterà il suo ultimo libro «La mia Olimpia in 100 storie + 1» lunedì 9 giugno alle 18.30 alla Biblioteca dello Sport Nerio Marabini di Seriate

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Gli Stati Uniti d’America sono il grande sogno proibito di chi ama il basket. L’NBA è il campionato più invidiato al mondo, tutti vorrebbero avere un posto nella Lega dove i sogni si avverano, eppure c’è qualcuno che ha fatto il percorso inverso e ha saputo diventare una star in Italia, mettendo le radici nel Bel Paese dopo aver attraversato l’Oceano Atlantico. Quel personaggio si chiama Dan Peterson, coach per nove anni dell’Olimpia Milano che fece sognare l’Italia e non solo. Giunto in Europa nel 1973 alla guida della Virtus Bologna, l’allenatore americano ha fatto la storia alle redini della principale squadra di Milano, vincendo quattro scudetti, una Coppa dei Campioni e una Coppa Korać, ma soprattutto guidando campioni del calibro di Mike D’Antoni, Dino Meneghin e Bob McAdoo.

Storie che sono state raccolte dal coach nel libro «La mia Olimpia in 100 storie + 1», edito da Minerva Edizioni e scritto in compagnia del giornalista Umberto Zapelloni, con cui dialogherà nel corso della serata in programma lunedì 9 giugno alle 18.30 alla Biblioteca dello Sport Nerio Marabini di Seriate. «È una raccolta di profili di giocatori, persone e dirigenti, accompagnate da cento storie che hanno caratterizzato la mia esperienza – spiega Peterson – Come amo definirle io, sono note di ringraziamento e lettere d’amore verso queste persone, perché il mio lavoro non è stato semplicemente allenare, ma una prova d’amore verso tutti quanti, dai giocatori ai grandi collaboratori, dai vice allenatori ai presedenti, passando per gli sponsor. Avevo bisogno di qualcuno che mettesse assieme quest’affetto verso le persone: per questo ho scelto un grande maestro come Umberto, che ha fatto alcuni ritocchi e ha regalato un volume che è stato per cinque-sei settimane primo nelle vendite nel settore sportivo».

Scegliere quali storie aggiungere non è stato semplice, anche se coach Peterson certifica che non ha voluto dimenticare nessuno, dallo storico successo in finale scudetto contro Pesaro nel 1982 al Grande Slam messo a segno nel 1987 vincendo play-off, Coppa Italia e Coppa dei Campioni, al termine di un testa a testa indimenticabile con i giovani della Juvecaserta in campionato. La scelta delle storie da raccontare deriva dalla capacità di Peterson di comprendere i giocatori, non schierandoli semplicemente in campo, ma approfondendo la loro psicologia e comprendendo i momenti più critici, come quelli più avvincenti per una formazione che venne simpaticamente definita la « Banda Bassotti ».

«È stato il lavoro più semplice che dovessi compiere perché davanti a me avevo un gruppo di grandissimi professionisti, che sapevano gestirsi praticamente da soli. Avevo a disposizione Dino Meneghin, Mike D’Antoni, Renzo Bariviera, Franco Boselli, Vittorio Gallinari, Fausto Bargna, persone che sapevano cosa volevano fare nella vita e nello sport e per questo cercavano di fare sempre il meglio. Erano dei professionisti singolari – ricorda Peterson – Da parte mia sapevo che dovevo soltanto essere schietto con loro, non dovevo vendergli fumo. Non dovevo cercare di rendere una cosa che non era e portare avanti semplicemente la mia filosofia, semplificando la loro vita e non complicandola. Mi è bastato prendermi del tempo per entrare nella loro mente e conoscerli meglio, anche per questo mi è stato facile scrivere questo libro».

Gli aneddoti riportati nel volume non mancano, quasi fosse una vera e propria Bibbia dell’«olimpismo», visto come passione per la squadra biancorossa che, per un decennio, ha dominato nei palazzetti italiani nonostante le avversarie che si presentavano sul parquet e mettevano in campo tutta la rabbia agonistica necessaria per superare una corazzata. Questo carattere ha spinto anche il calcio a desiderare di avere al proprio fianco Dan Peterson, tanto che Silvio Berlusconi decise di chiamare l’allenatore statunitense alla guida di una squadra destinata a entrare nella leggenda. «È tutto vero, anche se Adriano Galliani l’ha raccontato spesso e per questo bisogna esser chiari. Non mi hanno offerto la panchina del Milan, ma mi hanno chiesto un incontro per valutare se percorrere eventualmente questa strada – sottolinea Peterson – Era il mio ultimo anno e avevo capito che all’Olimpia avevo dato tutto, anche se sapevo di avere una grande squadra e non volevo fermarmi lì proprio in quel momento. Così ho chiesto a Galliani di poter eventualmente aspettare che finissi il campionato a maggio e poi fare un incontro per valutare la cosa. Insomma, incontrarsi per fare il punto a bocce ferme. Purtroppo loro non hanno aspettato ed è arrivato Arrigo Sacchi».

Ciò che forse fa più male a Peterson oggi è vedere come l’Olimpia Milano non sia più quella corazzata che abbiamo imparato a conoscere a cavallo fra gli anni Settanta e Ottanta, una squadra troppo bella per poter trovare spazio oggi nello scenario globalizzato. L’ingresso di nuove nazioni nel contesto europeo ha purtroppo relegato l’Olimpia a un ruolo di comprimaria in Eurolega, anche se il coach è sicuro che ci possa esser un futuro nuovamente fulgido nei prossimi anni.

«Ai miei tempi non c’erano le squadre turche oppure le due squadre greche a dominare la scena. A queste vanno aggiunte Real Madrid e Barcellona, per non parlare del Bayern Monaco. Oppure di Spagna e Francia: Malaga e Valencia sono difficili da affrontare così come il Paris. Le competitor sono aumentate e quindi è diventato anche più difficile riuscire a vincere – conclude Peterson – Purtroppo quest’anno, in Eurolega, l’Olimpia ha vinto diciassette e perse altrettante, chiudendo undicesima quando alle fasi finali passavano le prime otto e lo scorso anno, con lo stesso score, ci si poteva qualificare. La squadra è ottima, la società è molto seria come la proprietà, il talento di Messina non è in discussione come quello dei giocatori, per cui penso che abbiano avuto un po’ di sfortuna con i numerosi infortuni subiti. Se stanno bene e si allenano bene, i risultati si vedono, motivo per cui penso che il prossimo anno ci possano essere degli ottimi riscontri, se la fortuna li assisterà».

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