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«Un altro lunedì», lo spettacolo di Laura Curino protagonista in tanti festival del Nord Italia

Intervista. Prodotto da Tartaruga APS, lo spettacolo porta in scena le storie di dodici imprenditrici bergamasche, incarnate sul palco da Chiara Magri e Giulia Manzini

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Un altro luned (Foto Archivio L’Eco di Bergamo)

Ci sono lunedì che assomigliano a una salita infinita, altri che si aprono come un orizzonte nuovo. «Un altro lunedì» – lo spettacolo prodotto da Tartaruga APS con la drammaturgia e la regia di Laura Curino – nasce proprio da qui: dal coraggio di ricominciare, di immaginare il lavoro non solo come fatica, ma come gesto creativo, come costruzione quotidiana di senso.

Dodici imprenditrici bergamasche hanno prestato le loro voci e le loro esperienze per dare vita a un racconto corale di «quotidiana acrobatica per signore». Le loro storie – raccolte, intrecciate e trasformate in materia teatrale – diventano un mosaico di passioni, visioni, inciampi e invenzioni. A incarnarle in scena sono Chiara Magri e Giulia Manzini, due attrici di generazioni diverse, unite dal desiderio di restituire la complessità e la forza del mondo femminile attraverso la narrazione.

Guidate da Laura Curino, maestra del teatro civile e di memoria, le due interpreti muovono tra leggerezza e intensità, ironia e commozione, in uno spettacolo che racconta il lavoro come atto di resistenza e di speranza. Le immagini dell’Accademia Carrara – dodici opere per dodici storie – riflettono come in uno specchio queste «Muse dei giorni nostri»: donne che cambiano le regole del gioco, ogni lunedì, da capo.

Dopo il debutto a Bergamo in occasione di Bergamo Brescia Capitale Italiana della Cultura 2023, «Un altro lunedì» continua a viaggiare e a incontrare nuovi pubblici. A novembre sarà al «Festival dell’Eccellenza Femminile» di Genova con due appuntamenti di avvicinamento (11 e 19 novembre) e lo spettacolo in versione integrale il 28 novembre, al «Festival delle Storie» del Sistema Bibliotecario di Monza e Brianza (14 novembre al Palazzo Missaglia di Lissone), e in un evento dedicato all’etica del lavoro promosso dalla Camera di Commercio di Brescia (21 novembre nell’auditorium della Camera di Commercio).

Abbiamo incontrato Chiara Magri, una delle protagoniste, per parlare di teatro, lavoro e di quella forza silenziosa che ogni donna mette in campo, ogni giorno, «un altro lunedì».

RE: Il progetto nasce nell’ambito di Bergamo Brescia Capitale Italiana della Cultura 2023. Da dove viene l’idea di «Un altro lunedì»?

CM: È nato in un momento di uscita da una grande difficoltà, quella della pandemia, e dentro un contesto – quello di Bergamo Brescia Capitale della Cultura – che aveva proprio il desiderio di portare buone notizie. L’idea era raccontare che anche nei momenti di crisi si possono trovare strade nuove, radicate nell’esperienza, nelle competenze e nell’intelligenza che le persone sviluppano nel loro percorso di vita. Con Laura Curino abbiamo voluto mettere in luce donne che hanno saputo rischiare, prendersi responsabilità e cambiare le condizioni del proprio mondo lavorativo. Perché il lavoro non è solo sostentamento: è una parte fondamentale della propria identità.

RE: Le storie che raccontate sono di imprenditrici bergamasche e bresciane. Come le avete scelte?

CM: La selezione è avvenuta in modo molto accurato grazie alla collaborazione della Camera di Commercio e del Comitato per l’imprenditoria femminile, oltre a CNA e Confartigianato. Volevamo rappresentare soprattutto la piccola e microimpresa, dove la presenza femminile è più significativa, e cercare donne che lavorassero in settori considerati “maschili”: edilizia, manifatturiero, agricoltura, sindacato. Abbiamo raccolto trentasette ore di interviste con dodici imprenditrici, poi ridotte in un testo di circa ottanta minuti. È stato un lavoro lungo, di scrittura e di rispetto: in scena non volevamo personaggi, ma persone. Per questo abbiamo restituito le storie con autenticità, evitando ogni caricatura o semplificazione.

RE: Che tipo di percorso avete seguito nella costruzione drammaturgica?

CM: Abbiamo articolato le interviste in tre grandi percorsi. Il primo era biografico: la formazione, i sogni d’infanzia, gli incontri decisivi. Il secondo riguardava la bellezza, intesa come legame con il territorio: chiedevamo a ciascuna imprenditrice quale fosse il suo luogo del cuore, dove trovava rifugio e ispirazione. Il terzo era dedicato ai momenti di svolta: quel passaggio in cui una donna decide di fare un salto, di trasformare la propria esperienza in un atto di autodeterminazione.

RE: In scena siete due attrici di generazioni diverse. Come avete lavorato su questa differenza d’età?

CM: Sì, io e Giulia Manzini apparteniamo a due generazioni differenti, e questo si riflette anche nelle storie. Le donne della mia generazione – diciamo le boomer – hanno, in media, un maggiore senso del rischio. Quelle più giovani, invece, sono spesso più caute, cercano approvazione o garanzie, sia familiari che professionali. È una differenza interessante perché racconta molto della società che ci ha formate: le più giovani si prendono dei rischi, certo, ma con un bisogno più forte di essere sostenute o “benedette” da qualcuno. È un segno di fragilità, ma anche di consapevolezza.

RE: C’è un aspetto visivo molto forte nello spettacolo, legato alle opere dell’Accademia Carrara. Come si inseriscono nella scena?

CM: Sì, Laura Curino ha voluto portare in scena dodici quadri, frammenti di opere provenienti dall’Accademia Carrara, concessi grazie all’intermediazione del Comune di Bergamo e dell’allora assessora Nadia Ghisalberti. Sono ritratti, dettagli di mani, volti, busti: immagini che parlano del «fare», del lavoro come gesto e come presenza. Entrano fisicamente in scena e dialogano con la narrazione attraverso una voce fuori campo che collega la bellezza del territorio alle esperienze delle donne. I ragazzi spesso ci chiedono se i quadri siano veri: questo dà la misura di quanto la loro presenza scenica sia potente.

RE: Lo spettacolo ha superato le cinquanta repliche. Cosa resta oggi di quel progetto nato per la Capitale della Cultura?

CM: La cosa più bella è che «Un altro lunedì» non si è esaurito con la Capitale della Cultura. Continua a viaggiare, a incontrare pubblici diversi, anche nelle scuole. Con gli studenti discutiamo di cosa significhi per loro «lavoro», di sogni e possibilità. E quello che ci sorprende sempre è che molte delle imprenditrici protagoniste tornano più volte a vedere lo spettacolo. All’inizio pensavamo volessero controllare che tutto fosse raccontato bene, poi abbiamo capito che c’è qualcosa di più profondo: sentire la propria storia raccontata da qualcun altro permette di guardarla da fuori, di coglierne nuove sfumature, di riconoscere le proprie fragilità e i propri punti di forza. È un modo potente per ricostruirsi.

RE: Il tema dell’etica del lavoro attraversa tutto il progetto. Che valore ha oggi?

CM: È un tema centrale. L’etica del lavoro passa anche dalla qualità delle relazioni: dalla visione di chi guida un’azienda, dal modo in cui si costruisce il benessere delle persone. Se non si cambiano certe visioni dirigenziali, non si cambia neanche il welfare o la qualità della vita nei luoghi di lavoro. «Un altro lunedì» è un invito a guardare al lavoro non solo come produttività, ma come occasione di responsabilità, crescita e, perché no, di felicità.

Ascoltando le parole di Chiara Magri si ha la sensazione che «Un altro lunedì» non sia solo uno spettacolo, ma un modo per restituire senso al lavoro, alla narrazione e al tempo condiviso. Il teatro diventa un luogo in cui la memoria si fa strumento di pensiero e dove le esperienze individuali tornano a essere patrimonio collettivo. In quelle storie di donne che si assumono rischi, inventano strade e rivedono se stesse da fuori, si riconosce un’idea di comunità che ancora oggi ha bisogno di essere narrata, con la semplicità di un giorno qualsiasi. Anche di un lunedì.

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