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Cinque frasi fatte pensate per terrorizzare i neo genitori

Guida. Uno degli sport preferiti dai genitori è “mettere in guardia” chi i bambini deve ancora farli. Dal sempreverde (e maleducato) “Si vede che non hai figli” al lapalissiano “ti cambiano la vita”. Piccolo vademecum su cosa ci si può sentir dire, con le migliori strategie di difesa

Lettura 3 min.
foto Vaillery

Non importa se abbiamo avuto i figli un anno fa, dieci anni fa o il secolo scorso, noi genitori tendiamo a sentirci come dei veterani forgiati da mille battaglie. E, come dei veterani, amiamo istruire le nuove reclute, anche se non ce l’hanno chiesto.

Mamme e papà in attesa possono sentirsi subissati da consigli, lezioni di vita o vere e proprie frasi fatte. A volte pronunciate con le migliori intenzioni, altre per darsi importanza o, nei casi peggiori, per scatenare le proprie frustrazioni esercitando una forma di nonnismo sui futuri genitori.

Quello che hanno in comune le frasi in elenco è che, oltre a essere inutili, non contribuiscono a creare un clima sereno e positivo attorno alla maternità. Anche perché, personalmente, la mia risposta sarebbe sempre: ma allora, a te, chi te lo ha fatto fare di avere un figlio?

“Dormi ora, perché poi…”

È forse la frase che mi sono sentita dire più spesso durante la prima gravidanza, declinata in vari modi: “Riposati adesso, perché poi…”, “Approfitta ora, perché poi…”. Un “poi” carico di minaccia.

Cominciamo col dire che non sempre la gravidanza è una dolce attesa. Al netto di tutte le problematiche mediche, ci sono una serie infinita di disturbi, che possono andare dal fastidioso all’invalidante.

Ad esempio, è facile soffrire di insonnia. Negli ultimi mesi, poi, dato il peso della pancia, si dorme praticamente sedute e mai più di qualche ora di fila. Quindi, ogni volta che mi sentivo ripetere di dormire, mi sentivo, per dirlo con un’elegante parafrasi: “cornuta e mazziata”.

Le esperienze, con il sonno proprio e quello dei bambini, possono essere le più diverse. I miei figli non è che proprio siano dei dormiglioni, ma non ho comunque mai rimpianto gli ultimi mesi di gravidanza.

“Un figlio costa”

Mi fanno impazzire quando escono le statistiche sul costo dei figli: 175.642 euro fino ai 18 anni, 14mila solo per il primo anno, diceva l’ultima che ho letto.

Non capisco mai quali voci comprendano esattamente. Tendo a escludere che durante il primo anno di vita un bambino possa consumare cibo e vestiti per 14mila euro, anche mettendoci pannolini e giocattoli e asilo nido. Se prendiamo una casa o una macchina più grande consideriamo un terzo del costo da addebitare al bebè? Facciamo un quarto se condivide la camera o se l’auto è di seconda mano?

Ci sono almeno un paio di ragioni per le quali è fastidioso commentare riguardo al costo economico dei figli. La prima è che è sempre maleducato fare i conti in tasca agli altri. La seconda è che dare un prezzo a un figlio pare brutto, datemi pure dell’inguaribile romantica. C’è anche una terza ragione, ed è politica: non vogliamo necessariamente essere più ricchi individualmente, vogliamo più servizi per le famiglie, rette del nido calmierate, tassi più alti di occupazione femminile.

“284 ore di travaglio”

Questa è una perversione squisitamente femminile: raccontare nei dettagli la propria esperienza e fare a gara a chi ha avuto il parto più brutto. Credo sia anche l’unico punto in elenco di cui mi macchio anch’io, gara a parte.

Il parto è effettivamente un’esperienza estrema (anche quando va tutto benissimo) e la tentazione di condividerla – come racconteremmo di un lancio dal paracadute – è forte. Ho imparato a farlo solo se esplicitamente richiesta.

A chi non ha mai provato l’ebrezza, consiglio di tenere presente che il ricordo e il racconto di un parto non sono il parto stesso. Realtà e rappresentazione mai come in questo caso possono divergere. In caso di cesareo programmato, rifuggire da qualsiasi confronto con oltranziste del parto naturale.

“Non riuscirai più nemmeno a farti una doccia”

Questa rientra nel grande filone: “i bambini ti distruggono, non puoi neanche lontanamente immaginare quanto”. Che è anche vero, per carità, ma i bebè non sono bombe a mano o schiavisti con la frusta: una volta messi in sicurezza (nella culla, nella sdraietta, a terra con un giochino) si può fare quasi tutto, anche senza avere nessuno che “lo tiene”.

O meglio: magari non si può fare una doccia di un’ora con la porta chiusa a chiave, ma prendersi dieci minuti per lavarsi sì. Così come per buttare una pasta o caricare la lavastoviglie o rispondere a un’email. È vero che gli standard si abbassano e a volte si farà solo il minimo indispensabile per la sopravvivenza, ma il sapone resta un diritto-dovere inalienabile.

Per inciso, alcune cose possono cambiare in meglio. Uno dei miei momenti preferiti in assoluto è il bagnetto insieme ai bambini, ma questo dipende dai gusti personali.

“Figli piccoli problemi piccoli, figli grandi problemi grandi”

Non avendo ancora figli adulti o adolescenti, non posso garantire che i profeti di sventura sbaglino su questo punto. Credo si riferiscano al fatto che un bambino piange e soffre per inezie – un giocattolo rotto, un compagnetto dispettoso, gli spinaci per cena – mentre un grande deve affrontare ben altri problemi: le bocciature a scuola, le “cattive compagnie”, financo l’alcol e la droga, magari la disoccupazione.

Credo siano due i bias che sottostanno a questo ragionamento. Il primo è quello, salvifico, per cui a distanza di tempo tendiamo a ricordare solo le cose belle del passato e dei figli piccoli. Le notti in bianco sappiamo che ci sono state, come le corse al pronto soccorso dopo una rovinosa caduta dalle scale, i pannolini da cambiare o gli inserimenti al nido, ma preferiamo pensare solo ai primi sorrisi e al fatto che i nostri bimbi non possedessero ancora l’uso della parola per risponderci male.

Il secondo bias è che un figlio piccolo dipende da noi al 90% (e quindi più facilmente possiamo metterci una pezza), un adolescente o un adulto non più. Ma è solo che la vita va avanti, non per forza un’ecatombe. Insomma, come dicono a Roma: stacce.

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