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«Fuoripista», per rivoluzionare la cultura dell’inverno

Articolo. La mostra allestita fino all’8 febbraio a gres art 671 (via S. Bernardino 141) esplora la cultura dell’inverno intrecciando arte, sport e geografie inattese. Tra microstorie di emancipazione e resilienza, dai monti del Lesotho alle Ande, emerge un atlante alternativo che sfida stereotipi e celebra la forza rivoluzionaria dell’immaginario invernale

Lettura 3 min.
La squadra giamaicana di bob alle Olimpiadi di Calgary, nel 1988

«Un fiocco di neve è una lettera dal cielo»: parola di un poeta? Niente affatto, visto che chi amava ripeterlo era il fisico e artista giapponese Ukichiro Nakaya (1900-1962), che creò la prima neve artificiale al mondo. Lungo questo confine tra arte e scienza, la nuova mostra proposta da gres art 671 - curata insieme a 2050+, in avvicinamento ai XXV Giochi Olimpici Invernali Milano Cortina 2026 - sceglie di andare «Fuoripista», per regalare al pubblico un altro progetto ben pensato e interdisciplinare nel senso migliore del termine.

Non solo perché, come recita il sottotitolo, incrocia «arte, sport e inverno», ma anche perché ha davvero il coraggio di esplorare e disegnare tracciati liberi, decisamente al di fuori delle piste battute, dentro la «cultura dell’inverno», dove l’arte ma anche il design, la tecnologia e l’architettura, raccontano vette, neve, perseveranza, fatica, vittorie, sconfitte, geografie, e il mondo della montagna è luogo di desiderio, esplorazione e scoperta, ma anche campo di indagine tecnologica, sociale e ambientale.

Così, in un percorso che fa interagire dipinti, installazioni, lavori di ricerca, fotografie, sculture, immagini in movimento, videogiochi, materiali d’archivio e strumenti tecnologici provenienti da tempi e geografie differenti, tutti accuratamente selezionati per offrire prospettive diverse dell’immaginario invernale – non solo sportivo – ecco aprirsi una sezione davvero non scontata, dedicata alle «Microstorie della neve».

Dalle ante dischiuse di una fila di armadietti, irrompe il vero «Fuoripista» della mostra, che abbandona le narrazioni ufficiali e le geografie classiche della neve per sorprendere il visitatore con un atlante alternativo dell’inverno, dove lo sport invernale diventa strumento di emancipazione, libertà, resistenza. E così, ancora una volta, l’immaginario «occidentalocentrico» è smascherato.

Eccoci, dunque, catapultati sui monti Maloti del Lesotho, uno dei paesi più alti del continente africano, dove nei mesi centrali dell’inverno, da giugno ad agosto, è attivo l’AfriSki Mountain Resort che, nei nomi dei suoi chalet, come Lillehammer Chalet e St. Moritz Chalet, strizza l’occhio, con una punta di ironia, alle famose città «fredde» occidentali.

In Marocco, invece, si scia accanto al Sahara, nella stazione sciistica di Oukaimeden, che sorge in un paradossale paesaggio desertico, dove la polvere del Sahara tinteggia la neve di rosso. Gli impianti resistono non solo alla scarsità di neve, ma anche al terremoto del 2023, diventando immagine di resilienza.

Indimenticabile volto di Nike Pro Hijab, Zahra Lari è stata la prima pattinatrice degli Emirati Arabi Uniti a gareggiare a livello internazionale. Per averlo fatto indossando, appunto, l’hijab, considerato un abbigliamento «non autorizzato», fu penalizzata all’International Skating Union del 2012 che si teneva proprio in Italia: «Siamo tutti uguali – dichiarò – e dovremmo essere giudicati in base al nostro talento, non sulla nostra provenienza o su ciò che indossiamo».

Divertimento e geopolitica si incrociano in Kashmir, dove lo sci si pratica in territori contesi a tenere vive rivendicazioni coloniali e dispute territoriali. Proprio sulla Linea di Controllo, sul confine instabile tra India e Pakistan, sorge il comprensorio sciistico di Gulmarg, costruito dai britannici nel 1927. E non è raro vedere i soldati dell’esercito indiano addestrarsi proprio sui pendii delle seggiovie.

Nel 2012 l’obiettivo del fotografo scozzese James Robertson si imbatte, nella provincia montuosa afghana del Bamiyan, in un gruppo di giovani della minoranza hazara che sciano con attrezzature artigianali costruite con legno, metallo e corde. Due di loro, Sayed Alishah Farhang e Sajjad Husaini, diventeranno i primi sciatori alpini afghani riconosciuti nel panorama internazionale, partecipando anche ai Campionati mondiali di St. Moritz del 2017. Con il divieto della pratica sportiva imposto dai talebani nel 2021, si trasferiscono in Italia, insieme ad altri atleti.

Ci fu anche un tempo in cui Beirut, cosmopolita e raffinata, offriva l’insolito privilegio di sciare al mattino e di nuotare nel Mediterraneo il pomeriggio. Il Libano era all’epoca la «Svizzera del Medio Oriente», grazie alla costruzione sulle montagne di impianti di risalita. Un mondo perduto sotto le macerie della guerra civile del 1975.

Saranno in molti a ricordare, complice il cinema, la squadra giamaicana di bob e il suo debutto alle Olimpiadi invernali di Calgary, in Canada, nel 1988. Fu una vera scossa ai preconcetti da cui nasceva un preciso immaginario collettivo: una nazione tropicale, allenatasi su piste di cemento, dimostrava come l’esclusione dalle discipline invernali non era legata solo a fattori climatici, ma anche alla disparità nell’accesso a finanziamenti e infrastrutture.

Del resto, il mondo si è per molto tempo dimenticato anche del primo esploratore del Polo Nord, l’afroamericano Matthew Henson, abilissimo nelle tecniche di sopravvivenza come nella conoscenza della lingua inuit. A causa, neanche a dirlo, dei pregiudizi razziali, il suo nome fu oscurato a favore di quello di Robert E. Peary che nel 1909 guidò la spedizione, prendendosene tutti i meriti.

Mai sentito parlare, invece, dello «skijoring»? È il bizzarro rituale che si pratica nelle regioni montuose del versante occidentale degli Stati Uniti dove, sui terreni ghiacciati, sfrecciano sciatori trainati ad alta velocità dai cavalli.

Le vette delle Ande boliviane sono invece il regno delle «cholitas escaladoras», gruppo di donne indigene Aymara che sin dagli anni Sessanta trovano nell’alpinismo lo strumento per battersi per i diritti delle donne e dei popoli autoctoni. Guidano spedizioni sulle montagne più alte del Sud America, indossando le coloratissime gonne «polleras» e trasportando le attrezzature negli scialli tessuti secondo tradizione.

Le «Microstorie» incastonate nella mostra «Fuoripista» sono solo apparentemente spigolature curiose. È nella loro trama, che tanto contrasta con le nuove frontiere indoor degli sporti invernali e con le versioni virtuali e digitali del paesaggio invernale contemporaneo, che si annida il vero potere – poetico, rivoluzionario, resiliente – della cultura dell’inverno, a qualunque latitudine fiorisca.

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