Voglia di vivere il Natale con l’arte? Ci viene in soccorso il presepe, un «teatro del sacro» domestico, docilmente disposto a lasciarsi personalizzare dall’immaginazione di adulti e bambini. Nelle nostre case la creatività la fa da padrona e poco importano dimensioni, proporzioni, congruità di materiali, cronologia e ambientazione. Tutto è possibile, purché si rispettino le coordinate fondamentali: Maria e Giuseppe, il Bambino, il bue e l’asinello, i pastori, i re Magi.
Se è vero che il presepe è l’iconografia natalizia che possiamo allestire su misura per noi, proviamoci allora, rubando gli “attori” che ci convincono di più alle opere riunite nei luoghi del nuovo Museo Bernareggi, dall’antico Palazzo Vescovile (con l’Aula Picta) al Battistero, dal Duomo al Museo del Tesoro della Cattedrale.
Cominciamo subito dalla Sacra Famiglia. Nessun dubbio sulla «Madonna con il Bambino». Per ingaggiarli dobbiamo aggirare la tribuna dell’altare maggiore della Cattedrale dove, protetto da due antelle di legno, si conserva quel vero tesoro rinascimentale che è la «Madonna dei Colombi» di Giovanni Cariani. La scegliamo perché, per quanto meno nota al grande pubblico in quanto solitamente non accessibile, questa Madonna che tiene gli occhi bassi è di una rara umiltà e delicatezza. Il Bambino, invece, ancora ignaro del destino che lo attende (nascosto nel segreto del piccolo forziere dischiuso), gioca con un pannicello rosa e guarda incuriosito il cesto di vimini che il pittore ha posto ai suoi piedi, dove due soffici colombe si agitano al punto di perdere qualche piuma.
La libertà del presepe ci concede anche una variazione dai canoni, introducendo alle spalle di Maria la figura della sua mamma, la «Sant’Anna Metterza» che compare nell’antica iconostasi dipinta che rappresenta il cuore del Museo del Tesoro della Cattedrale. «Metterza» significa, infatti, «mi è terza», ad identificare l’iconografia in cui S. Anna compare in terza posizione, come genitrice di Maria e progenitrice di Gesù. Possiamo immaginarle, le due donne, alle prese con il primo bagnetto del Bambino, passaggio di cui non si è dimenticato il celebre scultore del Trecento Giovanni da Campione nella «Natività» immortalata tra le formelle che raccontano la vita di Gesù lungo le pareti interne del nostro Battistero.
Quanto a Giuseppe, la storia dell’arte è quasi sempre implacabile: assiste, adora, dorme e sogna. Insomma, è quasi sempre ai margini della scena, al punto che di lui scrisse Jean Paul Sartre: «E Giuseppe? Giuseppe, non lo dipingerei. Non mostrerei che un’ombra in fondo al pagliaio e due occhi brillanti». Invece, noi Giuseppe lo vorremmo in azione e così lo chiediamo in prestito alla grande «Pala di San Bernardino» di Lorenzo Lotto, eccezionalmente esposta nell’Aula Picta del Bernareggi. Lo scegliamo perché ha il coraggio dell’informalità e non ha timore di mostrare i suoi – più che giustificati – segni di stanchezza (e di freddo): con la manica azzurra ormai quasi del tutto scucita, solleva il pesante mantello, per massaggiarsi i piedi nudi sfregando il tallone calloso sul collo dell’altro piede.
E dato che ci siamo, visto che la nostra Natività la vogliamo calata nell’ordine naturale delle cose, dai bassorilievi del Battistero preleviamo anche l’asinello e il bue, segni di mansuetudine e nobiltà. Ma, per non accontentarci dei classici animali “comprimari” della Natività, chiamiamo a raccolta dentro il Museo Diocesano anche il maialino e il cane che nelle tele di Carlo Ceresa sono fedeli compagni rispettivamente di S. Antonio Abate e di S. Rocco. Nel nostro presepe dell’arte invitiamo anche l’accigliata civetta, sorpresa mentre sta artigliando un serpente, scolpita da Manzù nella formella che doveva servire come bozzetto per la Porta della Morte della Basilica di S. Pietro.
Quanto ai pastori e ai mestieri che tradizionalmente popolano il presepe, potremmo affidarci di nuovo a Carlo Ceresa e alla sua «Natività con San Felice da Cantalice e pastori adoranti». È qui che scoviamo la bella figura del pastore (o forse di oste) che si inginocchia davanti al bambino per deporre in regalo la sua bisaccia, dove probabilmente sono avvolte le poche cose presenti nella sua povera dispensa. Non perdiamo l’occasione per convocare, nel medesimo dipinto, anche i tre deliziosi angioletti che si abbracciano nel cielo a formare un girotondo: un moto di gioia, certamente, ma anche il gesto spontaneo di stringersi in cerca di un po’ di calore, in una notte che a Betlemme deve essere davvero fredda, a giudicare dalle guance e dai nasi arrossati di tutti i presenti, nessuno escluso. Se poi vogliamo anche un presepe in musica, possiamo chiedere ai a questi teneri angeli di famiglia di rispolverare (nel senso letterale del termine) liuti, violini, mandole, chitarre e spartiti silenziosamente abbandonati nella sua «Stanza della musica» dal pittore da Evaristo Baschenis.
Sullo sfondo della Natività, poi, ci piacerebbe qualcosa di affascinante ma di vicino, di poco esotico. Trasferiamoci, dunque, nel paesaggio in cui Giovan Battista Moroni ambienta il suo «Battesimo di Cristo», uno scorcio autenticamente bergamasco, dominato dal profilo inconfondibile del massiccio roccioso del Monte Cornagera. Ad incorniciare la Natività ci permettiamo anche di catturare anche l’arco di conci di cotto e di marmo dipinto dal Moretto nella sua «Madonna in adorazione del Bambino». Siamo ancora nel cuore della notte, ma il miracolo della Natività è una gioia così grande che non possiamo resistere alla tentazione di infilare nel nostro presepe anche un brillante arcobaleno, come quello acceso da Lorenzo Lotto nella sua «Trinità». Tutto pronto, dunque, in attesa dell’Epifania, quando a raggiungere la nostra Natività saranno gli antichi e candidi Re Magi che per ora rimangono in attesa, sempre tra i bassorilievi del Battistero, rigorosamente allineati secondo l’altezza, a disegnare un’onda all’orizzonte.
Per informazioni e prenotazioni sul ricco calendario di iniziative e visite guidate natalizie in programma al Museo Bernareggi è possibile consultare il sito internet ufficiale.
