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Un nuovo «ospite» per l’Accademia Tadini: a Lovere arriva Francesco Hayez

Intervista. Dal 28 giugno sarà possibile ammirare alcune opere inedite del celebre pittore. Le tele, appartenenti a collezioni private, dialogheranno con la collezione permanente dell’Accademia

Lettura 6 min.
Hayez, L’ultimo addio di Giulietta e Romeo

La Casa del Conte Tadini di Lovere apre ancora una volta le sue porte al dialogo, offrendo una rilettura della propria collezione attraverso il confronto con opere innovative e provenienti dall’esterno: è questo lo spirito di «Ospiti», rassegna giunta al suo terzo appuntamento. Protagonista di questa nuova tappa, curata da Stefano Bosi, è Francesco Hayez, figura centrale della pittura italiana dell’Ottocento. Dal 28 giugno saranno esposti in Accademia quattro dipinti ispirati ad eroine romantiche e due autoritratti, che andranno a completare e ad arricchire il nucleo di opere tarde già presenti nel Museo dell’Ottocento.

«La mostra “Francesco Hayez. Imelda e Giulietta: eroine romantiche” celebra la forza espressiva della figura femminile nella pittura dell’Ottocento, mettendo in luce il ruolo centrale della donna nei grandi drammi storici e letterari, riletti attraverso lo sguardo intenso e partecipe di Hayez», dichiara Stefano Bosi, aggiungendo che «Queste opere non solo raccontano amori tragici o travagliati, ma riflettono anche le tensioni sociali e politiche dell’epoca, offrendo una testimonianza profonda della sensibilità romantica e della ricchezza emotiva che la attraversa».

Attraverso questo progetto, l’Accademia Tadini conferma la propria vocazione all’incontro: tra opere, epoche e sguardi, in un percorso che continua ad arricchirsi di voci nuove e sorprendenti. Ne ho trovato conferma anche dalle parole del direttore, Marco Albertario.

CDM: Da direttore dell’Accademia, quale obiettivo vi guida nel proporre, ormai da tre anni, la rassegna «Ospiti»?

MA: Il percorso di «Ospiti» nasce dall’idea di accogliere la disponibilità, anche da parte di collezionisti privati, a condividere opere d’arte che normalmente non sono accessibili al pubblico. L’obiettivo è rendere queste opere fruibili in uno spazio pubblico come il museo, offrendo così un arricchimento culturale alla comunità.
Questo tipo di iniziativa è poi particolarmente apprezzata quando le opere in prestito si integrano con quelle già presenti nella nostra collezione permanente, creando dialoghi tematici o stilistici. È stato il caso delle mostre dedicate a Canova (2023) e a Morbelli (2024).

CDM: Uno dei vostri scopi è quello di promuovere opere che evidenzino le specificità di un luogo, creando legami tra arte e vita. Quale legame c’è quest’anno con il territorio?

MA: In primo luogo, noi abbiamo tre opere di Hayez in collezione permanente, ce n’è una splendida a Iseo, fino ad arrivare poi a quelle ospitate nelle collezioni dell’Accademia Carrara e della Pinacoteca Tosio Martinengo. Il legame tra Hayez e l’Accademia Tadini passa attraverso la figura di Carlotta Martinolli, nipote del pittore, che decise di donare le opere dello zio. I dipinti sono legati a lei e al marito, Enrico Banzolini, costretto ad abbandonare il proprio incarico presso l’archivio notarile di Venezia perché si era arruolato volontariamente a difesa della Repubblica di San Marco durante i moti del 1848-1849, trasferendosi poi a Lovere. Dopo il grande successo del «Bacio», Hayez si allontanò progressivamente dalla vita pubblica, mantenendo però un rapporto stretto con la famiglia, in particolare con Carlotta. Un gruppo di lettere, pubblicato in anni recenti dall’Accademia Tadini, testimonia il forte legame affettivo e ideale tra Hayez e i suoi nipoti, con i quali condivideva riflessioni su politica e ideali liberali. Pertanto, la donazione dei dipinti da parte di Carlotta non solo ha arricchito la collezione del museo, ma ha anche stabilito un legame profondo tra la figura di Hayez e il territorio loverese.

CDM: Da qui la definizione del tema della mostra legato al mito dell’eroina romantica.

MA: La scelta di circoscrivere il tema dell’eroina romantica è innanzitutto una decisione curatoriale di Stefano Bosi, ma rappresenta al tempo stesso il legame simbolico forte che unisce in modo profondo Carlotta Martinolli – la nostra donatrice – ai soggetti delle opere in prestito. Hayez ha una produzione vastissima, tuttavia, tra i molteplici temi che attraversano le sue opere, spicca proprio quello dell’eroina: la figura femminile che difende le proprie scelte, anche a costo di sfidare le convenzioni e le difficoltà del proprio tempo. Anche Carlotta, in un certo senso, può essere considerata un’eroina romantica: per la sua travagliata storia con Enrico Banzolini e per il gesto storicamente significativo di donare le opere dello zio Hayez all’Accademia Tadini, rendendole così patrimonio collettivo. L’Ottocento è ricco di figure femminili simili, donne che – pur vittime delle circostanze storiche – hanno rivendicato con forza il diritto di scegliere e di agire. Non vogliono semplicemente subire la storia, ma desiderano esserne protagoniste. L’eroina romantica, quindi, è una figura capace di scegliere, di prendere posizione, e di lasciare un segno.

CDM: Quattro delle sei opere in mostra raffigurano le eroine romantiche, colte tutte nel momento dell’addio. È una coincidenza che dichiara la volontà dell’artista di creare un repertorio pittorico?

MA: Condivido la riflessione del curatore Stefano Bosi: «Attraverso questi capolavori, l’esposizione indaga la straordinaria capacità dell’artista veneziano di fondere sentimento e narrazione storica, dando vita a immagini intrise di passione, dolore e sacrificio, ancora oggi capaci di parlare al nostro tempo». La mostra si apre con il mito di Giulietta e Romeo, entrato nell’immaginario ottocentesco fino a raggiungere una dimensione universale, tanto che Hayez lo rappresenta in due versioni (nel 1823 e nel 1833). Il successo della composizione è attestato da un raffinato acquerello di collezione privata che ripropone i dettagli essenziali delle opere maggiori. «Mademoiselle de la Vallière», invece, realizzata nel 1838, è un’opera recentemente riscoperta e subito accolta con interesse dalla critica per la sua grazia compositiva. È un soggetto che diventa ampiamente popolare tra Francia e Italia nell’Ottocento, tra l’impero e la Restaurazione, tanto che compare anche ne «I tre moschettieri» di Dumas. Louise de la Vallière era una cortigiana, per lungo tempo amante prediletta del re di Francia Luigi XIV; in seguito, decise di ritirarsi in convento per restare lontana dal giudizio dei cortigiani. Il dipinto mostra proprio il Re Sole intendo a farla rientrare e Versailles, mentre lei difende con orgoglio la sua scelta di vita.

CDM: Ospite d’eccezione dell’Accademia Tadini però è «Imelda de’ Lambertazzi»

MA: È un’imponente tela del 1853, in cui Hayez raffigura l’amore tragico tra Imelda, ghibellina, e Bonifacio dei Geremei, guelfo, sullo sfondo delle lotte medievali nella città di Bologna. Qui Hayez, pittore – narratore, sceglie di ritrarre il momento drammatico che precede l’agguato dei fratelli della protagonista. Imelda è stato un soggetto molto amato anche dalla letteratura e dal melodramma ottocenteschi, come dimostrano il racconto di Defendente Sacchi e l’opera di Donizetti del 1830. All’epoca, però, l’opera fu criticata poiché non rispondeva alle attese patriottiche del tempo, in pieno clima risorgimentale, avendo richiami narrativa più letterari che storici. A questo Hayez risponderà qualche anno dopo con «Il bacio» (1859), simbolo di passione e impegno civile, richiamato dall’acquerello in mostra, in cui due giovani si salutano in un addio che è già storia.

CDM: È presente poi un nucleo di opere tarde. Come si inseriscono all’interno del percorso che abbiamo delineato finora?

MA: Sono quadri che raccontano l’ultima fase della carriera di Hayez: dalla «Madonna» del 1869 al solenne «Ecce Homo» (1867-75), fino all’intenso «Autoritratto» destinato alla nipote Carlotta, realizzato intorno al 1878. È una fase in cui l’artista riflette profondamente sulla pittura, intesa ormai come ricerca personale e confronto con le nuove tendenze milanesi. L’autoritratto è un’opera di grande intimità: Hayez, con un taglio quasi fotografico, si mostra anziano, ma ancora energico. Lo abbiamo affiancato a due studi a matita per approfondire la sua idea di autorappresentazione, così legata al sentimento e al rapporto diretto con chi guarda. Già negli anni Cinquanta, Hayez viene criticato per non aderire alla pittura patriottica militante che si andava affermando. Eppure, era stato proprio lui, nei decenni precedenti, a incarnare con forza l’identità nazionale, tanto che Giuseppe Mazzini lo definì nel 1840 «il pittore della nazione italiana». Credo che la sua capacità di rileggere la storia con passione rimane uno dei tratti più potenti della sua arte, anche negli anni più maturi.

CDM: È come se il ritratto di Hayez, maturo, facesse l’occhiolino a tutti i visitatori dell’Accademia Tadini per accompagnarli, passo dopo passo, nella sua visione pittorica, di storia e di vita.

MA: Proprio così! La mostra è allestita negli spazi del museo dell’Ottocento e i visitatori, come prima cosa, si troveranno davanti l’autoritratto di Hayez. Nella nostra App, tra l’altro, a raccontare i quadri loveresi è proprio la voce di Carlotta. L’invito è a non mancare il 25 luglio, quando in Accademia ci sarà una visita guidata teatralizzata alla mostra: «Quel che le opere non dicono», in collaborazione con la compagnia teatrale Olive a parte e con un testo di Samuele Balduzzi.

CDM: Il percorso espositivo ci conduce fino a «Ecce Homo». Potremmo considerare quest’opera una sorta di testamento spirituale dell’artista?

MA: «Ecce Homo» è l’ultimo grande quadro di storia di Hayez, ed è anche il più intimo. Rappresenta un Cristo che si avvia alla crocifissione, simbolo di sofferenza, sacrificio e consapevolezza. In quegli anni, durante le guerre per l’Indipendenza, Carlotta scrive in una lettera che sta tagliando delle bende per i feriti: un gesto semplice, ma carico di partecipazione e dolore. Quel Cristo, allora, è anche per lei, è per tutti. È significativo che sia proprio la nipote a donare quest’opera all’Accademia: è sincera volontà di consegnare al futuro un messaggio che non restasse privato, bensì diventasse patrimonio collettivo. È una chiusura silenziosa, ma potente: l’arte come eredità e come gesto di condivisione.

La mostra sarà visitabile fino al 28 settembre.

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