93FE310D-CB37-4670-9E7A-E60EDBE81DAD Created with sketchtool.
< Home

Quattro film per quattro autori da non perdere

Articolo. La nostra rubrica dedicata al cinema si concentra oggi sulle ultime pellicole di Luca Guadagnino, Andrea Arnold, Steven Soderbergh e Pascal Bonitzer

Lettura 5 min.
Black Bag – Doppio gioco

Luca Guadagnino, Andrea Arnold, Steven Soderbergh e Pascal Bonitzer sono autori diversissimi fra loro per provenienza, età, gusti e stile. I loro ultimi film sono in sala in queste settimane e meritano tutti una visione. Ecco la nostra guida per scoprirli a fondo!

«Queer» di Luca Guadagnino

Tratto dal celebre romanzo omonimo di William S. Burroughs pubblicato del 1985 (in italiano il titolo è «Checca») e presentato in concorso all’ultima mostra di Venezia lo scorso settembre, «Queer» segna la definitiva ascesa di Guadagnino all’olimpo del cinema hollywoodiano e la statura ormai internazionale raggiunta dal regista siciliano. Il film, come il romanzo (scritto fra il 1952 e il ’53 ma pubblicato solo 30 anni più tardi) è ambientato nel Messico dei primi anni Cinquanta e racconta di Lee (Daniel Craig), scrittore americano di mezz’età espatriato, e della sua vita dissoluta fatta di alcol, droga e rapporti sessuali effimeri con giovani ragazzi, nelle bettole della capitale messicana insieme ad altri scrittori e intellettuali suoi connazionali che, come lui, sono fuggiti all’estero per potersi concedere i vizi che nell’America puritana e maccartista li avrebbero resi dei criminali.

Conosciuto il giovane marine Eugene Allerton (Drew Starkey) del quale si invaghisce, Lee parte con lui per un viaggio in Ecuador alla ricerca dell’ayahuasca, un estratto di alcune piante amazzoniche che se assunto è in grado di indurre effetti psicotropi e allucinogeni. Guadagnino racconta Burroughs (di cui Lee è l’alter ego) senza censure e senza risparmiare la durezza e l’autenticità del romanzo di partenza. Ma allo stesso tempo ne fa un ritratto profondamente cinematografico, intriso di melodramma come nei film della Hollywood classica coeva agli anni in cui la storia è ambientata e di richiami al cinema d’autore di epoca e provenienza diversa (da John Huston a Douglas Sirk, da David Cronenberg a David Lynch).

Il risultato è un film in cui l’ispiratore della Beat Generation diventa una figura dolente che esce dalla propria dimensione di uomo e artista per diventare una personaggio universale, lacerato dalla passione non corrisposta per un’altra persona e in preda ai tormenti dell’amore, perché come dice Guadagnino stesso «“Queer” è una storia universale sull’amore e sul modo in cui le persone possono ricambiare l’amore o sulla tragedia di non essere nello stesso posto nello stesso momento, ma di essere entrambi innamorati». Ed è soprattutto con quest’ottica umanista ed emozionale che il film andrebbe guardato.

Durata: 2h 15m
In programmazione: Conca Verde, Arcadia Stezzano, Anteo Treviglio

«Black Bag – Doppio gioco» di Steven Soderbergh

Steven Soderbergh è uno dei registi più prolifici in circolazione. E nonostante i 33 film girati in 36 anni di carriera – che diventano oltre 50 se contiamo anche i lavori televisivi (ha diretto tutti e 20 gli episodi della serie «The Knick»), i documentari e i corti – la qualità del suo lavoro riesce sempre a essere altissima. Soprattutto in questi ultimi anni. «Black Bag» è senz’altro meno impegnato di altri film del regista statunitense, è una specie di divertissement, eppure ha un ritmo e una capacità di tenere alta la tensione – e l’attenzione dello spettatore – davvero straordinari.

Soderbergh, che qui firma anche fotografia e montaggio, mette in scena un thriller di spionaggio che non si sviluppa nell’azione, piuttosto si concentra sulle dinamiche – professionali e private – che legano (e dividono) i suoi personaggi. Il cuore pulsante del film è la coppia formata da George e Kathryn Woodhouse (Michael Fassbender e Cate Blanchett), agenti dei servizi segreti inglesi e coniugi, immersi in un intrigo che mette a rischio non solo la sicurezza nazionale, ma la stessa tenuta del loro rapporto. La spy story si fa così pretesto per un’indagine sulle forme della fedeltà e del sospetto e il vero campo di battaglia non sono strade, uffici o hotel delle città di mezzo mondo (come tipico di film di spionaggio), ma la tavola di un dinner party: un espediente che George usa per entrare nelle menti dei colleghi su cui gli viene chiesto di indagare e per rivelare tradimenti, menzogne e infedeltà (non solo professionali) di ognuno di loro.

«Black Bag» è allora un film che parla di spie, ma soprattutto di persone (quasi) comuni costrette a recitare ruoli e a mascherare desideri e paure. Soderbergh, insieme con lo sceneggiatore David Koepp, firma un’opera che pur nella sua apparente leggerezza riflette con lucidità sul rapporto tra identità e rappresentazione, tra verità e finzione. In un mondo dove tutto può essere usato come arma – anche una parola, anche un silenzio – la vera “missione impossibile” è restare fedeli a se stessi e, possibilmente, agli altri.

Durata: 1h 34m
In programmazione: Cinema Capitol, Uci Cinemas Orio al Serio, Arcadia Stezzano, Anteo Treviglio, Multisala Starplex Romano di Lombardia

«Il quadro rubato» di Pascal Bonitzer

Critico cinematografico, scrittore, sceneggiatore, attore e – ovviamente – regista, Pascal Bonitzer è una delle personalità più influenti del cinema francese contemporaneo. Questo suo ultimo film, tratto da un fatto di cronaca realmente accaduto, è un lavoro che fonde cinema di genere e autorialità, ma soprattutto è una straordinaria riflessione sulla natura umana fondata letteralmente sul nulla.

La storia è quella del banditore d’asta parigino specializzato in opere d’arte André e della sua stagista Aurore che si imbattono in un dipinto di Egon Schiele di enorme valore che si credeva perduto: «Girasoli» del 1914. Il quadro appartiene a un giovane operaio della periferia di Mulhouse e a sua madre che l’hanno trovato nella casa lasciata in eredità da un ex poliziotto alsaziano. Si scoprirà trattarsi di un dipinto trafugato dai nazisti a una famiglia ebrea i cui eredi, oggi facoltosi cittadini americani, decidono di mettere all’asta, concedendo il 10% del ricavato ai due proprietari francesi. Non è la caccia al tesoro il tema del film e nemmeno (o non solo) il gioco di interessi e clientelismi che un ritrovamento così sensazionale smuove, quanto le reazioni e le relazioni umane, sociali e culturali che stanno tutte intorno.

André e Aurore si scontrano per tutto il film discutendo del loro ruolo sociale, delle differenze di classe, status e posizione lavorativa, ma anche entrando nelle reciproche sfere private, fatte di rapporti fasulli, piccole bugie, solitudine e frizioni famigliari. Intorno a loro un mondo, quello dell’arte ma in senso allargato quello del nostro presente, che è un macrocosmo di egoismi, ricatti, tentativi di raggiro e inganni di ogni tipo in cui l’unica legge è quella del denaro. È un film intelligentissimo «Il quadro rubato, non solo perché fotografa perfettamente il mondo capitalista e materiale nel quale viviamo, ma anche perché per farlo usa il pretesto dell’arte, cioè di qualcosa che dovrebbe essere l’esatto opposto del denaro e dovrebbe regalare emozioni e sensazioni del tutto impossibili da comprare o anche solo da stimare. E che invece, oggi, sembra essere diventata solo un’ulteriore forma di mercificazione e arricchimento.

Durata: 1h 31m
In programmazione: dall’8 maggio

«Bird» di Andrea Arnold

Andrea Arnold è una regista britannica con uno stile personalissimo che da sempre ha una prospettiva peculiare sulla società delle periferie (soprattutto quelle della provincia inglese) focalizzata in special modo su giovani e giovanissimi.

Le sue protagoniste sono quasi sempre ragazze adolescenti con famiglie difficili alle spalle e cresciute in contesti marginali o problematici. È il caso di Bailey (Nykiya Adams), dodicenne che vive in una casa occupata nel Nord del Kent (contea situata a sud est di Londra di cui è originaria la regista) con il fratellastro Hunter e il padre Bug (Barry Keoghan), un uomo immaturo e stravagante che vive di espedienti e sta per risposarsi con Kayleigh, una donna conosciuta solo da pochi mesi. Nelle settimane che precedono il matrimonio Bailey passa le giornate estive con gli amici e il fratello compiendo piccoli furti, girovagando senza meta e facendo visita alla madre che vive poco distante e frequenta un uomo violento. Ogni tanto incontra Bird (Franz Rogowski), un personaggio bizzarro che sembra venire da lontano e non avere un posto dove stare.

Bird sta cercando la madre, che l’aveva abbandonato da piccolo e dovrebbe vivere ancora da quelle parti. Bailey decide di aiutare l’uomo nella sua ricerca e stabilisce con lui un legame che le cambierà la vita. Pochi registi oggi sanno ancora raccontare la poesia del quotidiano – o inserire la poesia nel racconto del quotidiano – senza scadere nella retorica, nei luoghi comuni e nella banalità. Andrea Arnold è una di questi. «Bird» è un coming of age che non ha nulla dei coming of age di cui il cinema di oggi è pieno: Andrea Arnold usa con grande intelligenza gli schemi del romanzo di formazione tirando fuori una storia sorprendente, ricca di sensibilità e di grazia. Frutto soprattutto della capacità della regista di raccontare la società varia e marginale che mostra senza dare giudizi, ma con uno sguardo umanista, persino complice. Qualcosa che non si può insegnare e che non nasce da un giorno all’altro ma che si sviluppa con il tempo e la capacità di osservare il mondo, anche quello più respingente, senza pregiudizi. E non è poco.

Durata: 1h 58m
In programmazione: dall’8 maggio

Approfondimenti