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Chi si ricorda la «Melevisione»? Danilo Bertazzi ci racconta Tonio Cartonio

Articolo. L’attore sarà ospite sabato 21 giugno del «Comicon» di Bergamo. In questa intervista scopriamo i segreti del Fantabosco e del successo della trasmissione

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Se - come me - siete cresciuti tra la fine degli anni Novanta e l’inizio degli anni Duemila, sicuramente ricorderete con affetto la «Melevisione». Per diciassette stagioni, il programma è stato il “principe” del palinsesto pomeridiano di Rai Tre: la «Melevisione» ha accompagnato innumerevoli merende ed è stata un appuntamento fisso per un’intera generazione, una parentesi di dolce far nulla tra la fine delle lezioni e l’inizio dei compiti per il giorno dopo. Tutti ricordiamo i nomi di Lupo Lucio, Strega Varana, Fata Lina e degli altri abitanti del Fantabosco. Ancor di più, stampati nella nostra memoria ci sono i volti dei due protagonisti. Dapprima, tra il 1999 e il 2004, c’è stato il «folletto bibitiere» Tonio Cartonio, alias di Danilo Bertazzi. Poi, dal 2004 al 2015, a tenere il timone della trasmissione ci ha pensato Milo Cotogno, interpretato da Lorenzo Branchetti. Tonio Cartonio e Milo Cotogno sono due icone della cultura pop italiana, o meglio, lo sono per tutti quei «bambini del Duemila» che sono cresciuti insieme a loro.

Quando ho saputo che Bertazzi sarebbe stato tra gli ospiti del «Comicon» di Bergamo (lo trovate sul palco sabato 21 giugno dalle 15 alle 15.50 con un panel sulla «Melevisione» e poi dalle 17 alle 19.30 per gli autografi), ho subito colto l’occasione di intervistarlo per farmi svelare tutti i retroscena della trasmissione.

BA: Per cinque anni sei stato il cuore della «Melevisione»: come era il lavoro nei panni di Tonio Cartonio?

DB: Io ero l’attore con più turni di lavoro. Il lunedì facevamo il “notturno”, che iniziava alle 13 e finiva a mezzanotte, mentre gli altri giorni della settimana iniziavamo alle 8 con il trucco e alle 9 con le registrazioni. Si girava per otto ore e quando si sforava ci veniva chiesto di restare un po’ più a lungo. Di solito realizzavamo una puntata al giorno – quindi ogni giorno c’era un copione diverso da imparare – con l’eccezione degli episodi più complessi e di quelli con le canzoni, che invece richiedevano un paio di giorni di riprese. Entravamo in studio a settembre per registrare le puntate che sarebbero andate in onda il mese dopo, fino a giugno. In estate c’erano le repliche: la «Melevisione» accompagnava i bambini per tutto l’anno. E il sabato e la domenica ero in giro per l’Italia in tournée: fare Tonio Cartonio non lasciava tanto spazio per la vita privata!

BA: Tonio Cartonio è il personaggio che ha segnato la tua carriera. Anche dopo la «Melevisione» hai continuato a fare programmi per ragazzi. Cosa ti ha lasciato quell’esperienza?

DB: Ho lasciato il Fantabosco più di vent’anni fa, ma non ho mai lasciato la «Melevisione»: il fatto che siamo qui a parlarne lo dimostra. Quello che è rimasto e che condiziona la mia vita di tutto i giorni è il rapporto con i bambini che mi guardavano in TV, che oggi sono cresciuti e che ancora mi dimostrano il loro affetto per il programma. Li incontro spessissimo dal vivo e parlo con loro tramite i social: quel filo diretto che c’era tra Tonio e i suoi piccoli spettatori non si è mai interrotto. Dopo tanti anni, ho capito che è un filo impossibile da recidere, perché dentro al personaggio di Tonio Cartonio avevo messo molto di Danilo.

BA: Che cosa ti dicono i tuoi fan sui social e quando li incontri?

DB: Due cose. Tanti mi confessano che sono stato importantissimo per la loro crescita. Altri mi dicono che il mio addio alla «Melevisione» è stata la loro prima e cocente delusione – un po’ come in una storia d’amore adolescenziale. Se ci ripenso, con il senno di poi, quando ho lasciato il programma ho fatto capire a tanti bambini che la vita è fatta anche di separazioni. E di nuovi incontri: i social e le convention hanno fatto rinascere un affetto che non mi aspettavo fosse rimasto vivo per tutti questi anni.

BA: A proposito di ritorni: nel 2014, tu sei rientrato alla «Melevisione» nei panni di Cuoco Danilo. Cosa ti ha spinto a tornare?

DB: Era il periodo d’oro dei cooking show, e nel 2013 avevo ideato un programma di cucina per bambini. Gli autori della «Melevisione» del tempo volevano cavalcare l’onda e mi avevano visto cucinare. Per questo mi hanno chiamato, forti anche del fatto che ormai i bambini cresciuti con Tonio non guardavano più la televisione, soprattutto i canali per i più piccoli, visto che nel mentre la trasmissione si era spostata su Rai Yoyo. Il ritorno di un “vecchio” attore non sarebbe sembrato forzato, perciò sono tornato nelle vesti di un cuoco del castello. Era un po’ surreale, perché interagivo con i personaggi che erano rimasti nel Fantabosco e che avevo conosciuto come Tonio… ma loro fingevano di non conoscermi!

BA: Secondo te che cosa ha reso vincente la formula della «Melevisione», al punto da diventare un fenomeno culturale generazionale?

DB: Era un appuntamento fisso dedicato ai bambini. Quella generazione, quella nata nella seconda metà degli anni Novanta, aveva un momento preciso del palinsesto per sé. Non c’erano i canali tematici e lo streaming, grazie ai quali è possibile trovare dei contenuti da guardare in TV a ogni ora. Era la fine della televisione dei ragazzi, che esisteva fin da quando io ero bambino: era un’oasi su misura per i bambini. Nel tempo è diventata un rito. Si faceva merenda guardando la «Melevisione», poi c’erano i compiti o si scendeva in cortile a giocare: nessuno restava a guardare la TV. E c’era anche il rito di aspettare il giorno dopo per vedere la puntata successiva, una cosa che ormai non esiste più. Poi era un posto sicuro, magico: c’era Tonio che accompagnava i bambini nel Fantabosco. Non che non ci fossero dei cattivi, ma tutto era strutturato in modo che gli spettatori non avessero paura.

BA: Mentre giravi la «Melevisione» immaginavi che sarebbe diventata un fenomeno di culto?

DB: Onestamente no. Ho iniziato a rendermene conto quando siamo partiti con la tournée teatrale: ci siamo accorti che i palazzetti dello sport erano pieni. Una tappa particolare, a Napoli, ha avuto un successo incredibile: abbiamo venduto più di novemila biglietti. Ho capito che le cose stavano andando bene quando ho sentito i bambini che urlavano «Tonio! Tonio!» mentre ero ancora dietro le quinte.

BA: Di recente, sei tornato sul piccolo schermo con una parte nella seconda stagione di «Pesci Piccoli». L’hai definita «un’esperienza catartica»: perché?

DB: Perché mi ha catapultato nuovamente nel Fantabosco. Gli scenografi hanno fatto un lavoro incredibile: c’erano esattamente il mio bosco, il mio bancone, il portone della mia cantina. È stato come tornare dentro il Fantabosco a distanza di vent’anni. Dopo aver detto “arrivederci” agli spettatori nell’ultima puntata non ho mai rimesso piede su quel set. Anche quando interpretavo Cuoco Danilo, la cucina di Re Quercia era lontana dal Fantabosco. È stato un ritorno al passato, è stato catartico perché ho tirato fuori un’emozione che avevo sempre trattenuto: l’ho lasciata andare, e nella puntata si vede.

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