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Veronica Raimo, i sotterranei della scrittura

Intervista. Domani, martedì 16 gennaio, Veronica Raimo torna a Bergamo. Dopo la vittoria del «Premio Strega Giovani 2022» con il romanzo «Niente di vero», presso la Sala Civica Sant’Agata in Città Alta la scrittrice presenterà la sua raccolta di racconti «La vita è breve eccetera», edita da Einaudi

Lettura 4 min.

Lo stile è schietto e diretto. Veronica Raimo usa solo le parole essenziali: il risultato è un caratteristico senso di irrequietezza espresso con ironia e un sottile velo di freddezza. Finalista al «Premio Strega» nel 2022 e vincitrice del «Premio Strega Giovani» nello stesso anno con il romanzo « Niente di vero », con il suo nuovo libro torna a puntare la lente sulle relazioni umane attraverso undici racconti.

«La vita è breve, eccetera» è lo sguardo di ragazze e donne portatrici di atavica inquietudine e senso di inadeguatezza. Con il suo stile incisivo, Raimo esplora i rapporti umani da diverse prospettive. Al centro, undici donne che, nonostante la loro impulsività o buffa natura, si rivelano maestre nel lasciarsi senza perdere la fiducia. Figure pigre per essere ribelli, razionali ma scaramantiche, capaci di costruire mondi immaginari solo per assistere alla loro frantumazione. Personaggi alquanto credibili e decisamente comuni in cui è sempre facile l’immedesimazione.

Veronica Raimo sarà ospite della rassegna letteraria «Lib(e)ri di sognare e pensare». La scrittrice presenterà «La vita è breve, eccetera» (edizione Einaudi) martedì 16 gennaio alle ore 20.45, presso la Sala Civica Sant’Agata in Città Alta. L’evento è a ingresso libero, ma è necessaria la prenotazione anticipata fino a esaurimento posti.

Ci siamo sentite al telefono e abbiamo parlato di scrittura a 360 gradi: dai suoi libri, alle scuole private di scrittura pubblicizzate sui social.

CD: Perché hai scelto di passare alla forma del racconto? Sono tutti recenti quelli nella raccolta?

VR: Tutti i racconti, tranne uno, sono stati scritti in un arco temporale di circa quindici anni. Il racconto è una forma narrativa a cui sono molto legata e mi sono data la possibilità di uscire con una raccolta perché il libro precedente era andato piuttosto bene. In altre circostanze, è difficile che una casa editrice investa su questo genere. I racconti sono percepiti in maniera diversa e in maniera diversa vengono venduti. La mia intenzione era anche di sfatare un po’ quel pregiudizio che considera un libro di racconti un’opera minore, ho colto l’occasione in un momento per me possibile.

CD: Solo protagoniste donne, molto diverse tra loro. Quali caratteristiche hanno in comune?

VR: Una sorta di spaesamento, un tratto di cui mi sono resa conto poi, mettendo insieme i racconti. Queste donne si chiedono tutte in maniera diversa «che cosa ci faccio qui?». Dove il «qui» può essere un luogo fisico in certi casi, o una situazione in altri. Una scelta, insomma, che le porta a interrogarsi sulle cose mettendosi in discussione, se non addirittura in crisi, anche quando sembrano essere arrivate al punto. Sono donne che si arrovellano di continuo.

CD: Quando parli di emozioni e sentimenti attingi dalla tua esperienza o preferisci spostarti in terreni opposti?

VR: Tutte e due le cose, non si riesce a essere davvero consapevoli rispetto a quello che, di sé, confluisce nella scrittura. Per me il vissuto emotivo, anche del momento, è qualcosa che entra sempre sotterraneamente in quello che scrivo, anche senza rendermene conto. Sono convinta che pure la postura in cui si sta nel momento in cui si scrive, arrivi poi da qualche parte nella scrittura. Tutto porta a raccontare personaggi molto diversi da sé, come è accaduto anche in questo libro, personaggi in cui io non mi rispecchio personalmente, né nelle loro biografie, né nelle loro scelte e atteggiamenti, ma c’è comunque qualcosa di loro che sento mio.

CD: Sei tra coloro che sostengono che si scriva meglio quando si è irrequieti e più o meno sofferenti, o hai bisogno di serenità per scrivere?

VR: Credo che questa cosa sia cambiata nel tempo per me, forse perché anche perché sono cambiata io nel tempo, direi per fortuna. Disaffezionandosi a certi tratti caratteristici della giovinezza, dell’essere ragazza, si lascia andare anche quel tipico compiacimento che porta a sguazzare nell’inquietudine o nella tristezza. Mentre prima pensavo che la sofferenza fosse necessaria per produrre qualcosa di creativo, oggi mi rendo conto che sia più un costrutto estetico e culturale. C’è un libro in uscita: «Sad Girl» della giornalista Sara Marzullo, che si concentra proprio su questa costruzione sociale della “ragazza triste”, come se la condizione potesse legittimarne la voce, garantendo profondità e creatività. È uno stereotipo. Mi rendo conto che in passato mi abbia aiutato a scrivere, oggi però non è più così.

CD: Quanto quello che leggi ha a che fare con quello che scrivi?

VR: Sono molto condizionata da quello che leggo, nel tempo riconosco sottotraccia i segni delle letture che stavo facendo nel periodo in cui ho scritto. Nel caso di questo libro meno perché sono racconti scritti in un arco temporale lungo, ma l’innesco per scrivere qualcosa di nuovo parte sempre da un libro che mi ha parlato nel modo giusto rispetto alle circostanze del momento.

CD: Come è cambiato il settore dell’editoria rispetto a quando hai iniziato a scrivere?

VR: Rispetto a vent’anni fa oggi c’è più paura e meno azzardo da parte delle case editrici nel provare a pubblicare dei libri insoliti. Rispetto a quando ho esordito, c’è molto più condizionamento del pubblico, che poi diventa il condizionamento anche del mercato rispetto alle scelte editoriali.

CD: In effetti le classifiche parlano abbastanza chiaro, no?

VR: Sì, esatto, ovviamente questo scollamento c’è sempre stato, ma adesso è più evidente, anche perché è più trasparente. Mentre prima i giornali avevano una rilevanza in grado di creare un’intermediazione, ora, mettici i social e la possibilità di chiunque di esprimere il proprio giudizio, questo passaggio non esiste più. Questa democratizzazione totale di scrivere opinioni senza alcuna forma di apparato critico non ha fatto bene in tanti campi, non solo nella letteratura. Ci sono scrittori e scrittrici che scrivono libri molto belli, ma questi libri non hanno la rilevanza che dovrebbero avere, a volte non vengono neanche pubblicati, perché le case editrici non se la sentono di presentare qualcosa che il pubblico non capirebbe immediatamente.

CD: Pare scoppiato negli ultimi anni il fenomeno delle scuole di scrittura, in compenso si vendono sempre meno libri. Che ne pensi?

VR: Molte scuole di scrittura vendono il sogno, rispondono a un desiderio di appagamento immediato. Una persona che ha delle velleità, delle ambizioni rispetto alla scrittura, può comprare direttamente l’accesso alla rete che potrebbe pubblicarti mettendoti già in contatto con chi lavora nell’editoria. Anni fa era molto diverso, ci si avvicinava prima a un contesto di altre persone che amavano scrivere. Tramite le riviste ci si confrontava con altri scrittori e scrittrici in erba, c’era un confronto tra pari. Sono molto scettica sulle scuole di scrittura, anche perché nella maggior parte non esiste nessun test d’ingresso, quindi chiunque può accedervi. Anziché continuare ad aprire le scuole private a pagamento, forse avrebbe più senso fare una battaglia comune per portare l’insegnamento della scrittura creativa in maniera pubblica nelle università.

CD: E se tu avessi vent’anni oggi, che consiglio daresti a te stessa in questo campo?

VR: Di non guardare i social e di confrontarsi con scrittori, scrittrici, gente che lavora nel settore con cui si ha un’affinità, fuori da un mondo esclusivamente virtuale. Credo possa essere molto paralizzante, per un carattere che non ama quel tipo di autopromozione, il doversi necessariamente esporre in continuazione. Se una persona ha scelto di scrivere, è probabile che abbia della reticenza nei confronti dell’esposizione e trovo questa nuova imposizione piuttosto violenta. Quindi, ecco, mi consiglierei di attuare le mie forme di resistenza senza sentirmi, per le stesse, inadeguata.

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