Sono nata nel 1994 e ascolto le canzoni di Cristina D’Avena fin da quando ho memoria. Le ho cantate a squarciagola, con la voce incerta di chi impara a parlare prima ancora di capire davvero tutte le parole. Le ho cantate seduta su una sediolina di legno, piccola, quella dove facevo merenda e che per anni è stata il mio trono personale. Le ho cantate poi quando andavo alle scuole elementari. Ogni pomeriggio, finiti i compiti, finito il tempo delle corse, accendevo la TV e aspettavo: Cristina sarebbe arrivata. E con lei, Licia, Rossana, Arale, Mila. E anche il tenero e rassicurante Maestro di «Esplorando il corpo umano».
Cristina arrivava sempre puntuale e con la sua voce riusciva a entrare in casa come nessun altro: una voce che scendeva dalla televisione e si infilava tra le crepe dell’infanzia, per diventare colonna sonora di mille giorni felici. Non serve avere sette lauree in psicologia dell’età evolutiva per capire cosa abbia significato, davvero, Cristina D’Avena – che il 26 luglio sarà al NXT Bergamo per uno show con i Gem Boy (biglietti acquistabili qui) – per chi è nato negli anni ’80 e ’90 (e per molti, anche dopo). Bastano quei pomeriggi lì. Basta sapere che ancora oggi, a distanza di anni, possiamo sentire le prime note di «Magica Doremì», «Occhi di gatto» o «I Puffi sanno…» e tornare immediatamente a quando tutto sembrava avere una forma più semplice.
È per questo che, quando ho saputo che Cristina D’Avena sarebbe arrivata a Bergamo ho sentito un fremito. Un misto di nostalgia e gratitudine. Come quando ritrovi una vecchia foto nella scatola dei ricordi, e ti accorgi che quel sorriso lì, quello del passato, ti appartiene ancora. La cantante ha segnato l’infanzia di almeno quattro generazioni. Dai bambini cresciuti con «Kiss Me Licia» a quelli che oggi, in una società che ha accelerato tutto, scoprono le sue canzoni grazie a YouTube, TikTok o alle playlist dei genitori. È un’icona pop che ha sempre avuto la capacità rara di non sovrastare mai il personaggio con la persona, ma di fonderli con naturalezza.
Durante la nostra chiacchierata, Cristina ha confessato che avrebbe voluto diventare neuropsichiatra infantile. Eppure, in un modo o nell’altro, ce l’ha fatta lo stesso a stare vicina a tanti bambini per i quali è stata come una bussola, una coperta calda nei pomeriggi d’inverno. Cristina D’Avena è riuscita a essere “cura” per molti bambini, inclusi quelli che, come me, avevano poche possibilità di scoprire il mondo e cantavano insieme a lei che con la sua musica lo faceva sembrare più colorato, più puro. E ora torna dal vivo. In una piazza. Con una band travolgente come i Gem Boy, pronti a dare alle sue canzoni una veste nuova, rock, divertente, irriverente.
Ci sono concerti che sono esperienze. E poi ci sono concerti che sono ritorni a casa. Quello di Cristina D’Avena è entrambe le cose. È uno spettacolo che promette divertimento e leggerezza, ma che porta con sé anche una vibrazione più profonda. Perché ognuno di noi, almeno una volta, ha fatto merenda con «Sailor Moon» o si è emozionato con «Piccoli problemi di cuore». In un mondo che ci chiede di essere sempre adulti, seri, sempre performanti, sempre lucidi e razionali, Cristina ci restituisce l’idea che le cose belle possano durare nel tempo, se sono autentiche. E mentre il mondo dell’intrattenimento corre, cambia, scrolla, Cristina resta.
CP: Hai mai sentito il peso – a volte scomodo – di rappresentare, per molti, l’idea di un’infanzia felice?
CD: Sì, ma non lo definirei scomodo. Mi riempie di gratitudine e sicuramente è una grande responsabilità. Sapere che così tante persone ti vogliono bene e ti seguono da una vita ti spinge a dare sempre il meglio. Devi restare al passo, proporre cose nuove, interessanti, ma soprattutto offrire contenuti che abbiano valore. La responsabilità non è solo emotiva, ma artistica: chi ti ascolta si aspetta autenticità e qualità.
CP: Come ti senti oggi, in un mondo che ha quasi paura del tempo che passa, che ha timore di invecchiare e anche solo di uscire dalla propria comfort zone?
CD: È vero, viviamo in un’epoca che ha paura dell’avanzare dell’età e lo capisco. Anche io, nel mio piccolo, mi confronto con quella paura. Ma ho imparato ad accoglierla, a viverla con consapevolezza. Il passare del tempo non deve per forza spaventare: può anche essere una forza che ti rende più autentica, più centrata. Io continuo a fare musica con entusiasmo, ma oggi lo faccio anche con una maturità diversa. Non rincorro il tempo, cerco di viverlo.
CP: Un esempio potrebbe essere l’album in cui canti i tuoi brani più iconici insieme ai grandi nomi del pop Italiano. E come dimenticare la sigla dell’ultima edizione del FantaSanremo….
CD: Sì, «Duets»! Ne ho pubblicati due: «Duets» e «Duets Forever». Ho collaborato con una quarantina di artisti che conosco e stimo. È stato bellissimo vedere come ognuno di loro abbia portato dentro questi brani un pezzo della propria identità, senza mai snaturarne l’anima. E poi ci sono progetti più recenti, come la sigla del FantaSanremo, che si intitola «Occhi di FantaSanremo», ed è un omaggio alla mia storica «Occhi di gatto», riarrangiata per l’occasione dal maestro Enrico Melozzi. È una versione ironica e giocosa, pensata per spiegare le regole del gioco con parole chiave e rime divertenti. Il pubblico l’ha accolta con grande affetto, e per me è stato un modo nuovo e divertente di rileggere un classico che tutti amano.
CP: C’è una canzone del tuo repertorio che, quando la canti, ti commuove ancora?
CD: Sicuramente «Kiss Me Licia». È una delle più significative per me, sicuramente una delle più importanti della mia carriera.
CP: E ce n’è una, anche non tua, che ti descrive?
CD: In realtà, durante i miei concerti mi piace cantare anche canzoni pop, scelte tra quelle di artisti che amo molto. Ho interpretato, ad esempio, «Albachiara» di Vasco Rossi, ma anche canzoni di Ligabue, Grignani. Mi piace dare voce a brani che non sono miei ma che ascolto con piacere e che sento comunque affini.
CP: Come ti rapporti oggi con le sue coetanee, con chi ha sessant’anni come te? Qual è la frase che ti senti ripetere più spesso?
CD: Mi dicono che ho tantissima energia, che sono positiva, mi chiedono: «Ma come fai?». E io rispondo: «ho entusiasmo, amo quello che faccio». Lavoro tutto l’anno per fare spettacoli. È il mio lavoro, ma è anche la mia passione, quindi non mi stanco. Mi piace davvero.
CP: C’è qualcosa che ti fa ridere a crepapelle?
CD: Divertirmi con gli amici. Scherzare, stare bene insieme alle persone che mi vogliono bene, senza pensare a niente, è il mio modo di staccare la spina.
CP: E invece cosa ti commuove?
CD: I ricordi. Sono molto nostalgica, mi capita spesso di ripensare al passato… ed è lì che divento un po’ malinconica.
CP: C’è un momento della giornata in cui non sei «Cristina D’Avena», ma solo «Cristina»?
CD: Sì, assolutamente. Anch’io ho momenti di pausa, di riflessione, in cui mi spoglio del personaggio e rimango semplicemente me stessa. Recentemente ho attraversato un periodo molto difficile: ho perso un amico a cui ero legata da tantissimi anni. Questi eventi ti riportano alla realtà, ti fanno toccare con mano la fragilità della vita. Inoltre, ho perso un’amica importante a causa di una persona che mi ha raggirata, facendomi credere cose che non erano vere. Ho sofferto molto per questo. Anche io sbaglio, come tutti, l’importante è non farsi trascinare troppo da questi momenti altrimenti rischio di diventare «Tristina D’Avena».
CP: Domanda classica: se non fossi diventata la voce dell’infanzia di milioni di italiani, chi avresti voluto essere?
CD: Un medico. Ho studiato medicina, volevo diventare neuropsichiatra infantile.
CP: Quindi avevi davvero iniziato quel percorso?
CD: Sì! ero arrivata al quarto anno, poi però è arrivata la musica e non ho proseguito.
CP: Parliamo del concerto in programma al NXT Bergamo. Cosa ci dobbiamo aspettare?
CD: Salirò sul palco insieme ad una band stratosferica. Invito tutto il pubblico che ha voglia di passare qualche ora in leggerezza a venire a vederci. Collaboro con i Gem Boy ormai da tanti anni: cantiamo le nostre sigle dei cartoni animati riarrangiate. È un concerto molto divertente, ve lo consiglio davvero. Chi vuole volare con la testa e tornare bambino, venga!
CP: Un’ultimissima domanda. Fai musica da quando era piccolina. Tutto è cominciato nel 1968, a soli tre anni, con la tua partecipazione a Lo Zecchino d’Oro con «Il valzer del moscerino». Se potessi dire una parola a quella bambina, oppure alla diciassettenne che andava ai provini per interpretare «Kiss me Licia» accompagnata dal padre, cosa le diresti?
CD: Le direi: «Cristina, mi raccomando. Non abbandonare la scuola, perché quello della musica è un mondo bellissimo, ma anche molto incerto. Non è detto che tu riesca a emergere, anche se hai talento. E soprattutto: rimani quella che sei. Non dimenticarti mai di essere Cristina, con i tuoi valori, la tua semplicità, la tua verità».
Io sarò al concerto al NXT. Non più sulla sediolina di legno. Ma con lo stesso cuore di bambina.