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“Life’s for living”. Piccola storia del disco della voce dei Rancid per Bergamo

Articolo. Da un’idea nata per un amico durante i giorni più scuri della pandemia, nasce un vinile benefit firmato dal cantante della storica band punk rock californiana. Un racconto di geografie, amicizia e Do it yourself. A colloquio con Simone Bonotti di Wild Honey Records

Lettura 5 min.

Tim Armstrong, frontman dei Rancid, una delle più amate punk rock band al mondo, ha pubblicato un disco sull’etichetta bergamasca Wild Honey Records. Un progetto benefit per l’ospedale da campo costruito negli spazi della Fiera Nuova di Bergamo. Nel vinile ci sono due rarità e una cover, “The Times they are a-changing”, canzone manifesto di Bob Dylan.

La notizia è questa, ma dietro c’è la storia di due geografie sentimentali. Quella dei Rancid, raccolta in un contributo firmato da Pietro Bianchi, bergamasco trapiantato negli States dove insegna alla University of Florida. L’originale, scritto in inglese, è contenuto nel libretto del disco di Tim Armstrong. La sua versione italiana si può leggere per esteso su Dinamopress, in cui Bianchi connette la provincia americana cantata dalla band, dove un bus non è un generico bus, ma è il 60, che si arrampica sulla collina e porta ad Albany, casa di Matt Freeman e Tim Armstrong, amici da sempre e poi compagni di band: il primo al basso e alla voce Mr. Timebomb. “Timebomb” come una delle canzoni più note dei Rancid.

La provincia americana e con essa la storia di chi la abita, diventano visibili così, dando un nome ai suoi luoghi anonimi, ma famigliari per chi li vive: “Per poter essere ’universali’ e riuscire a raccontare a tutti – scrive Pietro Bianchi, citando il giornalista Alessandro Portelli è necessario essere fedelmente e efficacemente legati alla ‘singolarità’ di un racconto particolare, dovunque esso sia: sia che si parli di una città operaia fuori San Josè, sia che si parli di una paese della bassa bergamasca (e le provincie in Italia e in America si assomigliano molto più di quello che uno potrebbe pensare)”.

La seconda geografia sentimentale è quella tracciata dalla passione per la musica e per i concerti, spariti dalle mappe in questo periodo. Quella che misura l’estate in chilometri di distanza dai live e dagli amici conosciuti sotto palco e in troppo poco sonno da incastrare nelle ore per essere al lavoro la mattina dopo. È in quella geografia che nasce la storia dietro la notizia. Su quella mappa, la strada che dalla Albany dei Rancid arriva a Bergamo e al suo ospedale, passa per la Lunigiana.

Arriva da lì Simone Bonotti, uno dei più grandi collezionisti di materiale dei Rancid al mondo. L’idea di contattare il cantante della band per proporgli una collaborazione è stata sua. “Nasce tutto per un amico. Se quello che è accaduto fosse successo ad Asti e io ad Asti avessi avuto una persona a cui volevo bene, beh, avrei fatto lo stesso”. L’amico è Franz Barcella, agitatore culturale attivo a Bergamo con Edoné e a livello internazionale con l’agenzia Otis Tours, la band Miss Chain and the Broken Heels e la Wild Honey Records, etichetta garage, pop e rock and roll di cui è il fondatore, che ha pubblicato tra gli altri Peawees, Bee Bee Sea e Midnight Kings – Pietro e Franz non sono nomi nuovi su questi spazi: con loro abbiamo parlato di Black Lives Matter e della situazione culturale bergamasca.

Ricordo che aver visto l’immagine dei camion militari che portava fuori i morti da Bergamo, mi aveva dato la grandezza della situazione e di ciò che stava accadendo – racconta Simone –Quella sera avevo parlato con Franz dopo alcuni giorni che non lo sentivo, mi aveva raccontato cosa stava vivendo e che anche lui era stato male. Ci voleva un segnale positivo, così ho pensato a cosa si potesse fare insieme, non solo per lui o per noi”.

Una cosa che Simone e Franz sanno fare bene è anche la passione che li ha uniti, la musica. “Ci siamo conosciuti tramite amici comuni a La Spezia qualche anno fa – racconta – essendo un grande collezionista di dischi, mi trovavo spesso ad avere a che fare con la posta, così ho cominciato a dare una mano per le spedizioni dell’etichetta e oggi mi occupo della distribuzione e della logistica”.

Durante il lockdown la Wild Honey era al lavoro per The benefit of things to come, una compilation per raccogliere fondi per l’ospedale da campo della Fiera di Bergamo, a cui avevano partecipato le band dell’etichetta. Un progetto in linea con l’attitudine punk che la caratterizza: “Vi ricordate la caciara e la festa delle serate ‘a sottoscrizione in supporto di…’ o dei concerti benefit? Ecco, continuate a ricordarvelo. Non lo scordate. Concentratevi su quella sensazione di condivisione e presa benescrive Chiara Colli su ZeroLa compilation, l’azione collettiva a scopo benefico, che in uno stato di emergenza riproduce digitalmente una gran festa corale. Che ricrea il gusto del concerto benefit. Qualcosa che nella scena punk e in quella rap vecchia scuola è ancora viva”.

La spinta arriva da lì, da quella presa bene che coinvolge anche gli altri e dall’attitudine Do It Yourself del punk, dove la passione trasforma un’ipotesi in una strada da provare a percorrere, anche e soprattutto quando ci si trova davanti a quello che pare un vicolo cieco.

Da super fan e appassionato di Rancid, Simone aveva avuto contatti con la band e il management in passato e insieme a Franz era stato a sentirli a Lucca. “Tim è una delle persone migliori del punk rock: quando l’ho incontrato mi ha sempre colpito come fosse interessato a sapere di più sulle persone che li ascoltavano, ti faceva domande, voleva conoscerti, sapere di te. Così ho contattato il suo management e ho proposto l’idea. Non sapevo se la cosa avrebbe avuto un seguito, ma ero fiducioso. Sia lui che il resto della band sono persone davvero disponibili e mi sono detto: perché non tentare?”.
La risposta non ha tardato ad arrivare e dall’incontro tra la Hellcat Records di Tim Armstrong e la Wild Honey è nato un disco benefit firmato da Armstrong, eccezionalmente in versione solista.

Conoscevo il progetto Tim Timebomb & Friends, in cui il cantante rilanciava una canzone al giorno, vecchie cover anni ’60-’70 che gli piacevano. Ne ha fatte circa 320, rilasciandone solo 30-35. Avrebbe potuto fare altri set e monetizzare, ma a lui non interessava, è sempre stato concentrato più sull’aspetto creativo. Sapendo che quei pezzi erano già pronti, mi sono detto che avrei potuto chiedergli di darcene due o tre. Non sapevo come lui e il management avrebbero gestito la cosa, mi aspettavo che magari ci avrebbero risposto mandandoci delle copie. Ero un po’ titubante, avevo il timore di voler strafare”.

Invece il riscontro è andato ben oltre le aspettative. “Tim era entusiasta e ci ha chiesto come volessimo portare avanti la cosa e ci ha detto di scegliere che canzoni inserire. Sulla cover di Bob Dylan ero inamovibile, poi c’era ‘It’s quite alright’, un pezzo molto positivo, che si prestava bene per lo scopo dell’iniziativa. Ci mancava la title track. L’idea è arrivata da un nostro amico che vive lì e che ci ha suggerito il pezzo, ‘Life’s for living’. Quella canzone poi non era neanche mai stata rilasciata. Ciliegina sulla torta la cover art del disco, in neroazzurro, firmata anche quella da Armstrong, che accanto all’attività di musicista porta avanti anche quella di artista, realizzando quadri e serigrafie. Così noi della Wild Honey ci siamo trovati a far uscire il primo disco pubblicato fuori dagli Stati Uniti da una delle più grandi band del punk rock”.

Il risultato è una chicca da collezionisti e un flash di positività, che merita un ascolto anche da chi non frequenta il genere. Tre canzoni, 7 minuti e 44 in totale, dove la voce di Tim Armstrong entra ruvida e inconfondibile su un pianoforte, unico strumento della traccia d’apertura: “There will be good times / and bad times too / life’s for living / and living is what I’m gonna do” (“Ci saranno tempi buoni / e pure tempi cattivi / la vita è fatta per essere vissuta / e vivere è ciò che farò”).

Bandcamp Wild Honey Records

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