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L’amore e l’Alzheimer al tempo della neurogenomica

Articolo. Da studentessa di bioinformatica, sto approfondendo sempre di più quello che è a tutti gli effetti un puzzle intricato. Ecco una breve panoramica su come l’intelligenza artificiale e le nuove tecnologie stiano contribuendo a rivoluzionare le tecniche per la diagnosi e la terapia dell’Alzheimer, anche a Bergamo

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«Io ti terrò la mano e tu tienimi l’anima / e pure se non sai chi sono, non lasciarla mai». Ogni volta che ascolto « Ricordi » dei Pinguini Tattici Nucleari sento qualcosa di dolceamaro sciogliersi nel mio petto e riaffiorare, appunto, tra i miei ricordi. È una canzone che parla di un grande amore condiviso da una coppia per lunghi anni, finché la moglie non comincia a perdere la memoria a causa del morbo di Alzheimer che, lentamente, porta a neuro degenerazione e a un decadimento delle capacità cognitive.

Riccardo Zanotti, il cantante della band bergamasca, ha descritto con precisione la situazione che si trovano a vivere circa 3 milioni di italiani, direttamente e non: secondo le stime dell’Osservatorio demenze dell’Istituto Superiore di Sanità, circa 1.100.000 persone soffrono di demenza (di cui il 50-60% sono malati di Alzheimer, più o meno 600mila persone) e circa 900.000 di disturbo neurocognitivo minore (Mild Cognitive Impairment).

La quotidianità di chi soffre di patologie neurodegenerative è, seppur sempre la stessa, sempre nuova. Quella di coloro che stanno accanto ai malati comporta un cambio radicale di prospettiva: d’un tratto lo zio non ricorda più della settimana al mare a giocare a biglie coi nipoti, la nonna (che vi ha sempre chiamato coi nomi di tutti gli altri cugini prima di arrivare al vostro, con uno sbuffo e un sorriso) non è più capace di cucinare la sua polenta con l’arrosto. Talvolta i ricordi sono l’unica cosa a cui ci si può aggrappare per vivere una parvenza di normalità, i veri mattoni che costituiscono i pilastri del proprio io.

L’Alzheimer a Bergamo

Nel mondo attualmente oltre 55 milioni di persone convivono con una demenza, una cifra che si prevede aumenterà a 75 milioni entro il 2030 e 132 milioni entro il 2050. I dati dal Ministero della Salute sono lo specchio di una società che invecchia: dal momento che l’età è il maggior fattore di rischio associato all’insorgenza delle demenze, l’impatto del fenomeno avrà dimensioni enormi se pensiamo che in Italia, secondo le proiezioni demografiche, nel 2051 ci saranno 280 anziani ogni 100 giovani.

La Federazione Alzheimer Italia e l’associazione Alzheimer Bergamo sono in prima linea per fornire supporto ai familiari di coloro che sono affetti da questa neuropatologia: forniscono ad esempio indicazioni sulle disponibilità di Nuclei Alzheimer , reparti specifici per persone affette da demenza con disturbi comportamentali, sia negli ospedali sia nelle RSA della nostra provincia.

Ad oggi sono in corso numerosi progetti di ricerca in tutto il mondo per individuare terapie efficaci nella cura della demenza, anche se non ci sono ancora interventi farmacologici risolutivi. L’approccio terapeutico, quindi, è multiplo e integrato: farmacologico, psicosociale e di gestione per la continuità assistenziale.

La dottoressa Raffaella Cogliano, coordinatrice e responsabile dell’ambulatorio di Terapie Non Farmacologiche della RSA “Giovanni Paolo I” di Seriate, ha descritto come il personale educativo si approccia agli ospiti della residenza con la demenza di Alzheimer: «Essendo l’utenza sempre più complessa e giovane, ci interfacciamo ogni giorno con disturbi comportamentali più marcati rispetto agli ospiti sani, infatti i pazienti si sentono destrutturati e inquieti. Sfruttiamo quindi nuove strategie di comunicazione come le terapie non farmacologiche, differenziandole secondo l’evolversi della malattia e la storia della vita di ciascun ospite per creare un contatto emotivo e affettivo che permette di sostenere quelle funzioni non completamente compromesse. Promuoviamo il trattamento Snoezelen , in cui i pazienti entrano in una stanza dove ricevono input multisensoriali, rievocando ricordi piacevoli della propria vita e riaprendo quei canali emotivi con effetto “calmante” e “stimolante”. Un’altra terapia è un vero e proprio viaggio in treno virtuale ( Treno-Terapia ) durante il quale i pazienti si siedono sui sedili di una stanza allestita come un vero vagone, guardano “fuori dal finestrino” (cioè la televisione su cui vengono proiettati filmati) e riconoscono i paesaggi mostrati, creando socialità e dialogo tra operatore e ospite che, da una stanza della Residenza, è potuto evadere coi ricordi e tornare più rilassato».

Tra intelligenza artificiale e bioinformatica

Anche l’Intelligenza Artificiale (IA) aiuta con la gestione e l’assistenza. Parlando di RSA, l’azienda milanese Teiacare mette a disposizione il suo software Ancelia che, grazie all’intelligenza artificiale, fornisce un supporto al personale infermieristico e a OSS, che possono conoscere le condizioni di ogni ospite in qualsiasi momento, anche quando non è possibile essere con lui nella stessa stanza. La sua attività costante, 24 ore su 24, permette di rilevare da remoto e in tempo reale dati assistenziali utili ad assicurare un’assistenza più veloce, puntuale e a misura di residente.

L’IA fornisce anche strumenti fondamentali per lo studio dell’insorgenza e il decorso della malattia, differenziandone le varie tipologie. Gli algoritmi alla base di metodi di deep learning e machine learning da cui poi nasce l’IA applicata raccolgono enormi quantità di dati che vengono rielaborati in modo da capire in quale stadio della malattia si trova il soggetto di studio, quali sono le manifestazioni principali, quali cure e approcci sia meglio attuare per un rallentamento il più possibile efficace del decorso dell’Alzheimer. Un esempio è dato da uno studio pubblicato questo lunedì, 22 gennaio, su Scientific Reports , in cui scopriamo come gli algoritmi di machine learning riescono a rielaborare input da diversi biomarcatori proteici: partendo dalla misurazione dei loro livelli, riusciamo a correlare il DNA del singolo paziente a una previsione dell’incidenza della patologia.

Nello studio delle patologie neurodegenerative, la bioinformatica e le scienze “omiche” stanno contribuendo a rivoluzionare le tecniche per la diagnosi e la terapia dell’Alzheimer: parliamo di discipline analitiche che sfruttano grandi quantità di dati contemporaneamente per descrivere e interpretare i sistemi biologici, e che quindi hanno una rilevanza notevole nel campo della ricerca medica. Da studentessa di bioinformatica, attualmente sto approfondendo questo ambito, scoprendo ogni giorno qualcosa di nuovo su come laboratori di tutto il mondo integrino tecnologie interdisciplinari per studiare una patologia estremamente complessa, il suo sviluppo, i fattori che la influenzano. È a dir poco affascinante per me potersi affidare ad un computer per comprendere un puzzle intricato come l’Alzheimer, soprattutto perché la sua risoluzione porterà a una sempre maggiore personalizzazione delle cure in futuro.

Un ambito in espansione, per esempio, è quello della proteomica, che descrive la complessità biologica e la dinamicità di un sistema sfruttando i dati del proteoma (cioè tutto l’insieme contesto-dipendente di proteine di una cellula). Anche l’interattomica e la metabolomica, che studiano l’interazione tra proteine e i processi metabolici, così come la radiomica, che invece raccoglie dati partendo dalle immagini ad alta risoluzione (come PET e TAC), permettono grandi passi avanti nelle neuroscienze.

Lo scorso 15 gennaio Nature Aging ha pubblicato un recentissimo studio in cui, sfruttando delle tecniche di proteomica, gli scienziati sono riusciti a identificare cinque tipi diversi di Alzheimer partendo dall’analisi del liquido cerebrospinale. È una buona notizia perché permette di rivalutare molte conoscenze anche sulle terapie attuate: quelle che si sono rivelate inefficaci per alcuni potrebbero non esserlo per altri, e viceversa.

Infine, la neurogenomica

Nel Centro di Ricerca di Neurogenomica a Human Technopole, a Milano, l’ambito della neurogenomica – ovvero lo studio di come il genoma di un organismo influenza lo sviluppo e la funzione del suo sistema nervoso – ha un ruolo primario: permette di studiare i meccanismi alla base delle malattie neuropsichiatriche e neurologiche umane, spaziando dai disturbi del neuro-sviluppo a quelli neurodegenerativi. In particolare, il gruppo di ricerca di Jose Davila-Velderrain ha collegato il biomarcatore APOE4 al trasporto del colesterolo nei neuroni e alle funzioni cognitive umane. Utilizzando una tecnica di sequenziamento dell’RNA, il gruppo ha individuato una maggiore produzione di colesterolo nelle cellule cerebrali di soggetti affetti da Alzheimer a causa dell’attività di APOE4, evidenziando potenziali implicazioni terapeutiche.

Intanto che la ricerca progredisce al servizio della popolazione, noi possiamo fare moltissimo per i nostri cari e per chi è malato, come tenere vivo un canale che, nonostante la perdita di memoria, rimane sempre aperto: quello delle emozioni. Quando ci si ammala di Alzheimer, si perdono progressivamente pezzi di sé, qualche ricordo è frammentato, qualcuno è sbiadito. A volte, però, anche un piccolo gesto può aiutare a rievocarli e farli tornare vivi.

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